A ciascuno il suo “Staff”: la disintermediazione inganna

Ho scritto questo per i giornali locali del gruppo l’Espresso (Il Tirreno, La Gazzetta di Mantova, Il Mattino di Padova, Il Piccolo, Il Centro, La Gazzetta di Reggio, La Gazzetta di Modena, Alto Adige, Il Trentino, Il Messaggero Veneto, La Nuova Sardegna, La Nuova Venezia, La Città di Salerno e altri)

Forse non è vero che i partiti sono poi così deboli e in crisi. O per lo meno bisogna ammettere siamo di fronte a un bel paradosso: proprio mentre si sostiene che destra e sinistra non esistono più e si danno per archiviate tutte le modalità tradizionali di partecipazione collettiva, il potere del partito, la richiesta di disciplina, il bisogno di strutture gerarchiche si riaffacciano con più forza.

È proprio nel partito in teoria più nuovo, post ideologico e addirittura post politico, il Movimento Cinque Stelle, che avvengono i fatti più clamorosi. L’espulsione del sindaco di Parma Pizzarotti e la dichiarata disponibilità di Virginia Raggi, in caso di elezione a sindaco di Roma, a farsi da parte su richiesta del “Garante” in caso di avviso di garanzia hanno destato scandalo, e non poteva essere diverso. Abbiamo sentito ripetere concetti cari alla stagione d’oro dei sindaci, dopo l’introduzione dell’elezione diretta: che un sindaco rappresenta innanzitutto la propria città, che deve rispondere ai cittadini, che deve essere libero anche di trattare coi partiti che lo sostengono, e soprattutto col suo, in virtù del mandato diretto che ha ricevuto.

Eppure a pensarci bene proprio il caso Roma dimostra che al di là degli aspetti inquietanti e di scarsa trasparenza del meccanismo dello “Staff”, denunciati proprio da Pizzarotti, scagliare la prima pietra è rischioso. Non era stato forse eletto dai cittadini, oltretutto dopo aver vinto le primarie, il sindaco Ignazio Marino? Non è stato forse il suo partito, e un partito da mesi commissariato, coi circoli che si riuniscono solo previa autorizzazione e il gruppo dirigente locale azzerato, a sfiduciarlo negandogli addirittura l’autodifesa in Sala Giulio Cesare, senza dibattito e senza voto?

E i messaggi whatsapp senza risposta resi pubblici dal sindaco di Parma non ricordano forse i tentativi vani di parlare col presidente del consiglio (segretario del suo partito) raccontati da Marino nel suo libro? Eppure il Pd sembra rimuovere la contraddizione, se il suo candidato Giachetti definisce «raccapriccianti» le parole della Raggi: «Renzi non si azzarderebbe a chiedermi una cosa del genere».

Per non parlare della destra, dove certe cose non fanno più nemmeno notizia. La differenza col passato semmai adesso è che la leadership in quel campo è incerta e indebolita, ma forse non così tanto se, salvo gazebarie e bertolarie e consultazioni di ogni tipo, una cena a palazzo Grazioli basta ancora per inventare un candidato a sindaco di Roma e poi a farlo ritirare in favore di un altro già più volte rifiutato. Esce Bertolaso, entra Marchini: chi ha deciso? Silvio, come sempre. Anche se paradossalmente è proprio a destra, e proprio a Roma, che sembra manifestarsi qualche forma di ribellione, vedi candidatura di Giorgia Meloni.

Insomma più i partiti sono deboli e leggeri, più pretendono di comandare sui dirigenti e sugli eletti: è l’altra faccia della personalizzazione. Uno di quei casi però in cui la disintermediazione inganna: ti illude di allargare la democrazia grazie al rapporto sempre più diretto col leader ma riduce in realtà ciè che viene definito l’ “accountability”: nel senso che eleggi materialmente qualcuno che, poi, non risponderà a te che l’hai votato, ma risponderà – come te – al leader. Per questo è molto seria, e dovrebbe essere forse più libera dalla propaganda, la discussione in corso alla camera su come regolamentare per legge la vita interna dei partiti.

La trasparenza, cioè la chiarezza sulla persona del leader, è certamente necessaria per evitare la deriva orwelliana degli “Staff”, ma forse non è un criterio sufficiente. A meno che non si voglia dar ragione al deputato di Ala Massimo Parisi che qualche giorno fa alla camera, in un’inedita alleanza proprio con i grillini, ha sostenuto che appunto conta solo la trasparenza ma non la democrazia: «Se io voglio aderire a un partito iperpresidenzialista
dove decide tutto il “capo assoluto” devo essere libero di farlo: saranno poi i cittadini con il voto a decidere se quel partito ha diritto di cittadinanza o meno».

Che è una tesi legittima, per carità. Un po’ inquietante, ma legittima.

One Response to A ciascuno il suo “Staff”: la disintermediazione inganna

  1. Perdona il segno ‘d’irriverenza’, dovuto però ad un contrappunto che da tempo, anche parecchio tempo, m’infastidisce e che emerge senza riguardo/i: non è legittima la tesi del capo assoluto in generale ma comunque è semplicemente incostituzionale nei partiti.
    L’art.49 della Costituzione parla di metodo democratico per l’associazione partitica, il chè sottende uno o più leader con ampia base di consensi e non un ‘capo assoluto’. Infatti alla Camera la legge sui partiti in discussione, nel testo base, parla di metodo democratico di organizzazione all’interno dei partiti, ed a a riprova della giustezza di questa impostazione si possono menzionare le devoluzioni previste a favore dei partiti, da parte dei singoli, e fino ad un certo limite, e che sanciscono la ‘multioperatività’ degli stessi, anche se negli ultimi tempi questo fatto non è molto gradito …
    ed infine, per tornare alla Camera dei deputati, la Commissione Affari costituzionali nei giorni scorsi, come ben sai, ha approvato l’emendamento Mazziotti (SC), che estende l’applicazione delle norme del codice civile all’organizzazione interna di partiti e movimenti. Che vuol significare che i diritti civili valgono anche all’interno dei partiti.
    Insomma i partiti hanno l’obbligo di organizzarsi democraticamente, perchè l’Associazione Partito è un’espressione della società e non può agire nè all’interno, nè all’esterno come un’impresa privata, di tipo unidirezionale che conta di attirare adesioni attraverso la ‘persuasione’. Non è un fatto individuale ma si contestualizza all’interno dell’indirizzo civile, soiale e democratico della Repubblica italiana, sancito in Costituzione, che ripudia le forme passate di assolutismo ideologico.
    Quindi il punto controverso su cui punto il dito, in sostanza, è l’idea di far passare come legittimo un partito organizzato sul modello ‘privatistico’ , ecco è su questo che oggi si deve combattere, questo è incostituzionale.

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