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Voto il lunedì? Non è questione di soldi ma di storytelling

Per me, a differenza dal “renzianissimo” senatore citato oggi da Repubblica (e in parte perfino da Enrico Letta), non è una questione di costi. I soldi per la partecipazione democratica, anche quelli per allargarla, sono sempre ben spesi. So di essere impopolare ma io sono favorevole ai costi della politica, e anche al finanziamento pubblico, che è l’unica possibilità di garantire a tutti l’esercizio dei diritti e dei doveri democratici: una questione sulla quale prima o poi la realtà ci costringerà a tornare a riflettere, speriamo non troppo tardi.

Il punto è un altro: se si temeva, giustamente, l’astensione, perché il governo ha fissato le elezioni amministrative il 5 giugno, cioè durante il ponte del 2 giugno (e i ballottaggi il 19, a scuole chiuse)? Non potevamo votare a maggio, o anche ad aprile? Perché, soprattutto, nessuno lo spiega? Continua a leggere

Il renzismo è nudo. Il referendum del #ciaone

Verrà ricordato come il referendum del #ciaone, c’è poco da fare. Vedremo col tempo chi, il 17 aprile 2016, ha detto #ciaone a chi. Intanto, questo è il dibattito pubblico in Italia, e questa è la politica. L’hanno già scritto in tanti, quei sedici milioni che nonostante gli inviti (eufemismo) a non votare da parte di tutto il potere costituito, politico ed economico, e il silenzio quasi tombale dei media (altro che “siamo più forti dei talk show”, segretario!) sono molto pochi per fare il quorum ma sono molti se configurano un blocco attivo contro un Pd renziano che ai tempi del suo massimo splendore, quelli del famoso 40 per cento delle europee, ne raccolse 11 milioni e 200 mila, e che dopo quel risultato ha perseguito tenacemente un isolamento arrogante, distruggendo intorno a sé ogni parvenza di coalizione e tutti i fili che lo legavano agli altri corpi intermedi, al civismo, alle forme di partecipazione più o meno organizzata. Fino al delirio di insultare irridendo, a urne aperte per un referendum promosso da amministratori del Pd, una consistente fetta del proprio elettorato “colpevole” di autonomia di pensiero e partecipazione. #ciaone, appunto. Continua a leggere

Renziani, quell’intervista di Bersani sull’astensione però leggetela

Nel tentativo di screditare il no della minoranza Pd alla scelta astensionista imposta senza dibattito dai vicesegretari del Pd, i renziani fanno girare questa intervista di Bersani all’Unità rilasciata nel 2003, cioè successiva al fallimento (nel senso di mancato quorum) del referendum sull’articolo 18. Finalmente ho avuto modo di leggerla con un po’ di calma. Ecco, consiglio a tutti di fare altrettanto. Fa capire molto bene cosa significa lasciarsi guidare dal popolo e non boicottare la sua volontà di esprimersi. Cosa significa affrontare i problemi in un’ottica di governo, rifiutando di semplificarli e di ridurli a tifoseria, dentro una visione plurale (i sindacati, gli enti locali!) e partecipata della democrazia e in una prospettiva limpidamente di centrosinistra: l’Ulivo insomma. Un altro mondo, proprio, rispetto al dibattito a cui assistiamo oggi. Si può perfino invitare all’astensione “come elemento di riflessione e non di disciplina” (magari quando stai all’opposizione, meno quando stai al governo e il referendum è stato chiesto da amministratori locali in maggioranza del tuo partito) ma senza fare trucchetti, sapendo che poi non rivendicherai il mancato quorum come una vittoria, ma assumendolo come un impegno a risolvere per via politica e senza slogan un problema difficile. (E comunque credo che Bersani avesse votato anche quella volta).

Astenersi perditempo, non è questione di trivelle

Telegraficamente, sul referendum. Non ho ancora approfondito bene l’argomento trivelle, colpa mia. Vedo persone stimabili schierarsi dall’una e dall’altra parte, quindi sospendo il giudizio in attesa di fare i compiti ok? E però non mi pare che il punto sia questo, lo dico anche in relazione a cose che ho letto in rete, dove qualcuno ha creduto di zittire chi protestava per la decisione del Pd (dei vicesegretari del Pd) di schierare il partito per l’astensione tirando fuori un vecchio manifesto dei Ds che nel 2003 invitava a non partecipare al referendum sull’articolo 18.

Io, che per inciso non sono mai stata nei Ds, mi sono astenuta diverse volte nei referendum per scelta politica e non per distrazione. Credo anch’io che l’astensione possa essere un’opzione legittima nel referendum abrogativo che prevede, per essere valido, la condizione di raggiungere il quorum della metà dei votanti. Capisco le ragioni ben illustrate da Enzo Lattuca per opporsi alla propaganda astensionista, soprattutto nel contesto attuale di disaffezione crescente al voto e alla partecipazione; tuttavia non sento per questo di essermi comportata come una truffatrice quando ho scelto di non partecipare a quesiti che volevo far fallire, e non accuso il Pd per aver preso la decisione dell’astensione per principio.

Io contesto invece quella decisione sul piano concreto.
– perché è stata presa dal Pd senza alcun dibattito né discussione;
– perché si è scelto di non discuterne nonostante i promotori del referendum siano quasi tutti amministratori e presidenti di regione del Pd;
– per la mancata convocazione in materia di qualsiasi organismo decisionale del Pd;
– per la pretesa di guidare un partito comandandolo da Roma;
– per l’incomprensione totale del fatto che questa vicenda rivela l’esistenza di una questione che riguarda il Pd nel suo rapporto col territorio e in particolare il Pd nel Mezzogiorno (ricordate quando Renzi, a fronte del non brillante risultato delle ultime regionali, si vantava – come al solito prendendosi anche i meriti degli altri – perché “governiamo in tutte le regioni del sud”?);
– per la disinvolta incoerenza con altre posizioni assunte in passato dal Pd e da diversi suoi esponenti e dirigenti (sì, senza che state a cliccare nel link qua sopra c’è il post-cult della Serracchiani nel 2012 a Monopoli contro le trivelle);
– perché se un partito è diviso su un tema la soluzione rispettosa di tutti non è l’astensione ma semmai la libertà di coscienza;
– per il tono assurdamente minaccioso del comunicato dei vicesegretari in risposta alla richiesta di chiarimento della minoranza Pd dopo la “scoperta” della linea del partito pubblicata sul sito del’Agcom.

Mi pare dunque che il precedente diessino c’entri molto poco: quella era una decisione politica assunta con il voto di un organismo dirigente da un partito che aveva concordato sull’obiettivo di far fallire il referendum sull’articolo 18. Per questo, in assenza di novità e come gesto di libertà, pur non avendo ancora deciso come votare credo che andrò a votare.

Post scriptum. Non ho il sospetto, bensì l’assoluta certezza che, in condizioni di maggioranza/minoranza diverse all’interno del Pd, Renzi e la Serracchiani di fronte a questa decisione del partito, e a una decisione presa in questo modo, starebbero gridando allo scandalo in nome del dovere di partecipare e far esprimere i cittadini contro la protervia dell'”apparato”. Il che, questa certezza dico, dipende naturalmente solo dalla mia nota malevolenza, gufaggine e rosiconaggine. Tuttavia, un pochino di onestà intellettuale e di senso del limite e della decenza sarebbe prezioso coltivarlo, o almeno pretenderlo.