Monthly Archives: August 2016

Il mio “Pensavamo” sull’Espresso. (E il disarmante Rondolino)

L’Espresso mi ha chiesto di scrivere, da bersaniana, perché il Pd “di prima” mi piaceva di più di quello di adesso. La stessa cosa, al contrario, ha naturalmente chiesto a un renziano, nello specifico Fabrizio Rondolino. Su questo dirò qualcosa dopo. Intanto il testo che ho scritto io era questo:

Pensavamo che nessuno di noi bastasse a se stesso. Che nessuno da solo potesse rappresentare tutti. Che stare insieme tra diversi fosse sì faticoso, ma che la somma delle nostre storie facesse più del totale. Pensavamo di essere in tanti a decidere. In tanti e di sinistra, ciascuno a suo modo: declinazioni diverse degli stessi principi. Di costruire insieme il nostro punto di vista sulle cose, scelto da noi non dai giornali di riferimento, dagli amici potenti o dalle tweet star. Ma pensavamo anche che il centrosinistra fosse un campo più largo di noi, dove c’erano altre storie con cui fare amicizia e camminare, altre verità da capire. Pensavamo che il nostro passato non fosse un susseguirsi di fallimenti ed errori fino al momento in cui eravamo arrivati noi. Pensavamo che a chi non era d’accordo non si dovesse dire “e allora vattene, questa è casa nostra”, ma che a costo di andare un po’ più lenti si dovesse cercare di arrivare in fondo tutti insieme. Pensavamo che prendere treni, organizzare feste, stare sui social network non servisse solo a far sapere cosa avevamo deciso noi, ma anche a capire cosa gli altri pensavano che avremmo dovuto decidere. Pensavamo di dover anche un po’ ascoltare.

Pensavamo di non saper comunicare, anzi lo pensavano tutti, ma non era vero: è che comunicavamo bene quello che eravamo, compresa la fatica di esserlo senza prendere scorciatoie e cercando di non raccontare bugie. Pensavamo che si potessero vincere le elezioni senza raccontare favole agli italiani, e che questa fosse la differenza tra noi e gli altri. Pensavamo che la politica venisse prima della comunicazione, questo sì: prima i fatti poi il modo di raccontarli, non il contrario. Pensavamo di essere una comunità: che le nostre regole dovessero essere condivise, che si potesse anche condividere l’idea di derogare a uno statuto purché tutti fossero convinti, impegnati e contenti, che un possibile presidente della repubblica del Pd fosse una vittoria di tutto il Pd, che il Pd non avrebbe mai sfiduciato un presidente del consiglio del Pd o un sindaco del Pd. Pensavamo che il partito non dovesse lasciar soli i sindaci e gli amministratori del Pd, pensavamo di avere i migliori sindaci e amministratori: vincevamo le elezioni amministrative infatti; e diverse volte anche le politiche. Pensavamo che la Costituzione fosse di tutti gli italiani e dovesse unire l’Italia.

Pensavamo di essere rami dell’Ulivo, e che l’Ulivo fosse la ricetta per questo paese. E non c’è nessun motivo per non pensarlo ancora.

Post scriptum. Vorrei aggiungere qualcosa su perché il post di Rondolino più che farmi arrabbiare, come mi sarei aspettata, mi ha lasciata esterrefatta: il fatto è che mentre io parlavo dell’Ulivo e del Pd, e delle cose che abbiamo fatto, anche sbagliando e contraddicendoci, in questi ultimi vent’anni, lui parlava del Pci. Dopo aver esordito con una fulminante citazione di Fabio Mussi ai tempi di  Occhetto – due che appunto nel Pd non sono mai entrati – senza trascurare Guareschi, la Toscana rossa e il Partito con la maiuscola, Rondolino conclude che noi siamo tutti affezionati all’ “orsacchiotto” perché ci garantiva la carriera. Ora a parte che era anche buffo che questi argomenti venissero opposti a me, una che ha votato alle politiche per la prima volta dopo la caduta del Muro, e ha votato per il Partito popolare di Martinazzoli; a parte che sorvoliamo magari sulle carriere di partito; io mi chiedo: forse il problema che ho a capirmi con questa gente non è che sono renziani. E’ che non solo non sono mai entrati con la testa nel Pd, tantomeno provare a capire cosa è stato, ma proprio che non sono mai usciti dal Pci, e dalle loro beghe tra compagni. E per dire quanto sono bugiardi questi giorni bugiardi: loro, rispetto a me, sarebbero “il nuovo”.

Aggiornamento: si avvisano i commentatori che su questo blog non vengono pubblicati i commenti insultanti. Nemmeno quelli che insultano Rondolino 🙂

Mattarella, l’umanità di un presidente adeguato

Ho scritto questo per i giornali locali del gruppo l’Espresso (Il Tirreno, La Gazzetta di Mantova, Il Mattino di Padova, Il Piccolo, Il Centro, La Gazzetta di Reggio, La Gazzetta di Modena, Alto Adige, Il Trentino, Il Messaggero Veneto, La Nuova Sardegna, La Nuova Venezia, La Città di Salerno e altri).

Nessuna dichiarazione alla stampa, o meglio nessuna dichiarazione e basta. Nessuno sguardo in favore di telecamera, mai. Sergio Mattarella ieri ha attraversato la tragedia del terremoto alla sua maniera: niente addetti stampa, zero retorica, zero – apparente – comunicazione. E la gente lo ha applaudito quando è sceso dalla macchina nel piazzale della palestra di Ascoli Piceno dove stavano per cominciare i funerali di stato. Sarebbe già molto di questi tempi: applausi per un politico, e per un politico che non fa niente per rendersi popolare. Ma era solo l’inizio: dopo sono stati abbracci, lunghi, parole sommesse, tutto un modo di essere e di esserci durante la cerimonia. E poi, nei tg, la passeggiata mattutina tra le rovine di Amatrice e di Accumoli, il “grazie” sussurrato e ripetuto ai volontari e alle forze dell’ordine, le carezze ai bambini. In tanti, davanti alla tv e sui social network, hanno percepito, forse per la prima volta, la personalità dell’uomo del Quirinale. Anche i detrattori del presidente dei molti silenzi e delle parole, quando ci sono, quasi impercettibili (è vero, è il suo modo di parlare) hanno sentito qualcosa. C’è chi ha parlato di “grazia di stato laica”.  Continua a leggere

Pd e Anpi, avere torto anche ai limiti della ragione

A proposito di questa polemica tra Pd e Anpi sulle feste dell’Unità – polemica di cui si sentiva tantissimo la mancanza. Io mi rendo perfettamente conto delle ragioni della maggioranza del Pd. Un partito ha tutto il diritto di non ospitare iniziative di propaganda contraria alla propria linea. Siamo al limite, insomma, della legittimità della polemica. Esiste però una serie di fatti di cui si dovrebbe tenere conto, ed esistono errori evitabilissimi che vengono regolarmente commessi tutti: perché? Intanto, i fatti:  Continua a leggere

Ferragosto e cervelli in vacanza

In questo Ferragosto

  • l’ayatollah dell’Ulivo ci spiega che la riforma dei Centouno è il compimento dell’Ulivo
  • il leader della minoranza Pd ci spiega come deve fare a vincere la minoranza Pd e perché fin qui ha dimostrato di non avere leader e classe dirigente
  • l’aspirante anti Renzi ci spiega che si vota sì perché è certo che Renzi cambierà l’Italicum come desidera lui (lui che quando Renzi buttò fuori dalle commissioni chi voleva cambiare l’Italicum ci spiegò che Renzi faceva benissimo)
  • tutti costoro sono d’accordo che ha ragione Cacciari: l’importante è “chiudere coi D’Alema e i Bersani” se no non si va da nessuna parte. Il motivo non è chiaro, ma è evidente che se lo si fa la gente scenderà in strada finalmente libera di inneggiare a Parisi, Cuperlo e Rossi.

Io comunque ho da leggere la biografia di Caterina de’ Medici. Auguri.

Il tour di Di Battista e la grillizzazione del Pd

Io non temo Berlusconi in sé, diceva Giorgio Gaber: temo Berlusconi in me. Forse è tempo di aggiornare quel geniale aforisma, applicandolo ai nuovi protagonisti; forse i grillini si stanno mangiando il Pd. Non è la prima volta che mi capita di pensare che al Nazareno, col Movimento 5 stelle, stiano sbagliando tutto. Dopo la sconfitta delle amministrative, se possibile, l’impressione è peggiorata. Ma ieri mi pare che la faccenda abbia segnato un allarmante salto di qualità.

Succede dunque che Alessandro Di Battista lanci – con tanto di foto accanto allo scooterone – la sua campagna “#iodicono. Costituzione coast to coast”, un giro motociclistico per le spiagge d’Italia per propagandare le ragioni del No al referendum. Qual è stata l’inverosimile reazione dei suoi colleghi parlamentari Pd? Una raffica di tweet che argomentavano: 1) Di Battista si fa pagare le vacanze dai cittadini; 2) chi paga la benzina? Vogliamo gli scontrini; 3) Di Battista non paga al casello perché è un parlamentare che viaggia a spese nostre.

Cerco di mettere in ordine i pensieri, che sono molti.  Continua a leggere

Francesco, o del prenderla alla lettera

Pomeriggio un po’ così. Pensi Francesco va ad Assisi oggi, diamo un’occhiata che Assisi – sì, un po’ come Parigi – è sempre una buona idea. Accendi, boh è già cominciato, e ascolti: l’argomento è il perdono – il perdono della Porziuncola, certo. E Francesco parla e a un certo punto dice: “Invito i frati, i vescovi ad andare al confessionale, anch’io andrò. Ci farà bene ricevere il perdono qui, oggi, insieme”. Poi il discorso finisce, e gli amici bravissimi di Tv2000 annunciano che il programma ora prevede la visita ai frati anziani e malati. Ma intanto la cerimonia non finisce, Francesco si incammina verso una navata della basilica, e loro un po’ interdetti annunciano: “Ecco, forse c’è qualche fuori programma”. Certo che c’è un fuori programma, Francesco è andato al confessionale, penso. Ed è allora che mi torna in mente quel vecchio libro, e mi viene da ridere. Perché non impareremo mai.

L’ho ritrovato. Si intitola Roma a prima vista, è una specie di zibaldone di scritti di Heinrich Boll. L’ho rubato durante uno dei tanti traslochi del Popolo – uno degli ultimi traslochi. Credo di non averlo mai letto tutto, ma c’è un capitolo su Assisi che mi ricordavo bene. Con un pizzico di demagogia in più, Assisi poteva essere la seconda Roma, scrive Boll. Poteva essere la capitale del grande scisma, come Bisanzio: “Il piccolo figlio di un mercante aveva l’Europa in mano come una palla: ma la tirò verso Roma”. Attizzò l’incendio, ma solo dopo aver chiesto al papa il permesso di attizzarlo. Perché Francesco, scrive Boll, è uno che nella vita ha preso tutto alla lettera. Pensate a un altro nella stessa situazione: stai pregando in una chiesetta diroccata in mezzo alla campagna e il crocifisso prende su e ti parla (secoli prima di don Camillo eh!), e ti dice “Francesco vai e ripara la mia casa che è in rovina“. Che cosa fa, chiunque? La riforma della Chiesa, come minimo. La rivoluzione. La guerra contro il papa e i vescovi ricchi e corrotti. Chiunque ma non Francesco: lui prende sassi e calce e si mette a restaurare la chiesetta diroccata. Tutto alla lettera prendeva, Francesco. Soprattutto il Vangelo.

E noi invece se papa Francesco dice “andiamo al confessionale“, e poi ci va, pensiamo ah, dev’esserci un fuori programma. Invece di pensare: è ovvio che ci vada. Perché lui è Francesco. E noi chissà se impareremo mai.

Rai, quelle nomine vecchio stile

Ho scritto questo per i giornali locali del gruppo l’Espresso (Il Tirreno, La Gazzetta di Mantova, Il Mattino di Padova, Il Piccolo, Il Centro, La Gazzetta di Reggio, La Gazzetta di Modena, Alto Adige, Il Trentino, Il Messaggero Veneto, La Nuova Sardegna, La Nuova Venezia, La Città di Salerno e altri).

Alla fine è sempre un problema di storytelling: se hai promesso che avresti cambiato tutto, hai detto che avresti buttato fuori i partiti dalla Rai, hai twittato che era “la volta buona” poi non c’è da stupirsi che le aspettative siano alte. E che la sostituzione di (alcuni) direttori di testata in carica da diversi anni, di per sé non scandalosa, peraltro con ottimi professionisti interni all’azienda, lasci la sensazione che qualcosa non va. Avallata, la sensazione, da tanti estimatori di Renzi che per difenderlo dalle critiche dicono in sostanza: ma non si è sempre fatto così? A parte che no, non sempre, non proprio. Il problema è che avrebbe dovuto arrivare il messaggio che stavolta era tutto diverso. E che anche questa vicenda manifesta il momento difficile del presidente del consiglio, la sua scarsa sintonia col paese.  Continua a leggere