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Gori sbaglia. Non serve un altro segretario, ma un altro Pd

Pubblicato su Tpi.it

La sortita di Giorgio Gori contro la leadership del Pd, prima ancora che a obiezioni di merito, si presta alle critiche circa la sua sgradevolezza. Per inesperienza o goffaggine (se non per intenzione, ma non credo), il sindaco di Bergamo ha avanzato le sue critiche a NIcola Zingaretti dapprima nel corso di un dibattito in streaming ospitato da un altisonante studio legale d’élite (non propriamente un appello al popolo delle primarie), poi le ha riprese in un’intervista a Repubblica che ospitava, nella pagina successiva, un’altra intervista che annunciava la candidatura di Ivan Scalfarotto a nome di Italia viva e degli altri partiti centristi più o meno figli di scissioni dal Pd a presidente della regione Puglia “contro Emiliano”. Quelle critiche hanno lasciato così l’impressione che dentro le mura del Pd qualcuno abbia lasciato un cavallo di legno pieno di soldati pronti, a un segnale convenuto, a uscire nella notte e a incendiare la città di concerto con chi l’assedia da fuori. Bruttino.

La debolezza degli argomenti di Gori però è anche di merito. Non è chiarissimo infatti come si possa rimproverare al Pd di essere fermo più o meno ai valori del suo disastroso risultato del 2018, “il peggiore di sempre” dice giustamente Gori, riproponendo di fatto la linea politica che ha portato il Pd a quella sconfitta: sostanzialmente il blairismo dei tardi anni 90, radicale sui diritti civili e liberale su finanza e impresa, come reinterpretato fuori tempo massimo dal Pd negli anni del renzismo.

Il senso politico, tuttavia, è chiaro. Senza dichiarare ambizioni di leadership, Gori si propone però come front runner tra quanti, non sono pochissimi dentro e nei dintorni del Pd, perseguono, in nome del “riformismo”, altra parola assai in voga diversi anni fa, la fine in tempi medi dell’intesa tra i democratici e il Movimento Cinque stelle.

Questa almeno è una posizione politica chiara, ma ha un grave difetto: col suo 19 per cento, che magari può crescere un po’ anche se come detto sopra non è chiaro il modo, non si capisce come un partito di sinistra possa ambire a giocare un ruolo politico e di governo non dico solo in questa legislatura, ma nell’Italia di oggi, senza un rapporto, anche se non necessariamente di alleanza elettorale, con i grillini. A meno di non cercarlo con Salvini e la Meloni, quel rapporto, magari in nome della “lotta ai populismi”, ma questo nessuno lo dichiara. Su questo però il Pd non riesce a dimostrare di avere le idee chiare, e c’è un motivo. È l’unico punto su cui Gori ha ragione.

Zingaretti, due anni fa, ha vinto limpidamente le primarie del Pd. Ma la sfida di quelle primarie è stata reticente e non sincera. Tre candidati si sono sfidati a colpi di chi gridava più forte il suo “mai mai mai con i Cinque stelle”; e solo qualche mese dopo, grazie a Dio, si è visto come quel “mai” non aveva ragione di esistere di fronte al minimo spiraglio per fare politica. A meno di non essere appassionati di popcorn, invece, come chi contava ancora molto nel Partito democratico nella fase in cui a quel dialogo si chiusero le porte. Qualcuno evidentemente, alla luce dei fatti successivi, interessato a che il Pd andasse incontro a una serena e rapida dipartita: sì, parlo di Matteo Renzi.

Quei “mai con i Cinque stelle”, nel congresso del Pd, erano un modo di non chiudere i conti con la stagione passata. Consentirono una sfida dove i massimi dirigenti si schierarono, esasperando un antico vizio della casa, più per calcoli e per amicizie che per reali differenze politiche: Gentiloni e Orlando con Zingaretti, gli ex renziani chi con Giachetti e chi con Martina. A casaccio, insomma, e soprattutto a prescindere dalla politica.

Ora c’è Zingaretti che ha vinto bene, fa bene il segretario e “ha pacificato il Pd”, come ripete Goffredo Bettini e come dimostrano le tiepide reazioni anche dei non zingarettiani alla sortita di Gori. Tuttavia resta sullo sfondo la non sincerità politica di quel congresso, e la questione non (forse mai) risolta dell’ “identità” del Pd, che infatti viene posta dal sindaco di Bergamo. Nei mesi della pandemia Zingaretti non ha quasi mai trovato le parole e i tempi: non solo per il problema di salute che lo ha colpito, dal quale fortunatamente è uscito presto e bene, ma per la pesantezza di un ruolo che sembra schiacciarlo. Anzi di due ruoli, a proposito del fatto che secondo Gori il segretario “dovrebbe essere” (altro retaggio anni 90) “un amministratore espresso dai territori”: sembrava che Zingaretti non potesse dire quasi niente come segretario del Pd perché era presidente di una regione; e quasi niente, caso pressoché unico tra i suoi colleghi, come presidente di regione perché era segretario del Pd. Ma soprattutto la seconda cosa.

Ma qual è l’identità del Pd negli anni Venti? Ci vorrebbe un congresso appunto. Anche se con le iniziative politico culturali di Gianni Cuperlo il Pd pre Covid aveva dimostrato di aver cominciato a porsela, la domanda. Oggi però il partito appare muto e immobile. Peggio, appare paralizzato da una sorta di appagamento e di presunzione di autosufficienza che non sono in alcun modo giustificati dai numeri dei sondaggi, per quanto confortanti rispetto alle micro scissioni subite. Nelle dimensioni della vittoria di Zingaretti alle primarie c’era un’aspettativa di rigenerazione del campo del centrosinistra che andava oltre gli stessi confini del Pd. Ma per ora quelle attese non sono state soddisfatte. Dalle Sardine alle donne di Perugia, dalle manifestazioni antirazziste all’inquietudine per il futuro del lavoro, al bisogno di protezione e magari di Stato (ri)scoperto a causa della pandemia, nel paese accadono cose dalle quali il Pd è fuori. Emergono domande che il Pd non raccoglie, e che non sono nemmeno a lui indirizzate. Il Pd continua ad apparire un partito pago, che vagheggia di vocazioni maggioritarie e candidati premier, che fa filtrare nomi per tutto, dal Quirinale al sindaco di Roma, senza accorgersi di non avere il fisico per ambire, in teoria, a niente. L’atteggiamento verso i Cinque stelle fatica a nascondere un senso di superiorità che i fatti non sempre giustificano. Sui territori le correnti impazzano. Offrire a personalità non di primissimo piano ma senza curriculum di partito ruoli come la presidenza dell’assemblea nazionale non sostituisce la necessità di parlare a quell’enorme fetta di “sinistra” nel paese a cui oggi il Pd non ha niente di significativo da dire.

Servirebbe riorganizzare quel campo, e possibilmente assumerne la guida. Ma per questo ci vorrebbe molto più coraggio e molta più generosità di così. Qualcosa che appunto si vedesse da fuori, desse il segno che la sinistra si rimette in gioco, e chi ci vuole stare trova spazio, e chi non è d’accordo fa serenamente altro, senza per forza “pacificarsi” con tutti. Non un altro segretario, ma un altro Pd. O un’altra cosa.

 

La politica come parodia della politica

Questo week end ho fatto un sacco di chilometri e tantissime cose, mo’ non ve le sto a raccontare tutte ma per brevità vi dirò: guardate Gazebo. Dovreste guardarlo sempre eh, ma domenica sera Gazebo era folgorante. Non perché fosse la puntata più bella che hanno fatto, assolutamente. Ma perché era una fotografia dell’Italia. Della politica e del giornalismo politico in Italia oggi. La cui parola chiave, quella che spiega tutto, è: parodia.

Pensate alle Gazebarie. Già dal nome è una parodia delle primarie no? Una cosa da ridere, via. E infatti quello erano le Gazebarie di Bertolaso: una consultazione su un solo candidato (“volete voi confermare”, eccetera eccetera), oltretutto un candidato manco tanto sicuro di esserlo (la sera stessa ne è venuto fuori un altro, anzi un’altra); un’iniziativa propagandistica che simula un meccanismo elettorale; un set per leader politici che mimano il gesto di votare; un plebiscito in favore di telecamere. Ecco, le telecamere. Guardate Gazebo anche per questo, per il circo mediatico. Una bolgia infernale e urlante che rischia l’osso del collo per un frame di Berlusconi che mette la finta scheda nella finta urna; uno strillare domande a casaccio cercando di scansare il telefonino di Gasparri che fa le foto per twitter; un riportare i dati farlocchissimi sull’affluenza “già altissima alle 9 e 30 a Mezzocamino”, quando è evidente che ai seggi c’è solo mezzo gruppo parlamentare di Forza Italia che si sposta per fare da set agli arrivi del macchinone di Berlusconi. “Hanno votato in cinquantamila!”, ha sparato la propaganda forzista alla fine di due giorni di “votazioni” senza competizione, senza registrazione dei votanti, senza osservatori, senza richiesta di documenti. Hanno votato in cinquantamila, hanno riportato i mass media, al massimo strizzando l’occhio per far capire tra le righe che sì, vabbè, mica ci crediamo, ma questo è il dato che ci comunicano. Continua a leggere

Partito della nazione? Io preferisco cambiare il mondo

Sulla direzione di ieri gli amici del sito Intelligo News mi hanno fatto questa intervistina che vi invito a leggere, il titolo è un po’ forte ma diciamo che avevo detto che “se lo intendiamo così”, come sembra di capire, il partito della nazione che ha in mente Renzi è il contrario del centrosinistra e dell’Ulivo, secondo me.
Una senatrice ieri in direzione ha detto che il Pd è un partito aperto, ma così aperto, che “raccoglie tutto quello che c’è in giro”. Ora, a parte che detto così sembra l’Ama, a me non è che piaccia così tanto, quello che c’è in giro. Io, che ci volete fare, sono una che vuole cambiare il mondo. Per questo mi appassiona la politica. E per questo sono una persona di sinistra.
Su ieri c’è anche altro da dire, io penso che sia stata tutto sommato un’occasione persa. Un’occasione di parlarsi con verità, soprattutto. Come facciamo a fare il bipartitismo con tre poli, per esempio (grazie a una legge elettorale che sarà approvata insieme al terzo, peraltro). Cosa ci differenzia dalla destra, ammesso che. Che cos’è la Leopolda (“veniteci anche voi” no, non è una risposta). Come si fa politica senza soldi e senza dipendere da chi ce li ha e te li dà. Questo calo degli iscritti, se c’è o no. E soprattutto se ci dispiace o è una bella cosa. Come si fa a dire “la prossima volta che eleggiamo il presidente della repubblica non dovremo farci condizionare da twitter” dopo aver capeggiato la rivolta su twitter. Cosa vuol dire disciplina, cosa vuol dire lealtà. Però è stato detto che era un inizio, la riunione di ieri. Non ho capito bene come si prosegue, ora. Ma confidiamo.

A proposito, molte cose che penso e che comunque trovo interessanti sul partito della nazione le trovate qui.

Quel ramo del partito emiliano

Stefano Bonaccini è il candidato del Pd alla presidenza della regione Emilia Romagna, auguri.
Bonaccini è stato votato da 34.751 persone. Aveva un solo avversario,
Roberto Balzani, che ha preso 22.285 voti. Ieri hanno dunque partecipato alle primarie del Pd circa cinquantamila persone.
Nel 2009, con due avversari, lo stesso Bonaccini era stato eletto segretario regionale alle primarie del Pd con circa 190.000 voti. Avete capito bene, centonovantamila voti li aveva presi lui, senza contare quelli degli altri due candidati.
Gli iscritti del Pd emiliano, dati storici perché dati ufficiali sul tesseramento di quest’anno non risulta che esistano, sono circa settantacinquemila.
Chissà se qualcuno prima o poi si chiederà com’è messo il Pd, magari non solo in Emilia Romagna dove di solito sta meglio che altrove. O se bisogna aspettare che un campione casuale e numericamente scarso di cittadini, invece di eleggere il candidato favorito e appoggiato dal segretario nazionale, com’è avvenuto stavolta, designi, com’è perfettamente possibile e probabile, qualche illustre rappresentante di qualcos’altro a rappresentare il Pd.
Sarebbero cose interessanti da chiedere al segretario del Pd dell’Emilia Romagna, ma guarda caso è Bonaccini e ora avrà altro da fare. O al responsabile organizzazione del Pd nazionale, ma guarda caso il plenipotenziario di Renzi, Lorenzo Guerini, ha assunto anche questa delega.
Ma va tutto molto bene, perché la gente ci vota, dicono. Seduti comodamente sul ramo che stanno segando.

Caro Lotti scusa, come fai a dire che Orsoni non è del Pd?

questo post è uscito anche su Huffington post
Caro Luca Lotti, scusami tanto. Ma come fai a dire che Giorgio Orsoni non è del Pd? Orsoni, il sindaco di Venezia. Quello che ha vinto le primarie, sostenuto dal Pd. E poi le elezioni, al primo turno, sostenuto e festeggiato da tutto il Pd. Uno dei mitici sindaci del Pd, hai presente? Quelli che volete fare senatori, per il cambiamento. Ma ora lungi da me rinfacciartelo, figuriamoci.
Non eri tu, scusa, il Luca Lotti che in segreteria (segreteria Epifani) da responsabile Enti locali caldeggiava “primarie aperte, apertissime”, sottintendendo che “quelli di prima” l’altra volta non le avevano aperte abbastanza? Ecco, volevo chiederti: chi è del Pd allora scusa? Solo chi ha la tessera è del Pd adesso? E come mai allora anche chi non ce l’ha, la tessera, partecipa alle primarie per eleggere il segretario del Pd, dove uno vale uno, e il voto di Orsoni conta come il mio, e come il tuo? Orsoni, ricorderai, ha partecipato da sindaco di Venezia alle primarie per il segretario del Pd, schierandosi apertamente per Matteo Renzi, ma ora lungi da me rinfacciartelo, figuriamoci. È che mi domando, e non capisco, se ora improvvisamente per essere del Pd si debba essere iscritti, e allora perché mai chi non è iscritto decide chi dev’essere il nostro segretario, se non è del Pd. Hai detto che non è del Pd perché “non è mai venuto alla direzione”, ma ti ricorderai che anche Matteo, quando era sindaco di Firenze, alla direzione non ci veniva, pur avendone diritto. Alla “seduta di autocoscienza” anzi. Non ci veniva. Eppure Matteo era un sindaco del Pd no?

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Oggi non voto alle primarie (Ma sì, facciamoci qualche altro amico)

Dopo la messa, come al solito, sono passata davanti al gazebo. Ho fatto ciao con la manina a Luigi, che stava lì come tutte le altre volte, e questa volta ho proseguito.

Primo motivo. Penso che non abbia alcun senso fare le primarie per eleggere il segretario regionale di un partito, una scelta che interessa solo agli iscritti a un partito e non si vede a chi altro dovrebbe interessare. Tutte le critiche che rendono discutibile il ricorso a primarie aperte per l’elezione del segretario nazionale, nel caso dei segretari regionali acquistano talmente tanta forza che questo argomento non dovrebbe essere nemmeno messo in discussione. Prima che qualcuno me lo dica, che potevamo cambiarle queste regole, rispondo: se potevamo non lo so, non è detto che avremmo avuto la maggioranza per farlo. Ma sicuramente dovevamo provarci con più forza

Secondo motivo. Non è che io partecipi molto attivamente, ma sono iscritta a un circolo del Pd di Roma. Inoltre ho sempre votato a tutte le primarie, lasciando ogni volta mail e recapiti. Ebbene, non ho ricevuto alcuna comunicazione riguardo a oggi. Nessuna convocazione al gazebo, nessun invito a discutere, nessun annuncio di candidatura, nessuna dichiarazione di sostegno. Insomma, non saprei proprio per chi votare. E sinceramente, avendo sfogliato un po’ i giornali, visto che si trattava di schierarsi o coi renziani-con-Bettini o coi renziani-senza-Bettini non ho trovato interessante approfondire.

In bocca al lupo a chiunque sarà eletto, ma soprattutto al Partito democratico.

Lettera aperta a Marianna Madia

(questo post è stato scritto per Huffington post Italia)

Cara Marianna,

a suo tempo non lo dissi pubblicamente, ma tu lo sai: alle primarie per i parlamentari io ho votato per te. Conosci anche il motivo: avevo superato i pregiudizi dovuti al modo in cui ci era stata presentata la tua prima candidatura, e di quei pregiudizi un po’ mi sentivo colpevole. Avevo visto che da parlamentare ti eri concentrata su un tema, il lavoro, e ti eri impegnata con serietà e concretezza. Mi faceva anche piacere votare per una persona, e una donna, che si era dimostrata libera da settarismi e serena nei rapporti politici e personali.

Oggi però, nell’augurarti in bocca al lupo come responsabile lavoro del Pd, compito che non ho dubbi svolgerai egregiamente, sento il bisogno di rivolgerti qualche domanda, che ti faccio in pubblico perché mi pare che la cosa non riguardi solo me e te. Mi spiego. (continua qui)

Sul confronto su Sky, col senno di poi

Col senno di poi, senza criticare nessuno: forse il confronto tra i candidati alla segreteria del Pd non si doveva fare su Sky; sicuramente non si doveva fare così. Intendiamoci subito: ieri sera abbiamo visto dell’ottima televisione e anche degli ottimi candidati, ma complessivamente quello che abbiamo visto è stato umiliante. Non si doveva accettare che in tutta la serata i candidati alla segreteria del Partito democratico non dovessero rispondere NEANCHE A UNA DOMANDA sul partito: collocazione europea, organizzazione, ruolo degli iscritti, dei territori e degli eletti, nuovo gruppo dirigente e nuovi organismi, modalità di decisione e tutela del pluralismo, politica delle alleanze, comunicazione: in pratica (e in estrema sintesi) tutte le questioni con le quali hanno dovuto fare i conti tutti i segretari, i dirigenti e i militanti del Pd dalla nascita del partito a oggi.
Non dovevamo – e non dovremo mai più per nessun motivo al mondo – accettare cose come l’applausometro, il tasto verde, il televoto. C’è un limite alla perdita di qualsiasi dignità e solennità dei processi democratici. C’è un limite alla confusione di tutto con tutto. E c’è un limite anche all’inquinamento della percezione di chi guarda: un attimo dopo la sigla gli studi tv erano pieni dei personaggi più distanti dal target degli elettori delle primarie che si affannavano a stabilire chi era stato più “bravo” a scegliere la cravatta e a guardare la telecamera, a piazzare la battuta e a rispettare il gong. Le primarie, anche le primarie aperte a “tuttituttitutti” non sono questo, non è questa la gente che va a votare, non è così che ragiona e non è così che decide.
Detto questo, per me il confronto non sposta granché, i dati di ascolto dimostrano che l’hanno visto in pochi e quei pochi molto probabilmente hanno già deciso chi preferiscono e difficilmente cambieranno idea.
Prevengo la critica: lo dici perché voti Cuperlo eccetera eccetera: per me Cuperlo è andato molto bene ieri sera, proprio perché ha parlato al suo target elettorale senza fare errori e con molta efficacia; lo stesso, più o meno, hanno fatto gli altri, ma lui quella parte ha fatto e quella doveva fare.
Prevengo l’altra critica: però quando lo faceva Bersani eccetera eccetera: si può discutere di tutto ma scegliere un candidato premier non è e non può essere la stessa cosa che fare il congresso di un partito. Ne ero già convinta, ma dopo ieri sera ne sono molto più convinta.

Una domanda a chi mi insulta

Probabilmente è inevitabile che le primarie incattiviscano il confronto e generino spiacevolezze. Sulla rete poi, lo sappiamo, non c’è da spaventarsi se i toni degenerano, anche se è piuttosto spiacevole, specialmente quando a degenerare e a non rendersi conto di superare i limiti è qualcuno che conosci. Io del resto sono polemica e provocatoria, non ho nessuna intenzione di rinunciarci e sono disposta a pagare per questo anche qualche prezzo: sono fatta così e non saprei essere diversa. Offensiva, cerco di non esserlo mai, anche se qualcuno è tanto allergico alle critiche da catalogarle sempre tutte alla voce “insulti”. Ma appunto, ognuno ha il suo, di senso del limite. E io continuo a credere che anche se sui social non sembra, alla fine gli intelligenti siano più dei tifosi: da tutte le parti.

In merito alle aggressioni volgari e insultanti che ritengo di avere subito in questi giorni sui social network – aggressioni in fase di aumento mi pare, ma per fortuna all’8 dicembre manca poco e poi magari qualcuno si rilassa – voglio dire solo una cosa, e poi fare una domanda, una domanda che nasce più dall’inquietudine che dal risentimento.  Continua a leggere

Ammesso che il problema sia Crisafulli

Guardate che Crisafulli – ammesso che il problema sia Crisafulli – non è che vince perché ha le tessere: Crisafulli vince perché ha il consenso. Lui l’ha anche detto, con un certo adorabile umorismo gaglioffo (scusate, de gustibus): “Nella mia città – ha detto – io vinco anche col sorteggio”. C’è da fare le tessere? Crisafulli fa più tessere degli altri. C’è da portare la gente al gazebo? Crisafulli porta più gente di tutti al gazebo. Vale, sia chiaro, per tutti i Crisafulli d’Italia. E però il caso di Crisafulli è molto interessante, per tanti motivi.
Intanto perché è in corso un clamoroso e plateale tentativo di crocifiggere Cuperlo a Crisafulli. Gli autori di questa operazione, dico i renziani, sono gli stessi che quando gli rinfacci qualche episodio paragonabile e imputabile a candidati che anziché Cuperlo sostengono Renzi, ti rispondono indignati: “E noi che c’entriamo? Cosa volete da noi? Mica possiamo conoscere tutti quelli che votano Renzi! Noi parliamo solo dell’Italia e dei suoi problemi, queste cose non ci riguardano!”. Frasi testuali eh, non roba che mi invento io. Ok, ma allora perché il caso Crisafulli dovrebbe riguardare Cuperlo, solo perché Crisafulli per la segreteria nazionale sostiene Cuperlo, e invece il caso dei sessanta iscritti albanesi di Asti che hanno votato un segretario di circolo che sosterrà Renzi non dovrebbe riguardare Renzi? Ma non è tutto. Continua a leggere