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Mattarella, l’umanità di un presidente adeguato

Ho scritto questo per i giornali locali del gruppo l’Espresso (Il Tirreno, La Gazzetta di Mantova, Il Mattino di Padova, Il Piccolo, Il Centro, La Gazzetta di Reggio, La Gazzetta di Modena, Alto Adige, Il Trentino, Il Messaggero Veneto, La Nuova Sardegna, La Nuova Venezia, La Città di Salerno e altri).

Nessuna dichiarazione alla stampa, o meglio nessuna dichiarazione e basta. Nessuno sguardo in favore di telecamera, mai. Sergio Mattarella ieri ha attraversato la tragedia del terremoto alla sua maniera: niente addetti stampa, zero retorica, zero – apparente – comunicazione. E la gente lo ha applaudito quando è sceso dalla macchina nel piazzale della palestra di Ascoli Piceno dove stavano per cominciare i funerali di stato. Sarebbe già molto di questi tempi: applausi per un politico, e per un politico che non fa niente per rendersi popolare. Ma era solo l’inizio: dopo sono stati abbracci, lunghi, parole sommesse, tutto un modo di essere e di esserci durante la cerimonia. E poi, nei tg, la passeggiata mattutina tra le rovine di Amatrice e di Accumoli, il “grazie” sussurrato e ripetuto ai volontari e alle forze dell’ordine, le carezze ai bambini. In tanti, davanti alla tv e sui social network, hanno percepito, forse per la prima volta, la personalità dell’uomo del Quirinale. Anche i detrattori del presidente dei molti silenzi e delle parole, quando ci sono, quasi impercettibili (è vero, è il suo modo di parlare) hanno sentito qualcosa. C’è chi ha parlato di “grazia di stato laica”.  Continua a leggere

Pd e Anpi, avere torto anche ai limiti della ragione

A proposito di questa polemica tra Pd e Anpi sulle feste dell’Unità – polemica di cui si sentiva tantissimo la mancanza. Io mi rendo perfettamente conto delle ragioni della maggioranza del Pd. Un partito ha tutto il diritto di non ospitare iniziative di propaganda contraria alla propria linea. Siamo al limite, insomma, della legittimità della polemica. Esiste però una serie di fatti di cui si dovrebbe tenere conto, ed esistono errori evitabilissimi che vengono regolarmente commessi tutti: perché? Intanto, i fatti:  Continua a leggere

Ferragosto e cervelli in vacanza

In questo Ferragosto

  • l’ayatollah dell’Ulivo ci spiega che la riforma dei Centouno è il compimento dell’Ulivo
  • il leader della minoranza Pd ci spiega come deve fare a vincere la minoranza Pd e perché fin qui ha dimostrato di non avere leader e classe dirigente
  • l’aspirante anti Renzi ci spiega che si vota sì perché è certo che Renzi cambierà l’Italicum come desidera lui (lui che quando Renzi buttò fuori dalle commissioni chi voleva cambiare l’Italicum ci spiegò che Renzi faceva benissimo)
  • tutti costoro sono d’accordo che ha ragione Cacciari: l’importante è “chiudere coi D’Alema e i Bersani” se no non si va da nessuna parte. Il motivo non è chiaro, ma è evidente che se lo si fa la gente scenderà in strada finalmente libera di inneggiare a Parisi, Cuperlo e Rossi.

Io comunque ho da leggere la biografia di Caterina de’ Medici. Auguri.

Il tour di Di Battista e la grillizzazione del Pd

Io non temo Berlusconi in sé, diceva Giorgio Gaber: temo Berlusconi in me. Forse è tempo di aggiornare quel geniale aforisma, applicandolo ai nuovi protagonisti; forse i grillini si stanno mangiando il Pd. Non è la prima volta che mi capita di pensare che al Nazareno, col Movimento 5 stelle, stiano sbagliando tutto. Dopo la sconfitta delle amministrative, se possibile, l’impressione è peggiorata. Ma ieri mi pare che la faccenda abbia segnato un allarmante salto di qualità.

Succede dunque che Alessandro Di Battista lanci – con tanto di foto accanto allo scooterone – la sua campagna “#iodicono. Costituzione coast to coast”, un giro motociclistico per le spiagge d’Italia per propagandare le ragioni del No al referendum. Qual è stata l’inverosimile reazione dei suoi colleghi parlamentari Pd? Una raffica di tweet che argomentavano: 1) Di Battista si fa pagare le vacanze dai cittadini; 2) chi paga la benzina? Vogliamo gli scontrini; 3) Di Battista non paga al casello perché è un parlamentare che viaggia a spese nostre.

Cerco di mettere in ordine i pensieri, che sono molti.  Continua a leggere

Francesco, o del prenderla alla lettera

Pomeriggio un po’ così. Pensi Francesco va ad Assisi oggi, diamo un’occhiata che Assisi – sì, un po’ come Parigi – è sempre una buona idea. Accendi, boh è già cominciato, e ascolti: l’argomento è il perdono – il perdono della Porziuncola, certo. E Francesco parla e a un certo punto dice: “Invito i frati, i vescovi ad andare al confessionale, anch’io andrò. Ci farà bene ricevere il perdono qui, oggi, insieme”. Poi il discorso finisce, e gli amici bravissimi di Tv2000 annunciano che il programma ora prevede la visita ai frati anziani e malati. Ma intanto la cerimonia non finisce, Francesco si incammina verso una navata della basilica, e loro un po’ interdetti annunciano: “Ecco, forse c’è qualche fuori programma”. Certo che c’è un fuori programma, Francesco è andato al confessionale, penso. Ed è allora che mi torna in mente quel vecchio libro, e mi viene da ridere. Perché non impareremo mai.

L’ho ritrovato. Si intitola Roma a prima vista, è una specie di zibaldone di scritti di Heinrich Boll. L’ho rubato durante uno dei tanti traslochi del Popolo – uno degli ultimi traslochi. Credo di non averlo mai letto tutto, ma c’è un capitolo su Assisi che mi ricordavo bene. Con un pizzico di demagogia in più, Assisi poteva essere la seconda Roma, scrive Boll. Poteva essere la capitale del grande scisma, come Bisanzio: “Il piccolo figlio di un mercante aveva l’Europa in mano come una palla: ma la tirò verso Roma”. Attizzò l’incendio, ma solo dopo aver chiesto al papa il permesso di attizzarlo. Perché Francesco, scrive Boll, è uno che nella vita ha preso tutto alla lettera. Pensate a un altro nella stessa situazione: stai pregando in una chiesetta diroccata in mezzo alla campagna e il crocifisso prende su e ti parla (secoli prima di don Camillo eh!), e ti dice “Francesco vai e ripara la mia casa che è in rovina“. Che cosa fa, chiunque? La riforma della Chiesa, come minimo. La rivoluzione. La guerra contro il papa e i vescovi ricchi e corrotti. Chiunque ma non Francesco: lui prende sassi e calce e si mette a restaurare la chiesetta diroccata. Tutto alla lettera prendeva, Francesco. Soprattutto il Vangelo.

E noi invece se papa Francesco dice “andiamo al confessionale“, e poi ci va, pensiamo ah, dev’esserci un fuori programma. Invece di pensare: è ovvio che ci vada. Perché lui è Francesco. E noi chissà se impareremo mai.

Rai, quelle nomine vecchio stile

Ho scritto questo per i giornali locali del gruppo l’Espresso (Il Tirreno, La Gazzetta di Mantova, Il Mattino di Padova, Il Piccolo, Il Centro, La Gazzetta di Reggio, La Gazzetta di Modena, Alto Adige, Il Trentino, Il Messaggero Veneto, La Nuova Sardegna, La Nuova Venezia, La Città di Salerno e altri).

Alla fine è sempre un problema di storytelling: se hai promesso che avresti cambiato tutto, hai detto che avresti buttato fuori i partiti dalla Rai, hai twittato che era “la volta buona” poi non c’è da stupirsi che le aspettative siano alte. E che la sostituzione di (alcuni) direttori di testata in carica da diversi anni, di per sé non scandalosa, peraltro con ottimi professionisti interni all’azienda, lasci la sensazione che qualcosa non va. Avallata, la sensazione, da tanti estimatori di Renzi che per difenderlo dalle critiche dicono in sostanza: ma non si è sempre fatto così? A parte che no, non sempre, non proprio. Il problema è che avrebbe dovuto arrivare il messaggio che stavolta era tutto diverso. E che anche questa vicenda manifesta il momento difficile del presidente del consiglio, la sua scarsa sintonia col paese.  Continua a leggere

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Mica come noi. (Ha proprio ragione Bernie Sanders)

Ma quanto vi piace, all’improvviso, Bernie Sanders che endorsa Hillary. Ma quanti bei tweet per insegnarci a stare al mondo, come lui, eeeeh. Che non è andato in tv ad accusare Hillary di essere arrogante, non ha fatto neanche un tweet da gufo rosicone. Mica come “loro”. Come “noi”, insomma, se ci siamo capiti.

E non solo non vi passa per il cervello che anche “loro”, “noi” insomma, invitiamo a votare Pd. E lo facciamo nonostante leggiamo tutti i giorni i retroscena del Corriere e sentiamo parlare di lanciafiamme nelle conferenze stampa, e lo facciamo nonostante che quelli che si fidano di “loro”, “noi”, non ne possano più di certi retroscena e di certi lanciafiamme, e tra un po’ nemmeno più di noi – visto che insistiamo a dirgli che bisogna votare per voi.

Non solo fate finta di non vedere che c’è differenza tra cercare il consenso di chi non ti ha votato e provare gusto a umiliarlo ogni volta che è possibile (“Sanders who?”, a Hillary non l’ho sentito dire), e questa differenza ha delle conseguenze.

Non solo siete così in malafede da passare sotto silenzio il fatto che Sanders non avrà fatto riunioni di corrente ma ha preteso nientemeno che la testa della presidente del partito, Debbie Schultz, dopo che è emerso che il gruppo dirigente non era stato imparziale durante le primarie: e l’ha ottenuta!

Non solo: è che così dimostrate quanto non valete nemmeno un mignolo di Hillary. Sapete che c’è, ha proprio ragione Bernie: “We need leadership which brings our people together and make us stronger”. Ma si sa, l’ammericani.

 

Aggiornamento: stanotte Hillary Clinton ha accettato la nomination “con umiltà” lanciando il suo nuovo slogan: Stronger together. Ha detto, tra l’altro: “Voglio ringraziare Bernie, perché ha ispirato milioni di persone, tanti giovani hanno messo il cuore e l’anima nella nostra campagna. A tutti i tuoi sostenitori voglio dire: la vostra battaglia di giustizia sociale è la nostra, il paese ha bisogno di voi, delle vostre idee e della vostra energia, ora la vostra piattaforma deve diventare un cambiamento reale per l’America”.

2013, il grande rimosso che rende il Pd incapace di cambiare

 

Ho scritto questo per i giornali locali del gruppo l’Espresso (Il Tirreno, La Gazzetta di Mantova, Il Mattino di Padova, Il Piccolo, Il Centro, La Gazzetta di Reggio, La Gazzetta di Modena, Alto Adige, Il Trentino, Il Messaggero Veneto, La Nuova Sardegna, La Nuova Venezia, La Città di Salerno e altri).

A un mese circa dal ballottaggi, l’Assemblea nazionale del Pd si è riunita sabato con all’ordine del giorno Brexit e questioni internazionali. Innegabile che sia importante e necessario per un partito riflettere sui fatti storici e tragici di queste settimane. Resta però sullo sfondo la sensazione di un rimosso, di un’insufficienza. La sconfitta di giugno è stata archiviata da Matteo Renzi in direzione come un “risultato difficile da decifrare”. Nessuna analisi dal gruppo dirigente, solo retorici appelli al “dovere di cambiare”, un paio di “basta con le correnti” provenienti per lo più dai principali capicorrente e qualche rumor su rimpastini al vertice di organismi che negli ultimi anni nessuno ha riunito o considerato luoghi di decisione. Nelle città dove si è votato non ci sono stati scossoni, dimissioni, riunioni.  Continua a leggere

È da questi particolari, D’Alema

Un dettaglio mi ha colpito, nell’intervista di Massimo D’Alema a Tommaso Labate e David Parenzo andata in onda ieri sera su La7. Lo scrivo dopo qualche ora, passato il profluvio social di commenti osannanti e antipatizzanti. Chi legge questo blog del resto sa che qui ci si professa adalemiani: né adoratori, né anti. Alla ricerca di una difficile laicità, insomma. Qualcosa da rimproverargli, trovandocisi a tu per tu, ci sarebbe pure, forse anche più di qualcosa, sulle vicende degli ultimi anni e non solo. Certo, si ascolta D’Alema più volentieri di un cretino; e spesso s’impara. Ieri sera poi, dopo questo pazzo e tragico week end, era curiosità vera, ed è stata ripagata.  Continua a leggere

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La sindrome di Pellè e il Pd accecato dal suo storytelling

Oggi sul quotidiano Il Dubbio

Tutti i partiti finiscono per somigliare al loro leader. Il Pd è diventato prigioniero, come il suo segretario, dello strumento che ha imparato a maneggiare con tanta abilità, la comunicazione. Drogato di storytelling, non riesce più a pensare ad altro; invece di leggere la realtà, si chiede come raccontarla; ma soprattutto – dramma vero – non riesce a percepire l’effetto che fa il modo in cui si rappresenta, la distanza tra le parole che usa e l’effetto che fanno. La sconfitta del Pd avviene così, paradossalmente, proprio sul terreno della comunicazione. Qualche esempio.  Continua a leggere