Tag Archives: partito democratico

Aiuto, mi si è ristretto l’Italicum (Milano e Diamanti, nel senso di Ilvo)

Dopo una fase di scapigliata insofferenza per le “derive politologiche” (in particolare se ascrivibili alla minoranza Pd), il Maestro Stefano Folli torna a temi a lui più congeniali lanciando un accorato appello dal sapore ultimativo, se non disperato, sui rischi dell’Italicum. Io non so se, come scrive il Maestro, la nuova legge elettorale fosse davvero “un sistema concepito per consolidare il trionfo della nuova era renziana” che ora rischia di ritorcersi contro i suoi stessi autori. Non mi permetterei mai di dirlo: che Folli è un Maestro, a me i renziani se scrivo così me menano. So però che, ben prima che i sondaggi di Ilvo Diamanti ce ne svelassero le insidie, analoghi avvertimenti (politologici s’intende) erano venuti – inascoltati per non dire disprezzati e silenziati con procedure parlamentari del tutto inedite – anche dall’interno del partito del premier. Continua a leggere

Ma perché la Guidi era ministro dell’Industria?

Insomma, Renzi è tutto contento perché “prima non ci si dimetteva, ora ci si dimette”. Non sempre eh, vorrei dirgli. Però capisco che son grandi soddisfazioni. Ho visto un senatore che twittava felice che non aveva mai visto dimissioni così veloci come quelle della Guidi, e a dirvi il vero è stato difficile trattenere l’applauso. Un record è un record, caspita. Io però avrei due domande, segretario. Continua a leggere

“Avete smesso di pensare, voi del Pd?”. Il momento-corazzata Potiomkin di D’Attorre

Capita a volte che certi dialoghi diventino un simbolo. In questo, avvenuto qualche giorno fa negli studi dell’Aria che tira, con Andrea Pancani a far da padrone di casa temporaneo, a prescindere dal tema (i rapporti con l’Egitto), c’è tutto. Tutto un momento politico, voglio dire.

C’è il lapsus di Fiano, “se fossi un libero cittadino, no un libero pensatore”.
C’è l’osservazione-novantadueminutidiapplausi di D’Attorre, “avete smesso di pensare, voi del Pd?”.
C’è l’applauso liberatorio-corazzataPotiomkin del pubblico in studio.
C’è la reazione arrogante/stizzita di Fiano, “hai preso l’applauso su una cazzata”.
C’è il gelo imbarazzato del conduttore e dello studio, “e che gli avrà detto mai, mamma mia”.
C’è la faccia amareggiata di D’Attorre, elettore dirigente e deputato Pd fino a ieri.
C’è la prosopopea di una lunga supercazzola fatta col tono di chi si degna di rispondere ma sa che tu non puoi capire cosa vuol dire “avere responsabilità di governo”. Perché lui ce l’ha, e tu no. Lui ha il potere e lo gestisce, tu sei un poveraccio che non può capire.
C’è D’Attorre che incassa la parolaccia e la predica, ascolta con educazione e pazienza ma a un certo punto dice: “E quindi?”.

Emanuele Fiano e Alfredo D’Attorre avevano la porta nello stesso corridoio del mio ufficio quando lavoravo al Pd. Sono due miei amici. Io sono con fatica un’elettrice del Pd, Alfredo è andato via (ma io so che ci ritroveremo). Vorrei dire una cosa al Pd: potete zittire D’Attorre, potete zittire certamente me. Ma non potete eludere quella domanda, che chiunque vi voglia bene, soprattutto se vi conosce bene, vi farà sempre più spesso, e non solo sui rapporti tra l’Italia e l’Egitto: “Avete smesso di pensare, voi del Pd?”.

 

Renziani, quell’intervista di Bersani sull’astensione però leggetela

Nel tentativo di screditare il no della minoranza Pd alla scelta astensionista imposta senza dibattito dai vicesegretari del Pd, i renziani fanno girare questa intervista di Bersani all’Unità rilasciata nel 2003, cioè successiva al fallimento (nel senso di mancato quorum) del referendum sull’articolo 18. Finalmente ho avuto modo di leggerla con un po’ di calma. Ecco, consiglio a tutti di fare altrettanto. Fa capire molto bene cosa significa lasciarsi guidare dal popolo e non boicottare la sua volontà di esprimersi. Cosa significa affrontare i problemi in un’ottica di governo, rifiutando di semplificarli e di ridurli a tifoseria, dentro una visione plurale (i sindacati, gli enti locali!) e partecipata della democrazia e in una prospettiva limpidamente di centrosinistra: l’Ulivo insomma. Un altro mondo, proprio, rispetto al dibattito a cui assistiamo oggi. Si può perfino invitare all’astensione “come elemento di riflessione e non di disciplina” (magari quando stai all’opposizione, meno quando stai al governo e il referendum è stato chiesto da amministratori locali in maggioranza del tuo partito) ma senza fare trucchetti, sapendo che poi non rivendicherai il mancato quorum come una vittoria, ma assumendolo come un impegno a risolvere per via politica e senza slogan un problema difficile. (E comunque credo che Bersani avesse votato anche quella volta).

Astenersi perditempo, non è questione di trivelle

Telegraficamente, sul referendum. Non ho ancora approfondito bene l’argomento trivelle, colpa mia. Vedo persone stimabili schierarsi dall’una e dall’altra parte, quindi sospendo il giudizio in attesa di fare i compiti ok? E però non mi pare che il punto sia questo, lo dico anche in relazione a cose che ho letto in rete, dove qualcuno ha creduto di zittire chi protestava per la decisione del Pd (dei vicesegretari del Pd) di schierare il partito per l’astensione tirando fuori un vecchio manifesto dei Ds che nel 2003 invitava a non partecipare al referendum sull’articolo 18.

Io, che per inciso non sono mai stata nei Ds, mi sono astenuta diverse volte nei referendum per scelta politica e non per distrazione. Credo anch’io che l’astensione possa essere un’opzione legittima nel referendum abrogativo che prevede, per essere valido, la condizione di raggiungere il quorum della metà dei votanti. Capisco le ragioni ben illustrate da Enzo Lattuca per opporsi alla propaganda astensionista, soprattutto nel contesto attuale di disaffezione crescente al voto e alla partecipazione; tuttavia non sento per questo di essermi comportata come una truffatrice quando ho scelto di non partecipare a quesiti che volevo far fallire, e non accuso il Pd per aver preso la decisione dell’astensione per principio.

Io contesto invece quella decisione sul piano concreto.
– perché è stata presa dal Pd senza alcun dibattito né discussione;
– perché si è scelto di non discuterne nonostante i promotori del referendum siano quasi tutti amministratori e presidenti di regione del Pd;
– per la mancata convocazione in materia di qualsiasi organismo decisionale del Pd;
– per la pretesa di guidare un partito comandandolo da Roma;
– per l’incomprensione totale del fatto che questa vicenda rivela l’esistenza di una questione che riguarda il Pd nel suo rapporto col territorio e in particolare il Pd nel Mezzogiorno (ricordate quando Renzi, a fronte del non brillante risultato delle ultime regionali, si vantava – come al solito prendendosi anche i meriti degli altri – perché “governiamo in tutte le regioni del sud”?);
– per la disinvolta incoerenza con altre posizioni assunte in passato dal Pd e da diversi suoi esponenti e dirigenti (sì, senza che state a cliccare nel link qua sopra c’è il post-cult della Serracchiani nel 2012 a Monopoli contro le trivelle);
– perché se un partito è diviso su un tema la soluzione rispettosa di tutti non è l’astensione ma semmai la libertà di coscienza;
– per il tono assurdamente minaccioso del comunicato dei vicesegretari in risposta alla richiesta di chiarimento della minoranza Pd dopo la “scoperta” della linea del partito pubblicata sul sito del’Agcom.

Mi pare dunque che il precedente diessino c’entri molto poco: quella era una decisione politica assunta con il voto di un organismo dirigente da un partito che aveva concordato sull’obiettivo di far fallire il referendum sull’articolo 18. Per questo, in assenza di novità e come gesto di libertà, pur non avendo ancora deciso come votare credo che andrò a votare.

Post scriptum. Non ho il sospetto, bensì l’assoluta certezza che, in condizioni di maggioranza/minoranza diverse all’interno del Pd, Renzi e la Serracchiani di fronte a questa decisione del partito, e a una decisione presa in questo modo, starebbero gridando allo scandalo in nome del dovere di partecipare e far esprimere i cittadini contro la protervia dell'”apparato”. Il che, questa certezza dico, dipende naturalmente solo dalla mia nota malevolenza, gufaggine e rosiconaggine. Tuttavia, un pochino di onestà intellettuale e di senso del limite e della decenza sarebbe prezioso coltivarlo, o almeno pretenderlo.

Chi ha distrutto l’Ulivo, chi ha fatto l’Ulivo

Sono io, oppure sei tu
chi ha sbagliato più forte

Tra un mese, il 21 aprile, saranno vent’anni davvero da quella notte. Io vivevo a Roma da pochi mesi, non conoscevo quasi nessuno in città, e quella domenica sera guardavo incredula in un minuscolo televisore nella mia stanzetta da studente David Sassoli, allora ancora giornalista del Tg3, raccontarmi che avevamo vinto, da una piazza che dietro di lui si riempiva e si colorava. Non sapevo ancora che quella piazza, quelle bandiere, sarebbero diventate la culla della mia formazione professionale e politica. Pochi mesi dopo, insieme al mio amico Gianmarco, avrei salito i gradini di piazza del Gesù, sì proprio quel posto lì, col batticuore di una ragazza di Carrara che pensa “oddio dove sono”, e avremmo chiesto a chi stava organizzando il congresso del Ppi: “Serve una mano per l’ufficio stampa?”. Continua a leggere

La politica come parodia della politica

Questo week end ho fatto un sacco di chilometri e tantissime cose, mo’ non ve le sto a raccontare tutte ma per brevità vi dirò: guardate Gazebo. Dovreste guardarlo sempre eh, ma domenica sera Gazebo era folgorante. Non perché fosse la puntata più bella che hanno fatto, assolutamente. Ma perché era una fotografia dell’Italia. Della politica e del giornalismo politico in Italia oggi. La cui parola chiave, quella che spiega tutto, è: parodia.

Pensate alle Gazebarie. Già dal nome è una parodia delle primarie no? Una cosa da ridere, via. E infatti quello erano le Gazebarie di Bertolaso: una consultazione su un solo candidato (“volete voi confermare”, eccetera eccetera), oltretutto un candidato manco tanto sicuro di esserlo (la sera stessa ne è venuto fuori un altro, anzi un’altra); un’iniziativa propagandistica che simula un meccanismo elettorale; un set per leader politici che mimano il gesto di votare; un plebiscito in favore di telecamere. Ecco, le telecamere. Guardate Gazebo anche per questo, per il circo mediatico. Una bolgia infernale e urlante che rischia l’osso del collo per un frame di Berlusconi che mette la finta scheda nella finta urna; uno strillare domande a casaccio cercando di scansare il telefonino di Gasparri che fa le foto per twitter; un riportare i dati farlocchissimi sull’affluenza “già altissima alle 9 e 30 a Mezzocamino”, quando è evidente che ai seggi c’è solo mezzo gruppo parlamentare di Forza Italia che si sposta per fare da set agli arrivi del macchinone di Berlusconi. “Hanno votato in cinquantamila!”, ha sparato la propaganda forzista alla fine di due giorni di “votazioni” senza competizione, senza registrazione dei votanti, senza osservatori, senza richiesta di documenti. Hanno votato in cinquantamila, hanno riportato i mass media, al massimo strizzando l’occhio per far capire tra le righe che sì, vabbè, mica ci crediamo, ma questo è il dato che ci comunicano. Continua a leggere

La resa dei conti (che però erano sbagliati)

Il presente post va letto come aggiornamento del precedente:
1) su Roma: pensandoci bene, e ricontando, le schede bianche non erano quasi tremila ma poco più di cinquecento. Il dato della partecipazione alle primarie è stata intorno ai 43/44mila, come ha sostenuto fin da domenica sera il comitato Morassut e come avevano ribadito gli esponenti della minoranza Pd che parlavano di allarme sulla partecipazione. Il comitato organizzatore delle primarie ammette che in effetti c’è stato “un errore”.
2) su Napoli: il ricorso di Bassolino è stato respinto senza essere esaminato perché non è stato presentato nei termini previsti di 24 ore dopo la chiusura dei seggi. Il verdetto della commissione di garanzia napoletana era stato anticipato da dichiarazioni compatte del gruppo dirigente nazionale che parlavano di “primarie impeccabili”. Intanto è apparso un altro video di Fanpage coi cosentiniani che raccolgono voti per la Valente. Nel 2011, durante la segreteria Bersani, un analogo ricorso di un esponente dell’allora minoranza era stato accolto e le primarie erano state azzerate. Il Pd napoletano era stato commissariato.
3) di fronte a queste due figuracce planetarie, il gruppo dirigente del Pd non solo non si scusa coi cittadini e gli elettori e con chi ha partecipato alle primarie, e magari anche con chi aveva espresso preoccupazioni rivelatesi fondate, ma annuncia una “resa dei conti” in direzione. Il presidente di garanzia, dal canto suo, parlando della minoranza del suo partito, annuncia che “io questi li asfalto per davvero stavolta”.
4) la domanda, quindi, che sorge spontanea dall’Alpe, dalle valli e dal mar e che ci permettiamo di suggerire anche ai colleghi che prendono sul serio certe dichiarazioni e certe strategie di storytelling è: ma resa dei conti de che?

Ok Pd, facciamo a modo tuo

È troppo tempo amore
che noi giochiamo a scacchi
mi dicono che stai vincendo
e ridono da matti
Ma io non lo sapevo
che era una partita
posso dartela vinta
e tenermi la mia vita

Riepilogando. Domenica ho votato alle primarie del Pd per la scelta del sindaco di Roma. Lunedì, ospite di Tgcom24 e rispondendo alle domande dei colleghi del sito Intelligonews.it, ho detto quello che pensavo su com’era andata. In seguito, nella serata di ieri, sempre lunedì, è uscito prima il video “votalafemmina” di Fanpage che documenta i passaggi di denaro fuori dai seggi a Napoli e su cui oggi Antonio Bassolino ha presentato ricorso; poi, dopo quasi ventiquattr’ore dalla chiusura dei seggi, i dati definitivi sulla partecipazione a Roma che arrivano quasi a raggiungere l’ambito traguardo della metà dei votanti rispetto alle primarie vinte nel 2013 da Ignazio Marino (svoltesi col Pd allo sbando, a pochi giorni dai 101 e delle dimissioni del segretario nazionale e a suo tempo definite “un flop”), grazie a una miracolosa fioritura di 4.000 schede bianche, l’8 per cento rispetto all’1 per cento dell’ultima volta (le altre volte in generale il dato è ovviamente più o meno analogo: chi si mette in fila per pagare due euro e votare scheda bianca? Eppure).

Oggi, martedì, ascoltate le risposte e i commenti dei dirigenti del mio partito rispetto a questi fatti e a queste cose dette da me e da altri, ho deciso che io sulle primarie non ho più nulla da dire. Il mio ultimo messaggio è: ok Pd, facciamo a modo tuo. Visto che il commissario del Pd nella mia città dice che i miei amici che non votano più Pd “erano truppe cammellate” e che chi nel partito parla di calo della partecipazione “rimpiange i tempi di Mafia capitale”; visto che il mio candidato sindaco dice che la sinistra del Pd “ha boicottato le primarie”; visto che a chi ha qualcosa da dire su Napoli il presidente del Pd risponde che “la primarie si sono svolte in modo impeccabile” e che al limite “si valuteranno singoli casi” (singoli casi? quanti? perché la Valente ha vinto per meno di cinquecento voti mi pare. Quindi se fossero più di cinquecento “singoli casi” quelli da valutare la cosa si farebbe interessante); ma insomma visto tutto questo io dico al mio partito: caro Pd, benissimo. Va tutto benissimo. Fammi vedere come vinci le elezioni dopo questa splendida festa della democrazia e questa prova di trasparenza che tutto il mondo ci invidia. Fai una bella campagna elettorale con questi argomenti, questi toni e questi candidati. Io come sai, caro Pd, sono una di quei quattro coglioni sulla cui lealtà puoi sempre contare. Vediamo quanti ce ne sono come me, ok? E vinca il migliore eh. Speriamo.

Ps: googlatevi qualche articolo del 2011 su come andarono le primarie a Napoli e su perché e su richiesta di chi (indovinate: era uno della minoranza) sono state annullate. Vedrete che sarà interessante. Lo so, avevo detto che non ne parlavo più. Ma mica ci avrete creduto.

Perché la fiducia sulle unioni civili mi fa imbufalire

  1. Come cattolica (lo dico ai “cattodem” di piazza e d’aula e anche al caro Angelino, che canta vittoria e si permette di insultare esponenti del partito suo alleato che “vogliono far male a Renzi”, che tenero lui): chi mette la fiducia oggi su un tema etico, si vedrà mettere la fiducia domani su un altro tema etico. La vita parlamentare è fatta così, si chiamano precedenti. Nel Vangelo si chiama “non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”, ma è la stessa cosa. Significa (anche) che ogni essere umano è immagine e riflesso dell’infinita sapienza di Dio, e ogni coscienza merita il rispetto che ciascuno chiede per la propria. (La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui luce risuona nell’intimità propria… Nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità. Gaudium et spes, costituzione pastorale su La Chiesa nel mondo contemporaneo, capitolo 16).
  2. Come cattolica democratica, seduta sulle spalle di giganti che ci hanno insegnato – in qualche caso prevenendo e anticipando lo stesso Concilio – il valore della libertà di coscienza e l’autonomia della politica, difendendola dai laicisti, dai clericali e qualche volta dai loro vescovi stessi, e a caro prezzo. Da De Gasperi che dice no all’operazione Sturzo arrivando fino a quei cattolici democratici che ribellandosi al Non possumus sui Dico diedero di fatto vita al Pd all’inizio del 2007, epoca del primo Family day, e nel momento in cui un papa dal cuore libero e dalla parola limpida dice ai giornalisti di “non ricordare bene” il famigerato documento sui “valori non negoziabili” che nel 2002 quasi uccise il cattolicesimo democratico vincolando l’azione politica dei laici alle decisioni dei vescovi, restituendo potenzialmente a chi fa politica la propria dignità e la propria libertà, trovo intollerabile che la mediazione sui temi etici venga affidata ad accordi e patti politici come un qualsiasi rimpasto di governo o come un decreto milleproroghe.
  3. Come democratica, cioè come elettrice del Pd. Il rispetto del pluralismo delle idee, insieme al principio della laicità della politica e delle istituzioni, sono principi fondativi del nostro partito, riconosciuti al punto 2 del nostro Codice etico. Il Regolamento del nostro gruppo al senato (punto 3) riconosce e garantisce espressamente “la libertà di coscienza dei senatori, con particolare riferimento alla incidenza delle convinzioni etiche o religiose dei singoli nella sfera delle decisioni politiche”. La fiducia su questioni come i diritti degli omosessuali e il sì o no all’adozione del figlio biologico del partner, dentro il Pd, è una bestemmia, che contraddice le ragioni fondative della nostra comunità politica e ne mette a rischio la sussistenza come tale. Il contrario di quello che abbiamo sognato, desiderato e immaginato.

Ancora una volta il Pd si avvia a scegliere, sulla legge Cirinnà, una strada che prescinde dalla politica, dal ruolo della politica, dalla ricerca di una sintesi politica. Dopo aver predicato per mesi che “la legge Cirinnà è il massimo della mediazione possibile” e che “deciderà il parlamento”, all’improvviso, senza nessuna autocritica dei vertici del partito e del gruppo, passa dal “chi vota vota” alla blindatura di un compromesso al ribasso. Lo fa creando un precedente pericoloso e doloroso, che non scioglierà il conflitto ma ce lo consegnerà intatto e pronto per la prossima forzatura. So che qualcuno dice meglio una legge così così che nessuna legge: sono d’accordo, anche se credo che una legge migliore di quella che scaturirà dall’accordo Renzi-Alfano sarebbe ancora possibile, se il Movimento 5 stelle cogliesse per una volta l’occasione di fare politica e di provare a cambiare davvero le cose in questo paese. E tuttavia non sono indifferente al metodo, perché il metodo è sostanza. Non diventeremo un paese più libero con metodi illiberali. Non diventeremo un paese più maturo trattando i parlamentari come scolaretti.