Indice: Politica

Perché la minoranza non lascia il Pd. (Perché poi dovrebbe rifarlo)

Oggi, sul quotidiano Il Dubbio

La vicenda dei “separati in casa” nel Partito democratico non è l’ennesimo capitolo della storia delle liti e delle scissioni a sinistra, ma il segno di come sta cambiando la politica e di cosa può diventare, o non diventare. È evidente che l’equilibrio precario tra democratici renziani e non renziani non potrà durare a lungo, come lo stillicidio di rotture e uscite dal Pd – base e dirigenti – preannuncia e dimostra. Nei prossimi mesi, con la tornata amministrativa e il referendum “cosmico” sulla Costituzione, la proposta renziana sarà alla prova decisiva; e al successivo congresso gli equilibri cambieranno, o salteranno. Sarebbe sbagliato ritenere, sulla base della situazione attuale, che l’esito sia già scritto: per quanto appaiano scolpiti nella roccia, i rapporti di forza in politica possono sempre cambiare, se non per convinzione per necessità. È questa in fondo la scommessa degli sconfitti del Pd: non certo che Renzi diventi più “buono”, ma che la sua presa sul partito diventi meno forte. Continua a leggere

Voto il lunedì? Non è questione di soldi ma di storytelling

Per me, a differenza dal “renzianissimo” senatore citato oggi da Repubblica (e in parte perfino da Enrico Letta), non è una questione di costi. I soldi per la partecipazione democratica, anche quelli per allargarla, sono sempre ben spesi. So di essere impopolare ma io sono favorevole ai costi della politica, e anche al finanziamento pubblico, che è l’unica possibilità di garantire a tutti l’esercizio dei diritti e dei doveri democratici: una questione sulla quale prima o poi la realtà ci costringerà a tornare a riflettere, speriamo non troppo tardi.

Il punto è un altro: se si temeva, giustamente, l’astensione, perché il governo ha fissato le elezioni amministrative il 5 giugno, cioè durante il ponte del 2 giugno (e i ballottaggi il 19, a scuole chiuse)? Non potevamo votare a maggio, o anche ad aprile? Perché, soprattutto, nessuno lo spiega? Continua a leggere

Vangelo e Costituzione: perché non accetto lezioni di laicità da Renzi

Da ieri sera mi sto beccando la consueta ondata di tweet ostili (sai che novità) per questa reazione a caldo alla brutale frase di Matteo Renzi “non ho giurato sul Vangelo ma sulla Costituzione”. Naturalmente io non mi sono sognata di criticare una “riforma storica” alla quale sono assolutamente favorevole e che era nel programma del partito che ho votato nel 2013: mi sono semplicemente ribellata a una lezione di laicità, oltretutto fatta in termini inaccettabili (per un cattolico democratico contrapporre Vangelo e Costituzione è né più né meno una bestemmia) che – spiace dirlo – non viene da un pulpito credibile. Continua a leggere

Armistizio, anzi guerra totale. Pd tra Lenin e storytelling

Oggi, sul quotidiano Il Dubbio

Questa idea che la politica è solo comunicazione, c’è da temere, ci sta un tantino prendendo la mano. Perché poi la realtà si prende i suoi diritti, “i fatti hanno la testa dura” diceva quello (ok, era Lenin), e l’effetto grottesco-comico è dietro l’angolo. C’è di buono che se sei dentro la bolla non te ne accorgi, se riesci a star fuori però ti diverti da matti. Tutto sta a vedere dove siano gli italiani adesso, se fuori o dentro la bolla: bella scommessa, elettorale. Continua a leggere

Spigolature. (Cose che penso su Renzi da Fazio, Legnini e Nogarin)

  1. ieri sera da Fabio Fazio, alla domanda su Platì (comune sciolto per mafia e commissariato dove il Pd rinuncia a presentarsi dopo che aveva schierato un anno fa una candidata, benedetta dal premier alla Leopolda, che poi non è riuscita a presentare la lista), Renzi ha risposto parlando di Ercolano. A Platì abbiamo fallito, ma a Ercolano, invece… Mi sarebbe piaciuto che Fazio ribattesse. A Ercolano un sindaco uscente c’era, anche se aveva in giunta qualche indagato, e c’era anche un candidato pd, incensurato e non indagato. Quel candidato non era renziano. Renzi è riuscito semplicemente a far passare un’altra candidatura a lui più affine. Magari migliore, oppure magari no. E credo, per inciso, che il segretario del pd non dovrebbe permettersi di paragonare i suoi avversari interni alla ndrangheta.
  2. visto che il referendum si è politicizzato, il vicepresidente del Csm Legnini fa bene a chiedere cautela ai magistrati, ricordando che il Csm è un’istituzione; ma chi ha politicizzato il referendum? Ci vorrebbe un Legnini della politica, capace di chiedere cautela a un’altra istituzione, che si chiama governo. E probabilmente c’è, visto che sopra Legnini, come sopra il capo del governo, c’è un presidente. Speriamo che trovi il suo Legnini, cioè qualcuno che lo ascolta, anche sull’altra sponda del conflitto.
  3. leggo di piddini scandalizzati perché il sindaco di Livorno, raggiunto da un avviso di garanzia, ha detto che si dimetterà se dovesse prendere atto di aver violato le regole del Movimento 5 Stelle. Nogarin risponde al codice Casaleggio e non alle leggi, è l’accusa. Non mi pare. In base alle leggi italiane, un amministratore raggiunto da un avviso di garanzia non è tenuto a dimettersi; ma un politico raggiunto da un avviso di garanzia giustamente deve valutare insieme alla sua comunità politica l’opportunità di restare o lasciare l’incarico. Non tutte le accuse sono uguali, non c’è niente di automatico, la politica si fa dentro un collettivo ed è al proprio collettivo che se ne risponde; poi gli elettori giudicano. È più o meno quello che, giustamente, dice il Pd quando certe cose capitano in casa sua. Non dovrebbe quindi rimproverare ai grillini di dire la stessa cosa, semmai dovrebbe approfittare per chiedere loro di non usare due pesi e due misure. Cominciando col dare il buon esempio, però.

Comunali, sfida aperta. Le partite di Roma e Milano

Ho scritto questo per i giornali locali del gruppo l’Espresso (Il Tirreno, La Gazzetta di Mantova, Il Mattino di Padova, Il Piccolo, Il Centro, La Gazzetta di Reggio, La Gazzetta di Modena, Alto Adige, Il Trentino, Il Messaggero Veneto, La Nuova Sardegna, La Nuova Venezia, La Città di Salerno e altri)

Too close to call. A poche ore dalla chiusura delle liste, e a un mese esatto dal voto, diversi sondaggi (Tecné, Ixé, Ipsos e altri, reperibili anche su internet) fotografano una situazione incerta e scientificamente non prevedibile. Nelle due “capitali” di questa tornata amministrativa, Roma e Milano, nessuno azzarda previsioni. A dire il vero, le cose stanno in modo molto diverso: a Milano si profila una sfida tradizionale, con un ballottaggio incertissimo tra centrodestra e centrosinistra; a Roma nessuno mette in dubbio la partecipazione di Virginia Raggi al secondo turno; è dietro di lei che, nello spazio di un paio di punti percentuali, combattono al buio il candidato del Pd e i due esponenti di una destra divisa. Continua a leggere

Caro Giachetti, mi spieghi adesso come faccio a votarti?

Caro Roberto Giachetti, avendo io votato alle primarie per il tuo avversario, Roberto Morassut, e avendo quindi perso dal momento che tu hai vinto, mi sentirei vincolata a votarti come sindaco. Perché questa, e tu lo sai, è la regola delle primarie: chi perde poi appoggia chi vince, se no non ha alcun senso farle ed è sleale partecipare. Giusto? Continua a leggere

Zero manifesti? No, zero idee e zero soldi. Una campagna elettorale senza partiti

Da oggi, di tanto in tanto, scriverò articoli sul quotidiano Il Dubbio. Oggi, a pagina 4, è uscito il primo.

«Guarda mamma, senza mani! ». Ricorda un po’ il bambino della bici l’annuncio di Matteo Orfini che il Pd romano, del quale è commissario, «in nome della sobrietà e del decoro» rinuncia ad affiggere i manifesti elettorali. Una scelta che ha una sua storia e le sue ragioni, ma che alimenta un terribile dubbio circa le prossime amministrative: dov’è finita la campagna elettorale? Perché al di là dei risultati questa potrebbe davvero essere una campagna “storica”, per alludere a una certa retorica politica che va di moda: la prima campagna elettorale senza i partiti. Continua a leggere

Dei rapporti di forza, ovvero del fare politica

Post cerca-guai. Vorrei parlare in generale, se ci riesco. Anche se non nascondo che lo spunto mi è venuto da diversi commenti al mio post di ieri e in generale all’atteggiamento della minoranza Pd, non solo a proposito del referendum di ottobre. Dicono dunque, in tanti: smettetela di porre condizioni a Renzi, non capite che Renzi non le accetterà? E così via: non vedete che il Pd è già il partito della nazione? Non vi rendete conto che Verdini è già in maggioranza? Queste condizioni che ponete, voi oppositori di Renzi nel Pd, sono ipocrite e fasulle. Perdete sempre. Dovreste invece fare un discorso chiaro: sì o no. Continua a leggere

Ai compagni della mozione “Bersani incomprensibile”

Post cosmico: ai compagni della mozione “Bersani incomprensibile” ricordo che Bersani ha risposto a una domanda, e ha risposto ribadendo quella che è la linea di tutta la minoranza Pd, già espressa da tutti i suoi esponenti oltre che da lui stesso: votare sì al referendum costituzionale a determinate condizioni (innanzitutto ovviamente il rispetto dell’accordo nel Pd sull’elettività dei senatori) e a patto che non diventi un plebiscito su Renzi. Del resto la minoranza Pd in parlamento questa riforma l’ha votata: può non piacere ma è così. A chi dice “ma lo è già”, un referendum su Renzi: a ottobre manca molto tempo, vedremo. Può darsi che la minoranza Pd prenda atto che la sua posizione e gli accordi con Renzi non vengono rispettati e cambi idea, oppure può darsi di no. Io non lo so. Adesso comunque conta il parere dei cittadini, non quello dei parlamentari. Quello che so è che se vi aspettate che Bersani annunci un cambio di linea politica facendo il figo da solo davanti a un microfono a margine della presentazione di un libro sulla musica popolare, vuol dire che proprio non conoscete Bersani.

Post scriptum: a questo proposito, di cosa è una notizia e cosa no, proprio ieri avevo avuto un amichevole scambio di idee con Gaia Tortora del Tg di La7, che (il tg) aveva appena detto che la minoranza Pd avrebbe votato no, e quindi se Renzi troverà al suo fianco nel comitato del Sì il solito Verdini, Speranza e gli altri staranno con Brunetta. Un bell’esempio di cosa vuol dire essere cornuti e mazziati, non c’è che dire.

Post-post scriptum: qui c’è l’intervista di Giovanni Floris a Bersani che mi pare aiuti a capire il senso del “cosmico”. Segnalo inoltre un bel post di Peppino Caldarola.