È da questi particolari, D’Alema

Un dettaglio mi ha colpito, nell’intervista di Massimo D’Alema a Tommaso Labate e David Parenzo andata in onda ieri sera su La7. Lo scrivo dopo qualche ora, passato il profluvio social di commenti osannanti e antipatizzanti. Chi legge questo blog del resto sa che qui ci si professa adalemiani: né adoratori, né anti. Alla ricerca di una difficile laicità, insomma. Qualcosa da rimproverargli, trovandocisi a tu per tu, ci sarebbe pure, forse anche più di qualcosa, sulle vicende degli ultimi anni e non solo. Certo, si ascolta D’Alema più volentieri di un cretino; e spesso s’impara. Ieri sera poi, dopo questo pazzo e tragico week end, era curiosità vera, ed è stata ripagata. 

Ma queste sono le cose importanti, e invece di un dettaglio volevo parlare. Il fatto che D’Alema ha detto insistentemente, per due o tre volte, intenzionalmente, che quello che stava dicendo lo avevano già detto “Cuperlo e Speranza, Speranza e Cuperlo”. Ha spiegato perché non aveva parlato alla direzione Pd dicendo che comunque “Speranza e Cuperlo, Cuperlo e Speranza” l’avevano fatto rappresentandolo.

Non era tenuto eh guardate. D’Alema era lì a dire che voterà no al referendum, poteva benissimo aggiungere “non come quei vigliacconi debosciati della minoranza Pd che ancora non si capisce cosa faranno”. Poteva benissimo approfittare della maggiore libertà di cui gode un ex presidente del consiglio che non è più neanche parlamentare per mettere in cattiva luce chi fa un mestiere, nello specifico, più complicato del suo. Poteva benissimo fare come quelle personalità cosiddette della sinistra che non dicono mai una parola contro Renzi senza premurarsi di aggiungere che però per carità gli altri sono come lui o chi c’era prima era peggio di lui o è degli altri la colpa se Renzi è così e se sta lì.

Invece no: “Cuperlo e Speranza, Speranza e Cuperlo”. Vi chiedo chi, nel Pd o nella politica, oggi è capace di dire che si sente rappresentato da qualcun altro. Chi fa un elogio dove potrebbe fare una critica. Chi dà una mano dove potrebbe demolire. Chi passa la palla a un “giovane”, pur giocando nella squadra dei “vecchi”. O viceversa, eh. Dire nessuno sarebbe troppo, ma certamente pochi.

Ecco, dicevo, è un dettaglio. E però io questa, quando la vedo in campo, la chiamo classe. E applaudo.

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *


*