Nessuna pugnalata di Renzi. La fine del governo di Enrico Letta, nel 2014, sarebbe da imputare all’allora minoranza “bersaniana” del Pd. Una tesi sostenuta oggi da Ettore Rosato, coordinatore nazionale di Italia Viva, in un’intervista. Abbiamo chiesto di commentarla a Chiara Geloni, giornalista e direttrice del sito Articolo1mdp.it.
“Il governo Letta finì per un voto della direzione di un partito a guida Bersani”, dice Rosato, scaricando da Renzi le responsabilità di quanto accaduto all’epoca. Una ricostruzione che appare abbastanza bizzarra. Come la commenta?
Mi colpisce come, a forza di dire bugie, si rischi di non provocare più nessuna reazione, come accaduto al giornalista che ha ascoltato e non ha ribattuto a una enormità come quella pronunciata da Rosato. Il quale, su Facebook, mi ha poi risposto dicendo che c’è stata un’incomprensione tra lui e chi gli ha posto la domanda, ma che la sostanza non cambia, perché in quella direzione anche le minoranze, Civati escluso, votarono la relazione di Renzi. In realtà la sostanza cambia eccome, perché un conto è avere la guida di un partito, un conto è essere in minoranza. Quello era un partito in cui Speranza ricopriva il ruolo di capogruppo: di conseguenza, se si fosse messo contro il segretario e avesse votato contro la sua relazione, si sarebbe dovuto dimettersi da capogruppo un minuto dopo. Cosa che poi, peraltro, Speranza fece dopo circa un anno da quell’evento. Detto questo, non è che Renzi si sia sottomesso ai voleri della minoranza. In direzione aveva una maggioranza salda e ampia. La decisione di sfiduciare Letta è stata sua. Renzi ha iniziato a mettere in giro questa bugia qualche anno fa in un suo libro, in cui ha detto che fece cadere Letta perché glielo aveva chiesto Speranza. Una menzogna, una vigliaccheria: nella vita bisogna prendersi le responsabilità di quello che si fa. Se posso dare un consiglio amichevole al Pd: per andare avanti rispetto ai fatti degli ultimi anni, bisogna almeno sforzarsi di cercare un po’ di verità nelle vicende che sono avvenute. Questi tentativi di mescolare le carte non aiutano prima di tutto il partito.
Il fatto che questa tesi venga ritirata fuori in un momento del genere è il sintomo di un tentativo, da parte di Italia Viva, di accreditarsi con il Pd di Letta, nell’ottica di un’alleanza Letta-Conte-Renzi? Letta del resto ha detto di essere disposto a dialogare con Renzi.
Letta ha spiegato di voler dialogare con tutti, non solo con Renzi. Tra l’altro, ormai solo alcuni giornalisti continuano a parlare di capolavoro politico quando si riferiscono alla caduta del Governo Conte. In realtà Italia Viva continua a sprofondare nei sondaggi. Oltretutto, facendo cadere Conte, ha visto venir meno anche la sua centralità, la sua rendita di posizione che aveva nella maggioranza precedente. In questo momento il partito di Renzi non ha peso politico. A causa di quello che è avvenuto si trova totalmente isolata nelle vicende del centrosinistra. Chiaramente cerca di tornare in gioco, poiché l’alternativa è probabilmente mettersi a parlare con Salvini, come Renzi sembra tentato di fare, stando ad alcune indiscrezioni giornalistiche. Forse una parte di Italia Viva sta tentando di recuperare un rapporto col centrosinistra e cerca di tirare Letta per la giacca. Ma Letta saprà bene cosa fare.
C’è da credere nella sincerità dell’appoggio di Base riformista a Letta, o possiamo immaginarci che col tempo il nuovo segretario inizierà ad essere logorato dalle correnti come accaduto a Zingaretti?
Non voglio immischiarmi nelle vicende del Pd e di una segreteria appena partita, a cui guardo con amicizia. Di sicuro, come ha scritto in questi giorni Gianni Cuperlo, è curioso che un partito che prima elegge un segretario a larga maggioranza e poi lo vede dimettersi perché le correnti non gli lasciano esercitare il suo ruolo, subito dopo elegga un nuovo segretario quasi all’unanimità. C’è qualcosa che non va in questo. Non sono i segretari, ma è il Pd che ad avere un problema, di identità e di funzionamento. C’è una tentazione eterna di esprimere un’unanimità che poi viene contraddetta un minuto dopo. Non ne faccio nemmeno una questione di lealtà, ma di politica.
A un certo punto erano tutti lì, stamattina. Senza essersi dati appuntamento, molti dei protagonisti di quei Giorni bugiardi del 2013 sono arrivati insieme per salutare Franco Marini alla camera ardente nella clinica Villa Mafalda.
Sergio Mattarella, con il gruppo dei suoi collaboratori più stretti, quasi tutti dirigenti e militanti di “quel” Partito popolare di cui lui era capogruppo alla Camera, risale veloce in macchina poco prima dell’apertura al pubblico.
Pier Luigi Bersani, Roberto Speranza e Guglielmo Epifani, senza essersi messi d’accordo, si sono incontrati da qualche minuto all’angolo della strada. Scendono insieme, e il ministro ricorda “l’intervento di Guglielmo”: presentò lui, al Capranica, la candidatura di Marini. Rievocando con emozione un percorso comune nelle forze del lavoro, un incontro tra un credente e un non credente, gli stessi valori, un’idea di partito, una semplice verità: “È un fondatore del Pd”. Quel Pd che avrebbe davvero trovato se stesso quella sera, sulla via del ragionamento e dell’emozione di Epifani.
Poi la sequela incredibile di interventi contrari, i massimalismi insospettabili, i rancori puntuti. Una perdita di senso collettiva che resta ancora, anche al netto di qualche errore di gestione, inspiegabile. Il terrore per i tweet che bombardavano quella riunione da fuori, quel melodrammatico “Fermatevi!” del segretario regionale che bloccò l’Emilia Romagna. La deputata bolognese che dopo due giorni andò in lacrime da Bersani: “Segretario, che cazzata che ho fatto a non votare Marini”. E ormai in piena tempesta, il discorso eroico di Stefano Fassina: “Mio cognato ha cinquant’anni, fa l’elettrauto, non sa chi è Rodotà. Ma sa chi è Franco Marini, un difensore dei lavoratori!”.
Pochi passi, poco tempo per mettere in ordine i ricordi: si può già entrare. Bersani e gli altri, con Dario Franceschini, sono tra i primi. Franco Marini ha il cappello da alpino appoggiato sul cuore. Ci sono Sandro, suo fratello, e Davide, il figlio amatissimo di Marini e della signora Luisa. Non si può stare molto.
Dario è uscito prima, ma ha aspettato fuori. Si avvicina: “Non ci siamo sbagliati Pier Luigi, sarebbe stato un grande presidente”. “Il Pertini cattolico”, ripete come in quell’aprile di otto anni fa Bersani. “Un presidente di sinistra, vicino alla vita reale, amatissimo”, concordano i due. “Poche settimane dopo ci sarebbe stato il raduno nazionale degli alpini, te lo immagini che roba?”, sorride Bersani. “Ma la vita va a rovescio”, conclude Franceschini. Poi la storia dà torto e dà ragione, penso io.
La presentazione di Titanic a Roma, ieri sera, è stata proprio come speravo che sarebbe stata. Mi assomigliava. C’erano proprio (quasi) tutte le persone che speravo ci fossero. Una serata memorabile. Quindi ad uso degli storici dell’età contemporanea, lo posto qui per non perderlo. Che si sa, la storia la racconta sempre chi ha preso appunti (autocit. di cit.).
Una delle osservazioni più scontate che ti fanno quando pubblichi sui social la foto di qualche iniziativa elettorale è: ma son tutti vecchi! (non manca ovviamente la versione original-spiritosissima: “uh quanti giovani!”). Del resto sono anni che nel discorso pubblico italiano essere giovani viene considerato un pregio in sé, nonostante notevoli evidenze del contrario.
Ora, premesso che è vero che alle iniziative di campagna elettorale (di tutti i partiti in genere, Movimento Cinque Stelle unica parziale eccezione, non certo solo del mio) in genere i giovani non ci vanno in massa, e premesso anche che gli anziani votano, e il loro voto vale uno come quello dei giovani per cui non capisco cosa ci sia da schifarli tanto, vorrei far notare pacatamente una cosa.
L’altro giorno ero a Livorno con Bersani per la campagna elettorale di Articolo Uno e della coalizione di centrosinistra. Ho postato una foto della platea e naturalmente subito qualcuno ha commentato “uh quanti giovani!”. Ho spiegato con qualche soddisfazione che a Livorno il programma prevedeva che dopo l’iniziativa del pomeriggio Bersani la sera incontrasse i giovani in birreria: e la sera la birreria Ribello Gallo era strapiena, e i ragazzi sono andati avanti più di due ore a fargli domande, a riprova del fatto che se li cerchi dove ci sono, e soprattutto se hai qualcosa da dirgli, ai giovani la campagna elettorale interessa eccome.
Ma poi siccome sono un po’ tignosa ho chiesto a Marco Chimenti, il nostro coordinatore provinciale: qual è l’età media degli abitanti di Livorno? E lui mi ha risposto: “Cinquantacinque anni”.
E così io, che sono una rompiscatole, ho pensato chissà se dovremmo stamparceli con la stampante 3D, i giovani, per far contenti certi argutissimi critici. Che continuano a fare scelte politiche, e a giudicare la politica, avendo in mente un’Italia che semplicemente non esiste.
– il Jobs act era un decreto delegato. Questo significa che il parlamento vota una delega al governo che poi sulla base di quella delega scrive, con una certa seppur limitata libertà, i decreti attuativi. La delega conteneva varie norme sul lavoro (contratto a tutele crescenti, riforma degli ammortizzatori sociali ecc) tra cui la disciplina dei licenziamenti. Nel voto finale sulla delega fu posta la fiducia, che la minoranza Pd votò per senso di responsabilità dichiarandosi contraria ad alcune parti del provvedimento.
– durante l’esame della delega, sia in sede partito (direzione) che in sede parlamento (gruppo) la minoranza Pd aveva presentato documenti che esprimevano una posizione contraria all’abolizione dell’articolo 18 e che erano stati regolarmente bocciati.
– nella delega, in base a un accordo interno al Pd garantito da una mediazione del presidente della commissione lavoro Cesare Damiano, e votato dalla direzione del Pd all’unanimità – renziani compresi quindi – si era comunque raggiunta una mediazione anche sui licenziamenti che prevedeva il no ai licenziamenti collettivi e norme che limitavano l’abolizione dell’obbligo di reintegra. In seguito, il governo sconfessò quell’accordo e gli stessi parlamentari renziani della commissione lavoro introducendo i licenziamenti collettivi. L’eccesso di delega venne denunciato da subito dallo stesso Damiano, allora membro della maggioranza Pd.
Chiedo venia trovo un po’ esagerato pagare tre volte un litro di benzina sentirsi dire con sorrisi di rame che sono costretti dal mercato dei cambi ma andate a cagare voi e le vostre bugie
Basta cazzate, basta. Non ricostruiremo un progetto di sinistra con le frasi fatte e i luoghi comuni. Non usciremo dalle rovine con le ipocrisie autoassolutorie. Basta. Basta. Facciamo i nomi, io per prima.
Adesso mi venite a dire che bisogna andare “oltre il Pd” (Romano Prodi, tra gli altri). Dopo che per anni siete stati al caldo in un Pd sempre più piccolo, chiuso, monocorde a spiegare che guai ad andarsene perché “siamo una comunità”, e a battezzare subito “padre nobile” chi ripeteva questa banalità ipocrita e falsa – falsa, dopo i 101, dopo Marino, dopo Letta, dopo le espulsioni dalla commissione di ex segretari e ex presidenti, dopo le dimissioni di un capogruppo senza dibattito e discussione, senza che nessuno fosse capace di dire che se il Pd avesse avuto “padri nobili”, sarebbero state impedite tutte queste cose senza bisogno di fare scissioni. Siamo una comunità, come no.
Santi numi ma che pena mi fate strozzati inghiottiti come olive ascolane
Adesso mi venite a spiegare (Michele Serra) che l’atto di morte della sinistra sono state le elezioni in Emilia Romagna, quando votò il 37 per cento – in Emilia Romagna! -, ma grazie. Grazie da parte di tutti i gufi rosiconi, insultati perché guastavano la festa, “l’astensionismo è un fatto secondario”, certo. Adesso ci spiegate che invece del diluvio grillino è arrivata la valanga leghista (Sergio Rizzo, inviato in Toscana): ma quanto era bello prendere in giro chi diceva “non vedete la mucca nel corridoio”, non è vero?
Pensarsi arrivati dopo un lungo week end
Basta dire che è stata colpa di tutti allo stesso modo. Di chi diceva “così perdiamo” e di chi faceva così lo stesso, perché certo sono odiosi quelli che dicono lo avevo detto. E però lo avevano detto.
Basta dire che i problemi c’erano già prima, e in fondo Renzi ha addirittura frenato la caduta (Enrico Mentana). E certo che c’erano i problemi. E certo che forse la sinistra avrebbe perso lo stesso, di fronte all’onda di destra, anche senza gli errori di chi ha sbagliato. Ma un conto è perdere, un altro smobilitare, “perdere se stessi”, scrive Ezio Mauro. E però qualcuno lo aveva detto. Volete dirmi che anche con Bersani segretario il Pd avrebbe perso Imola? Ma nemmeno se lo vedessi succedere ci crederei. Ma basta.
Credo di notare una leggera flessione del senso sociale la versione scostante dell’essere umano che non aspettavo cadere su un uomo così divertente ed ingenuo da credere ancora alla favola di Adamo ed Eva favola di Adamo ed Eva
Basta dire che “tutti hanno fallito, e chi ha fallito deve lasciare il campo”. Fatemi i nomi. Chi ha fallito? Quando? Chi deve lasciare il campo? Quale campo? Se no sono solo frasi fatte, come quelle di cui vi siete cibati per anni a colazione, pranzo e cena, tipo “non voglio un partito pesante, voglio un partito pensante”: cazzate. Chi deve lasciare il campo? Perché? E soprattutto: siamo sicuri che non lo abbia già lasciato, e che ci siano da tempo praterie aperte davanti a gente che semplicemente non è capace di correre? Hanno fallito tutti allo stesso modo? Siamo sicuri?
E davvero “Basta con il renzismo e con ciò che l’ha prodotto, da D’Alema a Bersani” (Massimo Cacciari)? Davvero aver capito per primo la sfida di Renzi dentro il Pd, averla accettata contro il parere di tutti e averla vinta è uguale a “averlo prodotto”? Davvero Cacciari e quelli come lui sono innocenti e possono continuare a sputare sui “gruppi dirigenti del passato” e stabilire chi saranno i buoni del futuro?
E infine basta dire che “la gente vuole facce nuove”, basta. Ha vinto Scajola, vi volete rendere conto? Cosa vuol dire essere giovani? Vuol dire crederci, avere coraggio, entusiasmo, curiosità, generosità, capacità di mettersi in discussione, voglia di rischiare. Vuol dire voler cambiare il mondo, essere giovani. E invece non ho mai visto una classe dirigente più boriosa, supponente e poltronara di quella dei miei coetanei rottamatori – e di chi ne ha cantato l’ascesa. La gente vuole teste giovani, e voi siete vecchi dentro.
Siamo uomini troppo distratti da cose che riguardano vite e fantasmi futuri ma il futuro è toccare mangiare tossire ammalarsi d’amore
Il quinto anniversario del tradimento dei 101 ha riservato qualche amara soddisfazione a noi cultori della materia. Benedetta dall’autorevolezza della firma del direttore dell’Espresso Marco Damilano e dalla collocazione in prima pagina su Repubblica, sembra definitivamente affermarsi una lettura dei fatti che non solo arriva a suggerire se non i singoli nomi almeno l’identikit dei responsabili, attraverso un ragionamento logico che dalle conseguenze politiche del gesto risale all’indietro ai suoi autori/beneficiari nel mondo renziano e in quello dalemiano (la saldatura tra chi non voleva il Prof al Colle e chi voleva “abbattere il cavallo azzoppato” Bersani), ma che ha anche il pregio di individuare con precisione in quella vicenda “l’otto settembre del Pd”: non fu solo Prodi a essere “bruciato” quel giorno, ma il futuro del partito. Due punti che erano il cuore del nostro Giorni bugiardi, il libro di Stefano Di Traglia e mio uscito alla fine del 2013, e che allora risultavano un po’ meno mainstream di adesso. Continua a leggere →
Ha ragione il mio amico Stefano Di Traglia, che lunedì mattina mi ha scritto: adesso sarebbe tempo di fare l’analisi del voto del 2013, quella che il Pd non ha mai voluto fare. Sono stati anni di analisi sbagliate, sbagliate perché fondate su una lettura illusoria della realtà. Ripartire dai fatti ci farebbe bene a tutti. Noi di Liberi e Uguali non abbiamo avuto la forza di invertire la rotta – e dovremo capire perché. Ma i fatti li abbiamo visti e l’analisi non l’abbiamo sbagliata.Continua a leggere →
Scrivo questo post come monito a me stessa, ma anche perché voglio che ci sia agli atti una mia versione dei fatti, in caso a qualcuno interessi. E infine perché penso che sia utile interrogarsi su quello che succede.
Ieri pomeriggio Barbara Collevecchio ha fatto un tweet con lo screenshot di vari insulti e auguri di morte a Bersani comparsi in rete il 5 gennaio 2014, giorno in cui venne ricoverato e operato d’urgenza al cervello. Il senso del tweet era: “Bersani ecco con chi tu vuoi alleare, con quelli che ti insultavano così quando stavi male”. Continua a leggere →
l’ayatollah dell’Ulivo ci spiega che la riforma dei Centouno è il compimento dell’Ulivo
il leader della minoranza Pd ci spiega come deve fare a vincere la minoranza Pd e perché fin qui ha dimostrato di non avere leader e classe dirigente
l’aspirante anti Renzi ci spiega che si vota sì perché è certo che Renzi cambierà l’Italicum come desidera lui (lui che quando Renzi buttò fuori dalle commissioni chi voleva cambiare l’Italicum ci spiegò che Renzi faceva benissimo)
tutti costoro sono d’accordo che ha ragione Cacciari: l’importante è “chiudere coi D’Alema e i Bersani” se no non si va da nessuna parte. Il motivo non è chiaro, ma è evidente che se lo si fa la gente scenderà in strada finalmente libera di inneggiare a Parisi, Cuperlo e Rossi.
Io comunque ho da leggere la biografia di Caterina de’ Medici. Auguri.
Scintillante bellezza, fosforo, fantasia: De Gregori conosce i desideri di una donna sugli uomini meglio di una donna, o forse è più bravo a chiamarli per nome. In realtà sarebbe il capitano che parla, descrivendo la nave, ma è chiaro … continua a leggere →
Quasi vent’anni fa, quando avevamo più o meno vent’anni, non era stato difficile scegliere e decidere che no, Berlusconi no. Insomma, bene o male avevamo dei genitori, avevamo avuto dei nonni. Mia nonna Andreina quando ero piccola mi diceva: “Lo … continua a leggere →