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Sulla post verità, sulle bufale, sul giornalismo

Sono stata da tutt’e due le parti della barricata. Sono una giornalista e ho lavorato nella comunicazione politica. Ho fatto la portavoce e l’ufficio stampa, e la vicedirettrice di un giornale e la direttrice di un’anomalissima tv di partito che faceva ottimo giornalismo e ottima comunicazione politica. Me lo dico da sola, sì. Perché so di essere stata nel mezzo di una guerra, in cui nessuno è disposto a riconoscere niente a nessuno. Però forse ho qualche titolo a dire la mia su questa storia del dibattito sulla post verità e poi delle minacce di giuria popolare sulle bufale dei giornali e relative reazioni indignate. Che non mi convincono, né le une né le altre.

Molte cose le ha scritte Michele Fusco, su Gli stati generali. Ne aggiungo qualcuna, in modo molto poco organico perché meglio non mi viene.  Continua a leggere

Rai, quelle nomine vecchio stile

Ho scritto questo per i giornali locali del gruppo l’Espresso (Il Tirreno, La Gazzetta di Mantova, Il Mattino di Padova, Il Piccolo, Il Centro, La Gazzetta di Reggio, La Gazzetta di Modena, Alto Adige, Il Trentino, Il Messaggero Veneto, La Nuova Sardegna, La Nuova Venezia, La Città di Salerno e altri).

Alla fine è sempre un problema di storytelling: se hai promesso che avresti cambiato tutto, hai detto che avresti buttato fuori i partiti dalla Rai, hai twittato che era “la volta buona” poi non c’è da stupirsi che le aspettative siano alte. E che la sostituzione di (alcuni) direttori di testata in carica da diversi anni, di per sé non scandalosa, peraltro con ottimi professionisti interni all’azienda, lasci la sensazione che qualcosa non va. Avallata, la sensazione, da tanti estimatori di Renzi che per difenderlo dalle critiche dicono in sostanza: ma non si è sempre fatto così? A parte che no, non sempre, non proprio. Il problema è che avrebbe dovuto arrivare il messaggio che stavolta era tutto diverso. E che anche questa vicenda manifesta il momento difficile del presidente del consiglio, la sua scarsa sintonia col paese.  Continua a leggere

Stepchild adoption, il problema del Pd è l’impotenza politica

Il Pd diviso sulla legge Cirinnà è una notizia che non riesce proprio a scandalizzarmi. La materia è complessa e storicamente controversa, e anche se è vero che nelle condizioni mutate della politica e del mondo cattolico non dovrebbe essere impossibile raggiungere una mediazione, non vedo cosa ci sia da stupirsi se in un grande partito culturalmente plurale c’è qualche difficoltà a trovarla. Io, per dire, le opinioni su questo argomento le rispetto tutte. Non presuppongo la malafede e l’eterodirezione di nessuno, e anzi mi irrito quando le sento teorizzare. Le liste di proscrizione mi fanno orrore, sempre. Penso che nel Pd non ci sia nessuno “indegno di stare in un partito di sinistra”, e nessuno che vuole introdurre il far west dei diritti. Se fossi parlamentare voterei probabilmente a favore della stepchild adoption, magari chiedendo prima al mio collega Andrea Giorgis, un costituzionalista insospettabile di chiusura mentale, in cosa consistono i suoi dubbi sulla costituzionalità del testo di cui leggo oggi sui giornali. Il Pd diviso, ripeto, è un non problema, un dato di partenza: lo stesso codice etico del partito del resto riconosce la libertà di coscienza su questi argomenti. E qui vengo al punto. Il problema invece è la ormai solita, totale, disinvolta assenza da parte del Pd di qualsiasi tentativo di gestione politica di queste difficoltà. Continua a leggere

Buridano e altri asini

  • Deplora il presidente Enrico Rossi che “il Pd rischia di diventare come l’asino di Buridano“. Colpevoli, Gianni Cuperlo e Roberto Speranza, rei di aver convocato la loro area politica il 12 dicembre, stesso giorno della Leopolda. Cosicché “un elettore che volesse un po’ annusare la vita del partito” sarà costretto a scegliere, quel giorno: o Firenze, o Roma. Ne conoscete voi di elettori Pd indecisi tra la Leopolda e Cuperlo&Speranza? Io pochissimi, anzi forse pensandoci bene solo Enrico Rossi. L’asino di Buridano, temo, è lui.
  • Solo per amor del vero, però, va detto che Cuperlo e Speranza hanno rinviato la loro riunione, già convocata per il 5 dicembre, dopo che l’iniùs del segretario (ok, l’e-news, ok) ci ha informato che il 5 e 6 dicembre ci sarà una mobilitazione nazionale, coi banchetti, di tutto il Pd. Non so se, come dice qualcuno, lo spostamento di data sia stato quindi “concordato con la segreteria”. Non mi importa molto, e anzi preferirei di no: ognuno convoca la sua corrente quando vuole, Renzi come Cuperlo e Speranza che in questo pari sono. Le iniziative unitarie di partito, invece, prevalgono, che fossero state convocate prima o meno (in questo caso, convocata dopo). Questa per me è la regola, e valeva anche quando la Leopolda era ancora una riunione di scapigliati rottamatori in netta minoranza, mica una passerella di sottosegretari con la pancetta come adesso, e pretendeva di far saltare le iniziative Pd. Altro che rinviare di una settimana per spirito unitario.
  • Infine, pare che alla direzione pd convocata per oggi, ordine del giorno la lotta al terrorismo, si discuterà di una norma anti Bassolino. Bassolisis, oh yeah, il terrore attraversa l’Europa. Dice l’impavida vicesegretaria che “non si può candidare chi è già stato sindaco due volte“, cosa che “varrebbe anche per Renzi a Firenze e Delrio a Reggio Emilia”, mica è una norma ad personam. Varrebbe anche per La Pira, per dire: il Pd non guarda in faccia nessuno. Solo che La Pira, dettaglio, non ha annunciato due giorni fa l’intenzione di candidarsi (come del resto Renzi e Delrio). Anzi, secondo il solitamente ben informato Corriere la norma sarebbe ancora più cogente, così da valere anche per Ignazio Marino: non può ricandidarsi “chi ha già fatto il sindaco”, punto. Tranne gli uscenti eh, tranquillo Fassino: perché in effetti il buon Ignazio non è uscente, è uscito. Ora, premesso che non si capisce perché un ex sindaco che può candidarsi alle elezioni vere non dovrebbe potersi candidare alle primarie. Premesso che Enzo Bianco o Leoluca Orlando dovrebbero decadere immediatamente, e che la candidatura di Rutelli nel 2008 va considerata a questo punto irregolare. Premesso che i renziani al tempo della scapigliatura sarebbero scesi in piazza contro chi, “da Roma”, avesse preteso di “cambiare le regole in corsa”. Premesso tutto questo, ma voi come la definireste della gente che pensa di governare un partito così, cambiando le regole a capocchia a mezzo interviste a Repubblica, col probabile risultato di far candidare Bassolino e Marino lo stesso, però da martiri e contro il Pd? Ogni riferimento al titolo di questo post è, naturalmente, casuale.