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Sembra di stare a Ballarò. Il Pd del 2019 è diventato il M5S del 2013

Dopo la clamorosa spaccatura tra Lega e 5 Stelle, ieri i giornali erano pieni di retroscena – fondati o no – su possibili nuovi scenari di alleanze senza i leghisti, e alla camera era all’ordine del giorno il decreto sicurezza bis, un provvedimento chiave per Salvini, che appariva furente e disorientato, impotente e incredulo. Cosa avrebbe potuto/dovuto fare il principale partito di opposizione? Non dico pensare di far cadere il governo ma metterci un po’ di malizia, un po’ di politica. Lavorare per approfondire il solco che per la prima volta si apriva tra i suoi avversari. Andare a vedere se è vero che tra i 5 Stelle si preparano smottamenti, far capire che c’è interesse, c’è spazio.

Cosa ha fatto il Pd? Ha passato tutto il giorno a litigare furiosamente coi grillini, per una presunta frase di un suo deputato contro le donne incinte (la frase è inverosimile che sia stata pronunciata, ma è talmente inverosimile anche che sia stata inventata che mi sembra più verosimile che siano false per assurdo entrambe le tesi). Dice ma i grillini lo hanno fatto apposta. Dico può darsi, ma l’opposizione c’è cascata.

Quindi, addio politica. Per sicurezza poi, nel corso del pomeriggio, il segretario del Pd ha ribadito per la centesima volta che se cade questo governo c’è solo il voto – sia mai che qualcuno dei grillini avesse creduto che c’è qualche salvezza lontano da Salvini. Quello che aveva lasciato la politica ha urlato di nuovo il suo #senzadime, quello sobrio ha detto che a qualcuno dev’essere preso un colpo di sole misto ad alcolici, e quello che fa il capogruppo per conto di quell’altro ha annunciato una bella mozione di sfiducia a Salvini, per essere sicuro di risospingere anche l’ultimo resistente grillino nelle braccia del Capitano.

Nei tg della sera è passato il solito Pd urlante e scomposto, indistinguibile dai suoi avversari, incapace di convincere un solo elettore che non l’abbia già votato. Guardando questo Pd, ve lo dico, mi sembra di stare a Ballarò (cit.). Un partito terrorizzato da qualsiasi scenario politico che richieda di scegliere, di nominare i suoi avversari e di avere una strategia per batterli, di uscire dall’isolamento, di mettere in discussione qualche sua scelta, di dire che non ha sempre avuto ragione, di smettere di dare l’idea che chi non lo ha votato debba chiedergli scusa. Un partito che tra poco ci dirà che vuole aprire il parlamento come una scatoletta di tonno e salirà sui tetti, perché le sceneggiate sui banchi dell’aula non gli basteranno più.

Invocano il loro “elezioni elezioni”, come l’occasione per uno di legittimarsi come leader, per l’altro di fare la sua corsetta in surplace da candidato premier, per chi è rimasto renziano di incassare la sua quota, per chi è diventato zingarettiano di ristabilire gli equilibri, per chi è orfiniano di rifarsi una verginità a sinistra, eccetera eccetera. Senza preoccuparsi minimamente di avere un’idea di cosa dire all’Italia, di come tornare a governare da sinistra. Chi prova a fare politica è un traditore, un ubriaco, uno che briga perché vuole star sempre in maggioranza. Elezioni, elezioni, elezioni.

Desolante dirlo, ma il Pd del 2019 è diventato il Movimento 5 Stelle del 2013. E rischia di fare la stessa fine.

(Se volete leggere altre ovvietà come quelle che ho scritto, c’è un’intervista di D’Alema su Repubblica).

Apologia di LeU. Dopo lo tsunami, le cose da cui ripartire

Ha ragione il mio amico Stefano Di Traglia, che lunedì mattina mi ha scritto: adesso sarebbe tempo di fare l’analisi del voto del 2013, quella che il Pd non ha mai voluto fare. Sono stati anni di analisi sbagliate, sbagliate perché fondate su una lettura illusoria della realtà. Ripartire dai fatti ci farebbe bene a tutti. Noi di Liberi e Uguali non abbiamo avuto la forza di invertire la rotta – e dovremo capire perché. Ma i fatti li abbiamo visti e l’analisi non l’abbiamo sbagliata. Continua a leggere

Per carità, abbassate quel ditino. Sui commenti alla candidatura di Di Maio

Cerco di dirlo bene, con calma. Il punto non è tanto che, come ho provato già diverse volte a spiegare, secondo me con i grillini sbagliate tutto. Il punto è che c’è un limite oltre il quale si smette di essere comprensibili a chiunque, si diventa disonesti anche con se stessi. C’è un limite oltre il quale, se sei un giornalista, giustamente gli elettori smettono di leggerti. Se sei un politico, smettono di votarti. Magari sono anche d’accordo con te; ma non ti possono più prendere sul serio.

Allora intendiamoci. Non è che a me piaccia Di Maio, o che creda al meccanismo di quelle pseudo primarie grilline, o che apprezzi la sua prosa. Non lo voterò mai, né alle primarie né alle elezioni, Di Maio. Si può criticare Di Maio per mille motivi, o ignorarlo anche, al limite. Una sola cosa non si può dire: non si può dire Di Maio è un ignorante perché non sa che in Italia il premier non si elegge ma lo sceglie il presidente della repubblica. Continua a leggere

Intanto che vi trastullate con gli stipendi e gli scontrini

In bocca al lupo per questi prossimi due giorni di alto dibattito su: assenze, scontrini, io prendo qui, io taglio là, gnegnegne, dimezzati questo, raddoppiati l’altro e insomma tutta la bella sbornia demagogica alla quale cercherò di non partecipare.
Ribadisco fin d’ora che io sono per parlamentari bravi, competenti, rappresentativi, non ricattabili e ben pagati e per una democrazia libera e pluralista, dove la libertà e il pluralismo siano garantiti anche da uno stato che si assume la sua responsabilità di erogare soldi e controllare come si spendono.
Vi faccio presente infine che intanto che conteggiate quanto risparmieremmo tagliando le diarie o registrando le presenze o facendo timbrare il cartellino ai deputati (che figata, dai, facciamolo!) e vi trastullate con queste ed altre armi di distrazione di massa, abbiamo ricevuto una letterina dall’Europa che dice non tanto che non siamo abbastanza austeri (come fanno a volte, si sa, quei cattivoni), ma che abbiamo provato a fare una manovra senza coperture. Cioè, tecnicamente a imbrogliare. Come facevano quei governi che per un po’ di consenso a breve termine si giocavano il futuro dell’Italia e dei giovani. O come si dice adesso, il futhuro.