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Il renzismo è nudo. Il referendum del #ciaone

Verrà ricordato come il referendum del #ciaone, c’è poco da fare. Vedremo col tempo chi, il 17 aprile 2016, ha detto #ciaone a chi. Intanto, questo è il dibattito pubblico in Italia, e questa è la politica. L’hanno già scritto in tanti, quei sedici milioni che nonostante gli inviti (eufemismo) a non votare da parte di tutto il potere costituito, politico ed economico, e il silenzio quasi tombale dei media (altro che “siamo più forti dei talk show”, segretario!) sono molto pochi per fare il quorum ma sono molti se configurano un blocco attivo contro un Pd renziano che ai tempi del suo massimo splendore, quelli del famoso 40 per cento delle europee, ne raccolse 11 milioni e 200 mila, e che dopo quel risultato ha perseguito tenacemente un isolamento arrogante, distruggendo intorno a sé ogni parvenza di coalizione e tutti i fili che lo legavano agli altri corpi intermedi, al civismo, alle forme di partecipazione più o meno organizzata. Fino al delirio di insultare irridendo, a urne aperte per un referendum promosso da amministratori del Pd, una consistente fetta del proprio elettorato “colpevole” di autonomia di pensiero e partecipazione. #ciaone, appunto. Continua a leggere

Aiuto, mi si è ristretto l’Italicum (Milano e Diamanti, nel senso di Ilvo)

Dopo una fase di scapigliata insofferenza per le “derive politologiche” (in particolare se ascrivibili alla minoranza Pd), il Maestro Stefano Folli torna a temi a lui più congeniali lanciando un accorato appello dal sapore ultimativo, se non disperato, sui rischi dell’Italicum. Io non so se, come scrive il Maestro, la nuova legge elettorale fosse davvero “un sistema concepito per consolidare il trionfo della nuova era renziana” che ora rischia di ritorcersi contro i suoi stessi autori. Non mi permetterei mai di dirlo: che Folli è un Maestro, a me i renziani se scrivo così me menano. So però che, ben prima che i sondaggi di Ilvo Diamanti ce ne svelassero le insidie, analoghi avvertimenti (politologici s’intende) erano venuti – inascoltati per non dire disprezzati e silenziati con procedure parlamentari del tutto inedite – anche dall’interno del partito del premier. Continua a leggere

Torna il partito solido, ma decido tutto io

“L’offerta del premier alla minoranza Pd”, dice il titolo di Stefano Folli in prima pagina su Repubblica. Orsù, precipitiamoci a leggere. Scrive dunque Folli che siccome, è noto, il patto del Nazareno non c’è più, Renzi avrà pur bisogno di disinnescare qualche mina, per cui gli sarà indispensabile aprire alla minoranza del suo partito. È la tesi storica di Repubblica, sovente smentita dai fatti. Ma stavolta sarà diverso: Renzi, racconta Folli, ha spiegato all’Espresso cosa intende fare: se “da un lato annuncia l’intenzione di andare avanti senza tentennamenti, cioè senza concedere alcuna correzione sulla riforma elettorale, dall’altro apre a una diversa organizzazione del Pd”. Insomma, il Pd tornerà a essere, ammesso che lo sia mai stato, un partito solido (anche se – non si pensi – un partito solido non tradizionale) e non più, com’è diventato adesso, un comitato elettorale del leader. La ditta insomma sopravvive, annuncia lieta Repubblica agli oppositori di Renzi “che vogliono collaborare”. Insomma: Renzi decide tutto con Verdini e nessuno deve osare non essere d’accordo, tanto casomai lui si appella al popolo e chiede il plebiscito, però nel Pd “ci sarà spazio” per gli oppositori tesserati.

La domanda, come si dice, sorge spontanea: non sarà mica, per caso, che uno dei due, o Renzi o Folli, pensa che ccà qualcun è fess?

Giorni Bugiardi, Stefano Folli e un pensiero di quand’ero ragazzina

Scrive oggi Stefano Folli, in una bellissima recensione al libro di Stefano Di Traglia e mio, Giorni Bugiardi, che l’errore del Pd bersaniano è stato quello di aver “parlato alla società italiana come doveva essere in base a una certa analisi e a uno schema ben definito (…), quasi non considerando le trasformazioni culturali, sociali e di costume intervenute dopo il ventennio berlusconiano (…). E’ un errore, questo? Certo, lo è. Ma è anche vero che un uomo non può tradire se stesso e le proprie radici. Bersani si è confermato persona seria e affidabile, ma è stato travolto da un mondo che aveva perso quella razionalità e persino quella ‘innocenza’ che lui pretendeva di restituirgli”.

Sono parole molto belle, che mi hanno fatto pensare. Non so se, nel riconoscere serietà e affidabilità a Bersani, Folli intendeva anche rimproverarlo un po’ per un eccesso di passatismo o addirittura di ideologia. Eppure io, che ho tutt’altra storia rispetto a Bersani, ho sempre pensato, e prima ancora che pensato ho sperimentato fin dai miei anni da ragazzina che nell’Azione cattolica assumeva le prime responsabilità educative verso i più piccoli, che un uomo, come un ragazzo o anche come un partito o un’opinione pubblica, trattati male come meritano non fanno che comportarsi sempre peggio. E che invece trattati con fiducia e con amorevolezza imparano a fidarsi di te e alla fine diventano migliori. Per questo quello che dico lo dico da persona di sinistra ma, in questo caso prima ancora, da cristiana: se questo è stato l’errore nostro e di Bersani, e probabilmente lo è stato, io lo rifarei mille volte a costo di perdere mille volte. (E forse alla milleunesima volta vincerei, però davvero, però riuscendo davvero a cambiare le cose dopo aver vinto. E in ogni caso, ne sarebbe valsa la pena).