Roberto, alla stazione

Oggi ho incontrato il mio amico barbone. L’avevo già visto altre volte, per strada e alla stazione, ma al mio “ciao” non aveva mai risposto. Così l’ho guardato, mi ha guardato, e non ho detto niente. Dopo un po’ però era lì: “Io voglio dire una cosa, se viene viene, se no è lo stesso: te sei la Chiara?”. Mi sono alzata in piedi: “Ciao, Roberto”.
Il mio giovane parroco, ai tempi, gli faceva lavare le scale, pulire la chiesa. Così gli dava qualcosa, e se lo teneva intorno. Roberto era diventato un po’ il beniamino dei ragazzi, ma anche di tante mamme della parrocchia. A volte si presentava a casa di qualcuno, verso sera, “scusate se sturbo”, diceva. E così lo invitavano a cena. Era un po’ così, ma era buono. Non ha dato mai fastidio a nessuno, che io sappia. Ora non c’è più niente di uguale a prima. A un certo punto è sparito, poi l’ho cominciato a rivedere. “Come va Roberto?”.
“Non è più come prima eh. Mio babbo e mia mamma non ci sono più. Anche la casa non c’è più”.
“Non era dei tuoi genitori la casa eh?”.
“Nooo. La signora voleva tanti soldi”.
“E adesso?”.
“Adesso dormo qui, alla stazione”.
“E mangiare?”.
“Quelli del bar mi danno qualcosa”.
“Ma c’è la mensa qui vicino eh”.
“Ma c’è sempre una confusione, nooo”.
“Ma qualcosa di caldo, magari”.
“Ma quelli del bar mi danno qualcosa di caldo a volte. Io di lavoro aiuto a caricare, ora”.
“A caricare?”.
“Le valigie”.
“Eh ma ora viene l’inverno Roberto”.
“Eh, lo so”.
Si ricorda tutti. Anche gente che io non mi ricordo. “Campa ancora il babbo di Mario?”. Sì, l’ho visto quest’estate. “Bruno”. Sì, Bruno. “La Marina ha due gemelli”. Due gemelli sì. “Era bello, a quei tempi”. Io sono andata a vivere a Roma sai. “Sì, lo so, è da tanto”.
“Roberto senti, non devi bere eh”.
“No, io non bevo. Bevo l’aranciata”.
“Bravo, poi un giorno per volta, speriamo bene”.
“Sì. Le mie cose me le tiene una signora”.
“Così se un giorno avrai di nuovo una casa hai le tue cose”.
“Sì”.
“Ecco, vedi? Speriamo dai. Arriva il treno Roberto”.
“Ti aiuto a caricare?”.
“Ma no grazie, ce la faccio”.
“Sono contento”.
Anch’io.

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