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La strategia del lanciafiamme chi spaventa? Orfini?

Oggi sul quotidiano Il Dubbio

Sarà interessante vedere quanti voti sposta il lanciafiamme. A giudicare dagli amati social network, la sortita televisiva di Matteo Renzi su cosa aspetta il Pd dopo il voto non pare sia stata apprezzatissima né dalla base né dagli osservatori. Difficile aspettarsi altro, dal momento che chi parla fa il segretario da quasi tre anni, circondato da una maggioranza bulgara (uscita dalle primarie e arricchita da successive conversioni), un potere assoluto (quando stai a palazzo Chigi hai indubbiamente più argomenti dei segretari che si barcamenano all’opposizione) e un conformismo senza precedenti nella storia del centrosinistra (perfino i tweet dei parlamentari, a leggerli, sono tutti uguali). Sarà interessante altresì vedere chi dovrà mettersi la tuta ignifuga, dato che nel Pd – con o senza lanciafiamme – avversari di Renzi se ne trovano con una certa difficoltà, e di sicuro non nel gruppo dirigente: le lingue di fuoco arriveranno forse su Matteo Orfini, commissario di Roma e artefice della candidatura Valente a Napoli? O su Maurizio Martina, regista delle primarie che hanno incoronato Beppe Sala? O su Luca Lotti, l’uomo dell’alleanza con Verdini? Difficile in ogni caso che la potenza di fuoco giunga fino in Siberia, dove languono – peraltro al fresco – i rottamati. Sarà interessante comunque vedere l’effetto che fa, il lanciafiamme, in un partito che perde consensi e identità e avrebbe bisogno, più che altro, di un saldatore. Continua a leggere

Ballottaggi, per il Pd rischio “biscotto”

Ho scritto questo per i giornali locali del gruppo l’Espresso (Il Tirreno, La Gazzetta di Mantova, Il Mattino di Padova, Il Piccolo, Il Centro, La Gazzetta di Reggio, La Gazzetta di Modena, Alto Adige, Il Trentino, Il Messaggero Veneto, La Nuova Sardegna, La Nuova Venezia, La Città di Salerno e altri).

E adesso si balla. Per capire che per il Pd i ballottaggi non saranno una passeggiata basta il riassunto delle puntate precedenti: nelle comunali dell’anno scorso, il Partito democratico i ballottaggi li ha persi praticamente tutti. Venezia, Arezzo, Rovigo, Fermo, Chieti, Matera, Nuoro, Enna, Gela: con le sole eccezioni di Lecco, Macerata e Mantova i candidati di centrosinistra furono battuti anche nelle roccaforti storiche, anche dove erano uscenti e con un bilancio positivo (per tutti Salvatore Adduce, appena uscito vincitore dalla battaglia per Matera capitale della cultura), anche dove partivano in vantaggio. L’allarme era già suonato l’anno prima, il trionfale 2014, con le sconfitte nelle tre piazze imperdibili di Livorno, Perugia e Potenza. Ognuna di queste battaglie locali fa storia a sé, e così faranno quelle che si svolgeranno tra due domeniche; tuttavia la difficoltà del Pd a competere nelle sfide dirette ha ragioni politiche generali (e per questo, tra l’altro, sarà inevitabilmente analizzata anche in chiave Italicum). Il rischio principale, non l’unico, per il Pd, ha un nome dolce come il ricordo della nonna: biscotto. Continua a leggere

Eleggere il nuovo senato: l’uovo di Fornaro

Oggi sul quotidiano Il Dubbio

Perché gli esponenti della minoranza Pd insistono nel porre a Renzi le loro condizioni per il sì alla riforma costituzionale, al prezzo di una porta in faccia al giorno? Delle tre condizioni della minoranza – il carattere non plebiscitario della campagna elettorale, la modifica dell’Italicum, l’esigibilità dell’accordo sull’elezione del nuovo senato – le prime due sono tutte “politiche”: dipendono cioè da condizioni generali, che solo in minima parte hanno a che vedere con gli equilibri interni al Pd. Ma per la terza è diverso. E a palazzo Madama c’è qualcuno convinto che la soluzione sia davvero a portata di mano. “E’ la quadratura del cerchio”, dice il senatore Federico Fornaro della legge di cui è primo firmatario insieme ad altri 23 colleghi, intitolata “Norme per l’elezione del senato”. “Perché con la nostra proposta alla fine avremmo senatori che a tutti gli effetti sono scelti dai cittadini; eppure sono a tutti gli effetti consiglieri regionali”.  La proposta è stata presentata il 20 gennaio 2016. Naturalmente non può essere incardinata in commissione e tantomeno votata, dato che è tecnicamente una legge di attuazione di una modifica costituzionale che fino al referendum non è in vigore. “Però – ragiona Fornaro – sarebbe un gesto politico molto forte se Renzi, anziché ripetere come ha fatto ieri che il parlamento provvederà a fare una legge, dicesse che il Pd è pronto dopo l’approvazione della riforma ad assumere la nostra proposta come testo base”. Continua a leggere

A ciascuno il suo “Staff”: la disintermediazione inganna

Ho scritto questo per i giornali locali del gruppo l’Espresso (Il Tirreno, La Gazzetta di Mantova, Il Mattino di Padova, Il Piccolo, Il Centro, La Gazzetta di Reggio, La Gazzetta di Modena, Alto Adige, Il Trentino, Il Messaggero Veneto, La Nuova Sardegna, La Nuova Venezia, La Città di Salerno e altri)

Forse non è vero che i partiti sono poi così deboli e in crisi. O per lo meno bisogna ammettere siamo di fronte a un bel paradosso: proprio mentre si sostiene che destra e sinistra non esistono più e si danno per archiviate tutte le modalità tradizionali di partecipazione collettiva, il potere del partito, la richiesta di disciplina, il bisogno di strutture gerarchiche si riaffacciano con più forza.

È proprio nel partito in teoria più nuovo, post ideologico e addirittura post politico, il Movimento Cinque Stelle, che avvengono i fatti più clamorosi. L’espulsione del sindaco di Parma Pizzarotti e la dichiarata disponibilità di Virginia Raggi, in caso di elezione a sindaco di Roma, a farsi da parte su richiesta del “Garante” in caso di avviso di garanzia hanno destato scandalo, e non poteva essere diverso. Abbiamo sentito ripetere concetti cari alla stagione d’oro dei sindaci, dopo l’introduzione dell’elezione diretta: che un sindaco rappresenta innanzitutto la propria città, che deve rispondere ai cittadini, che deve essere libero anche di trattare coi partiti che lo sostengono, e soprattutto col suo, in virtù del mandato diretto che ha ricevuto. Continua a leggere

Perché la minoranza non lascia il Pd. (Perché poi dovrebbe rifarlo)

Oggi, sul quotidiano Il Dubbio

La vicenda dei “separati in casa” nel Partito democratico non è l’ennesimo capitolo della storia delle liti e delle scissioni a sinistra, ma il segno di come sta cambiando la politica e di cosa può diventare, o non diventare. È evidente che l’equilibrio precario tra democratici renziani e non renziani non potrà durare a lungo, come lo stillicidio di rotture e uscite dal Pd – base e dirigenti – preannuncia e dimostra. Nei prossimi mesi, con la tornata amministrativa e il referendum “cosmico” sulla Costituzione, la proposta renziana sarà alla prova decisiva; e al successivo congresso gli equilibri cambieranno, o salteranno. Sarebbe sbagliato ritenere, sulla base della situazione attuale, che l’esito sia già scritto: per quanto appaiano scolpiti nella roccia, i rapporti di forza in politica possono sempre cambiare, se non per convinzione per necessità. È questa in fondo la scommessa degli sconfitti del Pd: non certo che Renzi diventi più “buono”, ma che la sua presa sul partito diventi meno forte. Continua a leggere

Voto il lunedì? Non è questione di soldi ma di storytelling

Per me, a differenza dal “renzianissimo” senatore citato oggi da Repubblica (e in parte perfino da Enrico Letta), non è una questione di costi. I soldi per la partecipazione democratica, anche quelli per allargarla, sono sempre ben spesi. So di essere impopolare ma io sono favorevole ai costi della politica, e anche al finanziamento pubblico, che è l’unica possibilità di garantire a tutti l’esercizio dei diritti e dei doveri democratici: una questione sulla quale prima o poi la realtà ci costringerà a tornare a riflettere, speriamo non troppo tardi.

Il punto è un altro: se si temeva, giustamente, l’astensione, perché il governo ha fissato le elezioni amministrative il 5 giugno, cioè durante il ponte del 2 giugno (e i ballottaggi il 19, a scuole chiuse)? Non potevamo votare a maggio, o anche ad aprile? Perché, soprattutto, nessuno lo spiega? Continua a leggere

Vangelo e Costituzione: perché non accetto lezioni di laicità da Renzi

Da ieri sera mi sto beccando la consueta ondata di tweet ostili (sai che novità) per questa reazione a caldo alla brutale frase di Matteo Renzi “non ho giurato sul Vangelo ma sulla Costituzione”. Naturalmente io non mi sono sognata di criticare una “riforma storica” alla quale sono assolutamente favorevole e che era nel programma del partito che ho votato nel 2013: mi sono semplicemente ribellata a una lezione di laicità, oltretutto fatta in termini inaccettabili (per un cattolico democratico contrapporre Vangelo e Costituzione è né più né meno una bestemmia) che – spiace dirlo – non viene da un pulpito credibile. Continua a leggere

Armistizio, anzi guerra totale. Pd tra Lenin e storytelling

Oggi, sul quotidiano Il Dubbio

Questa idea che la politica è solo comunicazione, c’è da temere, ci sta un tantino prendendo la mano. Perché poi la realtà si prende i suoi diritti, “i fatti hanno la testa dura” diceva quello (ok, era Lenin), e l’effetto grottesco-comico è dietro l’angolo. C’è di buono che se sei dentro la bolla non te ne accorgi, se riesci a star fuori però ti diverti da matti. Tutto sta a vedere dove siano gli italiani adesso, se fuori o dentro la bolla: bella scommessa, elettorale. Continua a leggere

Spigolature. (Cose che penso su Renzi da Fazio, Legnini e Nogarin)

  1. ieri sera da Fabio Fazio, alla domanda su Platì (comune sciolto per mafia e commissariato dove il Pd rinuncia a presentarsi dopo che aveva schierato un anno fa una candidata, benedetta dal premier alla Leopolda, che poi non è riuscita a presentare la lista), Renzi ha risposto parlando di Ercolano. A Platì abbiamo fallito, ma a Ercolano, invece… Mi sarebbe piaciuto che Fazio ribattesse. A Ercolano un sindaco uscente c’era, anche se aveva in giunta qualche indagato, e c’era anche un candidato pd, incensurato e non indagato. Quel candidato non era renziano. Renzi è riuscito semplicemente a far passare un’altra candidatura a lui più affine. Magari migliore, oppure magari no. E credo, per inciso, che il segretario del pd non dovrebbe permettersi di paragonare i suoi avversari interni alla ndrangheta.
  2. visto che il referendum si è politicizzato, il vicepresidente del Csm Legnini fa bene a chiedere cautela ai magistrati, ricordando che il Csm è un’istituzione; ma chi ha politicizzato il referendum? Ci vorrebbe un Legnini della politica, capace di chiedere cautela a un’altra istituzione, che si chiama governo. E probabilmente c’è, visto che sopra Legnini, come sopra il capo del governo, c’è un presidente. Speriamo che trovi il suo Legnini, cioè qualcuno che lo ascolta, anche sull’altra sponda del conflitto.
  3. leggo di piddini scandalizzati perché il sindaco di Livorno, raggiunto da un avviso di garanzia, ha detto che si dimetterà se dovesse prendere atto di aver violato le regole del Movimento 5 Stelle. Nogarin risponde al codice Casaleggio e non alle leggi, è l’accusa. Non mi pare. In base alle leggi italiane, un amministratore raggiunto da un avviso di garanzia non è tenuto a dimettersi; ma un politico raggiunto da un avviso di garanzia giustamente deve valutare insieme alla sua comunità politica l’opportunità di restare o lasciare l’incarico. Non tutte le accuse sono uguali, non c’è niente di automatico, la politica si fa dentro un collettivo ed è al proprio collettivo che se ne risponde; poi gli elettori giudicano. È più o meno quello che, giustamente, dice il Pd quando certe cose capitano in casa sua. Non dovrebbe quindi rimproverare ai grillini di dire la stessa cosa, semmai dovrebbe approfittare per chiedere loro di non usare due pesi e due misure. Cominciando col dare il buon esempio, però.

Comunali, sfida aperta. Le partite di Roma e Milano

Ho scritto questo per i giornali locali del gruppo l’Espresso (Il Tirreno, La Gazzetta di Mantova, Il Mattino di Padova, Il Piccolo, Il Centro, La Gazzetta di Reggio, La Gazzetta di Modena, Alto Adige, Il Trentino, Il Messaggero Veneto, La Nuova Sardegna, La Nuova Venezia, La Città di Salerno e altri)

Too close to call. A poche ore dalla chiusura delle liste, e a un mese esatto dal voto, diversi sondaggi (Tecné, Ixé, Ipsos e altri, reperibili anche su internet) fotografano una situazione incerta e scientificamente non prevedibile. Nelle due “capitali” di questa tornata amministrativa, Roma e Milano, nessuno azzarda previsioni. A dire il vero, le cose stanno in modo molto diverso: a Milano si profila una sfida tradizionale, con un ballottaggio incertissimo tra centrodestra e centrosinistra; a Roma nessuno mette in dubbio la partecipazione di Virginia Raggi al secondo turno; è dietro di lei che, nello spazio di un paio di punti percentuali, combattono al buio il candidato del Pd e i due esponenti di una destra divisa. Continua a leggere