Tag Archives: angelino alfano

Voto il lunedì? Non è questione di soldi ma di storytelling

Per me, a differenza dal “renzianissimo” senatore citato oggi da Repubblica (e in parte perfino da Enrico Letta), non è una questione di costi. I soldi per la partecipazione democratica, anche quelli per allargarla, sono sempre ben spesi. So di essere impopolare ma io sono favorevole ai costi della politica, e anche al finanziamento pubblico, che è l’unica possibilità di garantire a tutti l’esercizio dei diritti e dei doveri democratici: una questione sulla quale prima o poi la realtà ci costringerà a tornare a riflettere, speriamo non troppo tardi.

Il punto è un altro: se si temeva, giustamente, l’astensione, perché il governo ha fissato le elezioni amministrative il 5 giugno, cioè durante il ponte del 2 giugno (e i ballottaggi il 19, a scuole chiuse)? Non potevamo votare a maggio, o anche ad aprile? Perché, soprattutto, nessuno lo spiega? Continua a leggere

Perché la fiducia sulle unioni civili mi fa imbufalire

  1. Come cattolica (lo dico ai “cattodem” di piazza e d’aula e anche al caro Angelino, che canta vittoria e si permette di insultare esponenti del partito suo alleato che “vogliono far male a Renzi”, che tenero lui): chi mette la fiducia oggi su un tema etico, si vedrà mettere la fiducia domani su un altro tema etico. La vita parlamentare è fatta così, si chiamano precedenti. Nel Vangelo si chiama “non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”, ma è la stessa cosa. Significa (anche) che ogni essere umano è immagine e riflesso dell’infinita sapienza di Dio, e ogni coscienza merita il rispetto che ciascuno chiede per la propria. (La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui luce risuona nell’intimità propria… Nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità. Gaudium et spes, costituzione pastorale su La Chiesa nel mondo contemporaneo, capitolo 16).
  2. Come cattolica democratica, seduta sulle spalle di giganti che ci hanno insegnato – in qualche caso prevenendo e anticipando lo stesso Concilio – il valore della libertà di coscienza e l’autonomia della politica, difendendola dai laicisti, dai clericali e qualche volta dai loro vescovi stessi, e a caro prezzo. Da De Gasperi che dice no all’operazione Sturzo arrivando fino a quei cattolici democratici che ribellandosi al Non possumus sui Dico diedero di fatto vita al Pd all’inizio del 2007, epoca del primo Family day, e nel momento in cui un papa dal cuore libero e dalla parola limpida dice ai giornalisti di “non ricordare bene” il famigerato documento sui “valori non negoziabili” che nel 2002 quasi uccise il cattolicesimo democratico vincolando l’azione politica dei laici alle decisioni dei vescovi, restituendo potenzialmente a chi fa politica la propria dignità e la propria libertà, trovo intollerabile che la mediazione sui temi etici venga affidata ad accordi e patti politici come un qualsiasi rimpasto di governo o come un decreto milleproroghe.
  3. Come democratica, cioè come elettrice del Pd. Il rispetto del pluralismo delle idee, insieme al principio della laicità della politica e delle istituzioni, sono principi fondativi del nostro partito, riconosciuti al punto 2 del nostro Codice etico. Il Regolamento del nostro gruppo al senato (punto 3) riconosce e garantisce espressamente “la libertà di coscienza dei senatori, con particolare riferimento alla incidenza delle convinzioni etiche o religiose dei singoli nella sfera delle decisioni politiche”. La fiducia su questioni come i diritti degli omosessuali e il sì o no all’adozione del figlio biologico del partner, dentro il Pd, è una bestemmia, che contraddice le ragioni fondative della nostra comunità politica e ne mette a rischio la sussistenza come tale. Il contrario di quello che abbiamo sognato, desiderato e immaginato.

Ancora una volta il Pd si avvia a scegliere, sulla legge Cirinnà, una strada che prescinde dalla politica, dal ruolo della politica, dalla ricerca di una sintesi politica. Dopo aver predicato per mesi che “la legge Cirinnà è il massimo della mediazione possibile” e che “deciderà il parlamento”, all’improvviso, senza nessuna autocritica dei vertici del partito e del gruppo, passa dal “chi vota vota” alla blindatura di un compromesso al ribasso. Lo fa creando un precedente pericoloso e doloroso, che non scioglierà il conflitto ma ce lo consegnerà intatto e pronto per la prossima forzatura. So che qualcuno dice meglio una legge così così che nessuna legge: sono d’accordo, anche se credo che una legge migliore di quella che scaturirà dall’accordo Renzi-Alfano sarebbe ancora possibile, se il Movimento 5 stelle cogliesse per una volta l’occasione di fare politica e di provare a cambiare davvero le cose in questo paese. E tuttavia non sono indifferente al metodo, perché il metodo è sostanza. Non diventeremo un paese più libero con metodi illiberali. Non diventeremo un paese più maturo trattando i parlamentari come scolaretti.

Quarto e il reato di clandestinità, cioè la stessa cosa

Eppure non è difficile. Se si teorizza che un partito debba essere lo specchio della società, che debba rappresentarla risucchiandola come un’idrovora, se i parlamentari sono tali in quanto “cittadini”, se la democrazia è “uno vale uno”, se le decisioni non derivano da un sistema di valori e da un’identità condivisa ma le prende di volta in volta “la rete”, allora perché la camorra non dovrebbe approfittare dell’occasione di avere uno spazio in cui dire la sua? Di più: se si aspira a fotografare la società, tutta la società, così com’è, per quale motivo si dovrebbe essere immuni da inquinamenti e infiltrazioni di forze organizzate e saldamente presenti nella società, non solo del sud?

E se si teorizza che la politica è comunicazione, che si vince in quanto si sa comunicare (e viceversa), che un paese si governa con lo storytelling, che l’importante è puntare ogni giorno a fare bella figura sui giornali del giorno dopo, che l’immagine viene prima di tutto, allora perché si dovrebbe abolire il reato di immigrazione clandestina, anche se è dimostrato che non funziona, anche se lo chiedono i principali operatori sul fronte sociale e giudiziario, anche se è la posizione storica del tuo partito, anche se il parlamento ti ha dato un mandato ad abolirlo, quel reato, all’interno di una legge delega che tu gli hai chiesto e che sei stato tu stesso ad annunciare trionfalmente come cosa fatta diversi mesi fa?

Ho letto e condiviso molti post interessanti in questi giorni, sia sulla vicenda di Quarto che sull’odioso reato voluto dalla destra più ideologica e retriva che il governo non vuole abolire. Cito in ordine sparso quello di Michele Serra su Repubblica, quello di Marco Bracconi su Repubblica.it, quello di Marco Esposito su Giornalettismo, fino al magnifico pezzo di Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera di oggi. Mi pare che queste due vicende abbiano in comune un fatto: la politica si consegna agli umori di giornata, il Pd e il Movimento Cinque Stelle si ingaggiano in una gara di “gnè gnè gnè” che li rende indistinguibili l’uno dall’altro, drammatica nemesi del “tutti sono uguali”, l’infausto slogan che ha fatto la fortuna del grillismo, anche perché in troppi lo hanno alimentato e in pochissimi hanno provato a contrastarlo e a dire che era solo un modo per convincerti a restare chiuso dentro casa quando viene la sera, oh se lo era.

Altro che primato della politica, altro che controllo dell’agenda. Siamo al primato dell’emozione, dell’isteria e dello slogan. Grillini o no, siamo tutti grillizzati. Uno vale uno, i ricchi decidono, i tecnici amministrano e i politici vanno in televisione. Del resto, se pensi che un partito debba assorbire la realtà senza filtri e senza idee, se pensi che l’obiettivo di una leadership sia che tutti ti dicano bravo, se rappresenti così bene il mondo com’è, perché mai dovresti riuscire a cambiarlo? Nemmeno ti conviene, cambiare il mondo.

Vale per i grillini, e purtroppo oggi vale anche per il Pd.