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In quale direzione

Leggo che alla direzione del Pd di stasera, convocata d’urgenza con un sms e due giorni di preavviso in orario notturno, così da venire incontro – immagino – alle esigenze del territorio, si voterà su: Jobs act, legge elettorale, legge di stabilità e riforme costituzionali. Leggo che bisogna correre, correre, correre.
Speriamo che ci spieghino anche perché corriamo, con l’occasione. Perché con le aziende che chiudono, gli argini che crollano e il governo stabile fino al 2018 si debba correre tanto per fare subito subito la legge elettorale ad esempio.
Perché se “il patto scricchiola” e siamo pronti a proseguire senza Berlusconi non possiamo fare, come abbiamo sempre detto di voler fare, i collegi uninominali, invece di quella cosa delle liste un po’ bloccate è un po’ no, anche.
Perché se abbassiamo le soglie per far contenti i “piccoli” e anche i minuscoli, andiamo avanti con una riforma dichiaratamente pensata per rendere il nostro “un sistema fondato su due grandi partiti” (che poi non ho mai capito qual era il secondo grande partito, visto che Forza Italia è il terzo).
Cosa vuole fare insomma Matteo Renzi, a parte correre e dare titoli ad effetto ai giornali? Verso dove stiamo correndo, presidente? Se ce lo spiega in modo convincente, sarebbe importante. Se magari qualcuno stasera glielo chiede, ci fa un favore. Che noi possiamo solo guardare lo streaming, e comunque abbiamo già il fiatone. Grazie.

Un anno (bellissimo) di Giorni bugiardi

Un anno fa, il sei novembre, è uscito il nostro libro, Giorni bugiardi. Senza un complice come Stefano Di Traglia io da sola non avrei mai avuto il coraggio, per cui va a lui, oggi, il primo grazie.
Il secondo va a Pier Luigi Bersani, per la sua “non contrarietà” iniziale e poi per la sua guardinga e divertita disponibilità. E per le birre del pomeriggio, che aiutano a chiacchierare.
Il terzo ad Alessio Aringoli e agli Editori internazionali riuniti che ci hanno creduto insieme a noi.
Il quarto a Ivano Fossati che ci ha scritto la colonna sonora a sua totale insaputa.
Ma oggi volevo dirvi che in questo anno siamo stati, Giorni bugiardi e noi:
su tutti i giornali, grazie fra gli altri a Fabio Martini, Stefano Folli, Aldo Cazzullo, Pietro Spataro, Mariantonietta Colimberti, Wanda Marra, Tommaso Ciriaco
a Che tempo che fa grazie a Massimo Gramellini
a Roma, col presidente del consiglio Enrico Letta (grazie!) e la diretta Sky Continua a leggere

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Leggende metropolitane: Renzi che portò il Pd nel Pse

Guardate è un dettaglio, lo dico io per prima. Infatti la maggior parte delle volte ormai faccio finta di niente anch’io. Tuttavia esiste anche l’amore di verità, alla fine. Il punto è questo: anche Ezio Mauro, nel suo bell’editoriale che tutti dovremmo leggere e discutere, oggi dice che “Renzi ha portato il Pd nel Pse”. La stessa cosa avevo sentito dire due sere fa in tv, da Fazio, da Massimo Giannini. Sono giornalisti importanti, persone serie, uomini colti. Per questo dico: ma ci credono davvero?
Io quella vicenda la conosco bene, l’ho raccontata da giornalista, ma non penso di avere più elementi per capirla di Giannini e Mauro. Per questo vorrei ricordare brevemente e molto superficialmente alcuni fatti. Fatti, non opinioni mie. I fatti sono questi: che il congresso del Pse a Roma, che si è svolto il primo marzo scorso, era stato convocato già durante la segreteria Bersani, ed era stato annunciato e organizzato durante la segreteria Epifani. Anche se qualcuno, non certo Mauro e Giannini, pensasse che una cosa del genere si decida e si organizzi in una settimana, ci sono le agenzie e gli archivi a dimostrare il contrario.
Il percorso lungo e difficile del Pd verso il Pse era iniziato già da tempo. Piero Fassino da segretario ancora dei Ds, si era adoperato al congresso di Oporto (dicembre 2006) per spiegare ai compagni del suo partito l’imminente costituzione di un nuovo partito di centrosinistra in Italia. In quel congresso, accolto come una star e invitato con un entusiasmo che creò in Italia anche qualche imbarazzo (“Join us, Romano!”) a unirsi alla famiglia socialista dal segretario Rasmussen, era intervenuto il presidente del consiglio italiano Romano Prodi.
Un altro passo importante lo fece un segretario non socialista, Dario Franceschini, dopo le elezioni europee del 2009, tagliando la testa al toro del “dove vi siederete in Europa” e decidendo, non senza dover fare qualche coraggiosa forzatura nel partito, che tutti i deputati europei del Pd si sarebbero iscritti, senza aderire al partito, al gruppo del Pse. La componente italiana venne affidata alla guida di un altro non socialista, David Sassoli, che si è adoperato per costruire un percorso comune.
Durante la segreteria Bersani, Sigmar Gabriel e Francois Hollande, (i leader socialisti dei due principali paesi europei) hanno fatto comizi nelle piazze del Pd e i vertici socialisti europei hanno partecipato ogni anno alle feste democratiche. Ci sono state centinaia di viaggi e di riunioni in tutto il mondo, organizzati da Lapo Pistelli e Giacomo Filibeck. Roma ha ospitato due volte i progressisti di tutto il mondo – democratici americani compresi – che insieme ai socialisti europei hanno dato vita alla Progressive Alliance, la conferenza mondiale dei progressisti, socialisti e non. In questo contesto si sono create le condizioni per superare anche le ultime obiezioni all’adesione del Pd al Pse, o comunque per portare tutto il partito verso quell’esito.
Quando dico “ultime obiezioni” intendo riferirmi agli ex Margherita e soprattutto all’area rutelliana, e cioè ai renziani. Mentre infatti personalità come Franceschini, Pistelli e Sassoli hanno lavorato per avvicinare il Pd al Pse, nel mondo renziano (e in un altro pezzo di ex Ppi, quello vicino a Beppe Fioroni) si sono accumulate sempre le resistenze più forti. Che poi, a congresso Pse convocato e deciso, il post ideologico Matteo Renzi abbia dichiarato, da candidato alle primarie, di non avere obiezioni all’adesione al Pse e che poi, divenuto segretario, non abbia rimesso in discussione le decisioni prese, va benissimo e per quanto mi riguarda è un suo merito. Che gli ultimi resistenti, tutti renziani, a parte un paio di eccezioni, abbiano poi votato in direzione a favore di un passo che, gliel’avesse chiesto un altro segretario, avrebbe provocato minacce di scissione e suicidi di massa, affari loro.
Tuttavia i fatti sono stati questi. È così che è andata. Ripeto non per amore di polemica. Ma solo per amore di verità: lo sanno tutti i giornalisti seri, ed è così che la dovrebbero raccontare.

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Così si uccide l’Ulivo, e Renzi è l’assassino

A rivederla in tv, l’ultima sequenza della Leopolda 5, quella in cui il segretario del mio partito aizza il suo pubblico e chiama la standing ovation contro il mio partito, la sua storia e i suoi protagonisti, assicurando che “non sarà consentito” a costoro di “riprenderselo”, continua a provocarmi un’ondata di pensieri e sensazioni. Sono diverse ore che rimando l’appuntamento con la tastiera, perché non si dovrebbe scrivere quando si è arrabbiati. Ma ci devo provare.
Credo che non capiti niente del genere in nessun partito al mondo. Ma va bene ho capito: Matteo Renzi vuole solo applausi, vuole liberarsi da chiunque possa offuscare il suo splendore, considera insulto ogni critica, tratta come un nemico chiunque non si allinea al suo insindacabile – per quanto variabile – giudizio su cosa sia giusto, bello e buono, su quale sia il cambiamento che serve all’Italia. Dichiara di rispettare e poi disprezza. Non rispetta niente in realtà Renzi, non riesce a rispettare niente di quello che non può sottomettere. Purché tutto ciò abbia una caratteristica: stare dalla sua stessa parte. Se sono avversari no, va bene: allora Renzi diventa ragionevole, cordiale, capace di mediazione. Non so neanche se lo faccia apposta, se sia carattere o strategia. Tuttavia, ecco, mi chiedo: qual è la strategia di Renzi?

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Partito della nazione? Io preferisco cambiare il mondo

Sulla direzione di ieri gli amici del sito Intelligo News mi hanno fatto questa intervistina che vi invito a leggere, il titolo è un po’ forte ma diciamo che avevo detto che “se lo intendiamo così”, come sembra di capire, il partito della nazione che ha in mente Renzi è il contrario del centrosinistra e dell’Ulivo, secondo me.
Una senatrice ieri in direzione ha detto che il Pd è un partito aperto, ma così aperto, che “raccoglie tutto quello che c’è in giro”. Ora, a parte che detto così sembra l’Ama, a me non è che piaccia così tanto, quello che c’è in giro. Io, che ci volete fare, sono una che vuole cambiare il mondo. Per questo mi appassiona la politica. E per questo sono una persona di sinistra.
Su ieri c’è anche altro da dire, io penso che sia stata tutto sommato un’occasione persa. Un’occasione di parlarsi con verità, soprattutto. Come facciamo a fare il bipartitismo con tre poli, per esempio (grazie a una legge elettorale che sarà approvata insieme al terzo, peraltro). Cosa ci differenzia dalla destra, ammesso che. Che cos’è la Leopolda (“veniteci anche voi” no, non è una risposta). Come si fa politica senza soldi e senza dipendere da chi ce li ha e te li dà. Questo calo degli iscritti, se c’è o no. E soprattutto se ci dispiace o è una bella cosa. Come si fa a dire “la prossima volta che eleggiamo il presidente della repubblica non dovremo farci condizionare da twitter” dopo aver capeggiato la rivolta su twitter. Cosa vuol dire disciplina, cosa vuol dire lealtà. Però è stato detto che era un inizio, la riunione di ieri. Non ho capito bene come si prosegue, ora. Ma confidiamo.

A proposito, molte cose che penso e che comunque trovo interessanti sul partito della nazione le trovate qui.

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Ma non è oggi il compleanno. #buoncompleannoPD

Secondo me non è oggi. Secondo me non è giusto che sia oggi. Oggi è il giorno in cui Walter Veltroni, sette anni fa, ha vinto le primarie, le prime, del Pd. Io l’avevo votato, io le ho vinte le primarie quel giorno. Ma quelli che hanno perso? Sono meno Pd di me?
Non lo dico per polemica, una volta tanto. Non lo so quale sarebbe una data migliore di questa. E però mi sembra indicativo il fatto che ormai sia passata l’idea che si festeggia oggi. Indicativo di un partito che non trova neanche la sensibilità e la generosità per riconoscersi e festeggiare in un giorno che sia stato di vittoria per tutti. Di un partito in cui ancora nel discutere ci si zittisce con l’argomento (falso) “voi avete sempre perso”, come se le sconfitte fossero di qualcuno, e le vittorie di qualcun altro. Di un partito in cui chi la pensa diversamente viene vissuto con insofferenza (e già posso scommettere sull’insofferenza con cui verrà accolto questo post).
Quindi buon compleanno, Pd. Sono stati sette anni meravigliosi, lo dice una che ti ha scelto dall’inizio e da prima dell’inizio. Che ha fatto sempre tutto quello che ha potuto per aiutarti a crescere. E che pensa che sì, sei grande: ma non sei ancora adulto.

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Al Circo Massimo, un po’ come alla Festa dell’Unità

Questo post è stato scritto insieme a Stefano Di Traglia

Siamo andati a curiosare al Circo Massimo. Non ci hanno insolentito né cacciato, quindi o non siamo né Kasta né giornalisti o comunque non contiamo niente. Bene.
Tutto sommato, questa cosa del Movimento 5 stelle assomiglia molto a una Festa dell’Unità, con qualche differenza, anche a sorpresa. C’è un giornale, si chiama “il Movimento”, ma loro preferiscono chiamarlo “volantino”. C’è qualche contraddizione, gli stand dei No tav accanto a quelli istituzionali dei gruppi parlamentari. C’è molta carta, molti gadget, molta identità: “Tu chi sei?”. Niente, sono venuto a guardare. “Ma di dove sei?”. Niente, di Roma. “Ma di che circolo?”. Ma no, niente. Lo trovano strano.
Lo slogan della festa è “La buona notizia”: che, ammetterete, è molto bello e funziona. Da almeno duemila anni.
C’è la stessa musica che alle feste dell’Unità, c’è uno spirito molto simile, non ci sono stand commerciali, c’è forse più militanza e più territorio. C’è dietro, sicuramente, una struttura organizzata. E si vede. Continua a leggere

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Colpirne uno per educarne centouno

Io penso che non votare la fiducia a un governo sostenuto dal proprio partito sia un fatto grave. Lo dicevo quando a dirlo ci si prendeva di “stalinista” e si alimentava l’indignazione degli indignati che occupavano i circoli (ma dove sono finiti, a proposito?) e lo dico anche adesso. Penso che sia giusto che il gruppo del senato (ecco, il gruppo del senato magari, non la segreteria pd cioè lo staff del segretario) si riunisca e valuti eventuali conseguenze politiche di quanto è avvenuto sul Jobs act.
Lo dico anche perché ho molti amici che in nome di questo hanno votato la fiducia a un testo di legge che non era in nessun programma elettorale, che va contro le loro idee e i loro principi e che non hanno avuto neanche la possibilità di discutere, e non vorrei essere al loro posto. Lo dico anche perché, fossi stata al loro posto, probabilmente anch’io avrei votato la fiducia, dato che penso che è troppo comodo salvarsi l’anima da soli.
Detto questo, però, questo delirare stentoreo di “punizioni esemplari” quando non addirittura di “colpirne uno per educarne cento” penso che dovrebbe far riflettere un pochino. Anche perché, considerando i pulpiti da cui vengono le prediche, è difficile dire se certe minacce siano più agghiaccianti o più ridicole. Come sa chiunque in questi anni non dico abbia voluto un po’ bene al Pd, ma almeno abbia letto qualche giornale. E conservi un minimo di memoria e raziocinio anche in questi tempi di arroganza smisurata e conformismo vigliacco.

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Persino

«Fonti di Palazzo Chigi sottolineano, contrariamente a quanto riportato oggi da notizie di stampa, come il voto di oggi sulla fiducia riguardi evidentemente l’articolo 18. Lo si è spiegato per mesi ovunque, persino nelle sedi di partito. La delega attribuisce al governo il dovere di superare l’attuale sistema e il presidente del Consiglio ha indicato con chiarezza la direzione. Chi vota la fiducia vota la fiducia al presidente del Consiglio e al governo che sostengono la necessità di riformare l’intero mercato del lavoro, come esplicitato dalla delega. Che essendo delega non può che avere la portata definita dal testo normato.»

Ecco, di questo affannoso, propagandistico e burocratico comunicato, teso a convincerci che sì, oggi il senato vota sull’articolo 18 (ma che problema c’è? Non basta scriverlo nell’emendamento?) io sono colpita soprattutto da una parola, proprio non riesco a smettere di guardarla. “Persino”.

Roberto, alla stazione

Oggi ho incontrato il mio amico barbone. L’avevo già visto altre volte, per strada e alla stazione, ma al mio “ciao” non aveva mai risposto. Così l’ho guardato, mi ha guardato, e non ho detto niente. Dopo un po’ però era lì: “Io voglio dire una cosa, se viene viene, se no è lo stesso: te sei la Chiara?”. Mi sono alzata in piedi: “Ciao, Roberto”.
Il mio giovane parroco, ai tempi, gli faceva lavare le scale, pulire la chiesa. Così gli dava qualcosa, e se lo teneva intorno. Roberto era diventato un po’ il beniamino dei ragazzi, ma anche di tante mamme della parrocchia. A volte si presentava a casa di qualcuno, verso sera, “scusate se sturbo”, diceva. E così lo invitavano a cena. Era un po’ così, ma era buono. Non ha dato mai fastidio a nessuno, che io sappia. Ora non c’è più niente di uguale a prima. A un certo punto è sparito, poi l’ho cominciato a rivedere. “Come va Roberto?”.
“Non è più come prima eh. Mio babbo e mia mamma non ci sono più. Anche la casa non c’è più”.
“Non era dei tuoi genitori la casa eh?”.
“Nooo. La signora voleva tanti soldi”.
“E adesso?”.
“Adesso dormo qui, alla stazione”.
“E mangiare?”.
“Quelli del bar mi danno qualcosa”.
“Ma c’è la mensa qui vicino eh”.
“Ma c’è sempre una confusione, nooo”.
“Ma qualcosa di caldo, magari”.
“Ma quelli del bar mi danno qualcosa di caldo a volte. Io di lavoro aiuto a caricare, ora”.
“A caricare?”.
“Le valigie”.
“Eh ma ora viene l’inverno Roberto”.
“Eh, lo so”.
Si ricorda tutti. Anche gente che io non mi ricordo. “Campa ancora il babbo di Mario?”. Sì, l’ho visto quest’estate. “Bruno”. Sì, Bruno. “La Marina ha due gemelli”. Due gemelli sì. “Era bello, a quei tempi”. Io sono andata a vivere a Roma sai. “Sì, lo so, è da tanto”.
“Roberto senti, non devi bere eh”.
“No, io non bevo. Bevo l’aranciata”.
“Bravo, poi un giorno per volta, speriamo bene”.
“Sì. Le mie cose me le tiene una signora”.
“Così se un giorno avrai di nuovo una casa hai le tue cose”.
“Sì”.
“Ecco, vedi? Speriamo dai. Arriva il treno Roberto”.
“Ti aiuto a caricare?”.
“Ma no grazie, ce la faccio”.
“Sono contento”.
Anch’io.