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Canguri e cangurati, traditori e traditi

  1. L’ho detto ieri agli amici di Intelligonews che me l’hanno chiesto, ma forse vale la pena di ripeterlo: per approvare una legge o si cercano accordi politici con forze dell’opposizione, oppure si fa una forzatura parlamentare per imporre la volontà della maggioranza. Fare tutte e due le cose insieme non può funzionare e infatti non ha funzionato. A me pare che la questione canguro, al di là della lealtà, slealtà, ingenuità, moralità, furbizia dei protagonisti, sia tutta qui. Lo dico perché oggi qualcuno ci spiega che chi critica non capisce che in questo senato non c’è una maggioranza forte sui diritti civili: e se non c’è una maggioranza forte perché avete provato a fare la prova di forza, amici e compagni?
  2. Lo dico anche perché a me non è che piacciano i traditori. E però siccome molti amici e compagni, ai tempi dei 101, mi hanno spiegato sussiegosi che io sbagliavo a insistere col fatto che Bersani era stato tradito e non capivo che “il tradimento non è una categoria della politica”, adesso mi fa un po’ specie che quegli stessi amici e compagni – versione gigliata e versione turca – se la prendano coi cattivi grillini. Un partito di opposizione non è tenuto a essere leale con un partito avversario. Un partito di opposizione non è tenuto a condividere una spregiudicata tattica parlamentare nemmeno se condivide il merito di una legge (vedasi il punto 1). Certo, poi se non si è voltagabbana e traditori nella vita è meglio. Soprattutto coi propri amici e compagni di partito, magari.
  3. Volevo infine dirvi che – udite udite – presentare emendamenti è un’antica prassi parlamentare che non nasce in questa legislatura. Anche prima che venisse inventata la tattica del canguro, accadeva che le opposizioni presentassero emendamenti, a volte anche TANTI (anzi: in passato i regolamenti parlamentari consentivano tattiche ostruzionistiche molto più aggressive di adesso, e in Italia non è che ci fossero sempre maggioranze blindate). Ebbene non è mai successo che una riforma non venisse approvata perché l’opposizione si era messa contro, ve lo dico. Se una riforma ha i voti per essere approvata in qualche giorno si approva, anche senza furbizie e prepotenze parlamentari. Giorno più, giorno meno. Noi intanto buttiamo dalla finestra una settimana perché il canguro doveva saltare ma non ha saltato. In una settimana cinquecento emendamenti si votavano, ve lo dico.

Aridatece Fanfani. Non regalate i cattolici alla destra

Non che mi convinca del tutto l’intervista di Beppe Vacca sul Corriere di oggi, anzi. Tuttavia penso che certi turborenziani pronti a ricondurre qualsiasi obiezione alle unioni civili alla caricatura-Scilipoti e a buttare tutti gli argomenti in un unico minestrone di politica e tifoseria la dovrebbero meditare, insieme all’editoriale di Aldo Cazzullo, sempre sul Corriere. E riflettere, e poi magari dirci, se per caso – proprio loro che da giovani andavano al Family day e proprio nell’era di un papa come Francesco – non vogliano riportare l’Italia agli anni ’50.

O meglio, per la verità regalare i cattolici alla destra in Italia nemmeno negli anni ’50 era successo, a dirla tutta. Che almeno Fanfani qualche buona riforma sociale di sinistra l’ha fatta.

Stepchild adoption, il problema del Pd è l’impotenza politica

Il Pd diviso sulla legge Cirinnà è una notizia che non riesce proprio a scandalizzarmi. La materia è complessa e storicamente controversa, e anche se è vero che nelle condizioni mutate della politica e del mondo cattolico non dovrebbe essere impossibile raggiungere una mediazione, non vedo cosa ci sia da stupirsi se in un grande partito culturalmente plurale c’è qualche difficoltà a trovarla. Io, per dire, le opinioni su questo argomento le rispetto tutte. Non presuppongo la malafede e l’eterodirezione di nessuno, e anzi mi irrito quando le sento teorizzare. Le liste di proscrizione mi fanno orrore, sempre. Penso che nel Pd non ci sia nessuno “indegno di stare in un partito di sinistra”, e nessuno che vuole introdurre il far west dei diritti. Se fossi parlamentare voterei probabilmente a favore della stepchild adoption, magari chiedendo prima al mio collega Andrea Giorgis, un costituzionalista insospettabile di chiusura mentale, in cosa consistono i suoi dubbi sulla costituzionalità del testo di cui leggo oggi sui giornali. Il Pd diviso, ripeto, è un non problema, un dato di partenza: lo stesso codice etico del partito del resto riconosce la libertà di coscienza su questi argomenti. E qui vengo al punto. Il problema invece è la ormai solita, totale, disinvolta assenza da parte del Pd di qualsiasi tentativo di gestione politica di queste difficoltà. Continua a leggere

Quarto e il reato di clandestinità, cioè la stessa cosa

Eppure non è difficile. Se si teorizza che un partito debba essere lo specchio della società, che debba rappresentarla risucchiandola come un’idrovora, se i parlamentari sono tali in quanto “cittadini”, se la democrazia è “uno vale uno”, se le decisioni non derivano da un sistema di valori e da un’identità condivisa ma le prende di volta in volta “la rete”, allora perché la camorra non dovrebbe approfittare dell’occasione di avere uno spazio in cui dire la sua? Di più: se si aspira a fotografare la società, tutta la società, così com’è, per quale motivo si dovrebbe essere immuni da inquinamenti e infiltrazioni di forze organizzate e saldamente presenti nella società, non solo del sud?

E se si teorizza che la politica è comunicazione, che si vince in quanto si sa comunicare (e viceversa), che un paese si governa con lo storytelling, che l’importante è puntare ogni giorno a fare bella figura sui giornali del giorno dopo, che l’immagine viene prima di tutto, allora perché si dovrebbe abolire il reato di immigrazione clandestina, anche se è dimostrato che non funziona, anche se lo chiedono i principali operatori sul fronte sociale e giudiziario, anche se è la posizione storica del tuo partito, anche se il parlamento ti ha dato un mandato ad abolirlo, quel reato, all’interno di una legge delega che tu gli hai chiesto e che sei stato tu stesso ad annunciare trionfalmente come cosa fatta diversi mesi fa?

Ho letto e condiviso molti post interessanti in questi giorni, sia sulla vicenda di Quarto che sull’odioso reato voluto dalla destra più ideologica e retriva che il governo non vuole abolire. Cito in ordine sparso quello di Michele Serra su Repubblica, quello di Marco Bracconi su Repubblica.it, quello di Marco Esposito su Giornalettismo, fino al magnifico pezzo di Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera di oggi. Mi pare che queste due vicende abbiano in comune un fatto: la politica si consegna agli umori di giornata, il Pd e il Movimento Cinque Stelle si ingaggiano in una gara di “gnè gnè gnè” che li rende indistinguibili l’uno dall’altro, drammatica nemesi del “tutti sono uguali”, l’infausto slogan che ha fatto la fortuna del grillismo, anche perché in troppi lo hanno alimentato e in pochissimi hanno provato a contrastarlo e a dire che era solo un modo per convincerti a restare chiuso dentro casa quando viene la sera, oh se lo era.

Altro che primato della politica, altro che controllo dell’agenda. Siamo al primato dell’emozione, dell’isteria e dello slogan. Grillini o no, siamo tutti grillizzati. Uno vale uno, i ricchi decidono, i tecnici amministrano e i politici vanno in televisione. Del resto, se pensi che un partito debba assorbire la realtà senza filtri e senza idee, se pensi che l’obiettivo di una leadership sia che tutti ti dicano bravo, se rappresenti così bene il mondo com’è, perché mai dovresti riuscire a cambiarlo? Nemmeno ti conviene, cambiare il mondo.

Vale per i grillini, e purtroppo oggi vale anche per il Pd.

Cari renziani, voi uno come Renzi non ve lo meritate

Cari renziani da tastiera, care tigri del social network, cari draghi della community, mettetevi un attimo seduti che vi devo spiegare una cosa. Mettiamo, per dire, che Matteo vada in Libano a incontrare i nostri soldati. Mettiamo che ci vada con la mimetica, peraltro poco donante e indossata malino, senza fazzoletto al collo e abbinata coi jeans (ma questo è il giudizio gufo e rosicone di un’osservatrice prevenuta e malevola, e vi prego di non tenerne conto ai fini della comprensione di questo post). Mettiamo, può capitare, che qualcuno lo sfotta un po’ sui social. Mettiamo, per esempio, che uno, o una – io, diciamo – faccia una battutina, anche scemina e nemmeno particolarmente cattiva, niente di che, su questo fatto di Renzi in mimetica.

A questo punto voi avete di fronte alcune alternative. Potete ignorarmi dall’alto della superiore capacità comunicativa del vostro capo, naturalmente a me incomprensibile in quanto limitata, prevenuta e incapace di comunicare, ma che sarà elogiata adeguatamente domattina sull’Unità da Velardi o Rondolino. Potete sfottermi a vostra volta con un qualche argomento del tipo: vedi, anche stavolta sei costretta a parlare di lui, lui ha bucato lo schermo anche stavolta. Potete fare anche voi un tweet spiritoso, casomai vi riuscisse, magari più spiritoso del mio.

Quello che non dovete mai, mai, mai fare, amici è prendermi sul serio e rovinare la mia giornata e la vostra inondandomi di notifiche nel tentativo di spiegarmi: Continua a leggere

Sindaci arancioni, bugie e battaglie da fare

Più che la lettera dei tre sindaci, mi hanno colpito le reazioni. Sintomi, gli ennesimi, della malattia di questi giorni bugiardi, di questa politica sempre più incapace di dire la verità agli altri e a se stessa. Cos’hanno detto Pisapia, Doria e Zedda, al di là di qualche riferimento forse un po’ superficiale alla Francia, al di là delle loro specifiche e legittime campagne elettorali? Che il centrosinistra per vincere – e le loro esperienze lo dimostrano – deve essere unito e aperto al civismo e alla partecipazione. Che in questo modo ha vinto in passato e può vincere in futuro.

Così avevo letto, e mi sembrava di non poter essere in disaccordo. Viste le prime reazioni, sono andata a rileggere: eppure c’era scritto proprio così, non avevo capito male. E però qualche amico “di sinistra” uscito dal Pd o tentato di farlo diceva che questo era un appello “al voto utile”, e che non ci sarebbe cascato; perché il Pd non si può più votare, perché non è più di sinistra. E all’opposto qualche altro amico “di sinistra” convertitosi al renzismo diceva che i tre sindaci avevano proprio ragione, che è così che si vince: uniti. Continua a leggere

Non ce la può fare: perché Renzi non sarà mai il segretario del Pd

“La segreteria sarà ridotta – annuncia Renzi – Così com’è oggi non serve a niente. Perché devo avere il responsabile dell’agricoltura quando ho il ministro dell’agricoltura?”
(già, e però in effetti perché devi avere una segreteria quando hai il consiglio dei ministri?)
“Si parte da qui e si passa per la Leopolda. Si è anche discusso se nel luogo simbolo del renzismo potesse per la prima volta comparire il logo del Partito democratico, creare cioè un collegamento diretto tra il segretario e il Pd, che restituisse l’immagine non di un distacco ma di una simbiosi. Alla fine si è deciso di no”.
(no ma quale collegamento per carità. si è deciso di no)
(da Repubblica di oggi, “Dalla segreteria ai circoli Renzi vuole il nuovo Pd È la missione del 2016”. Di Goffredo De Marchis)

E va bene, razionalizzatelo sto Pd. Però diteci la verità

I numeri sono numeri, e quelli sugli iscritti e i circoli del Pd che riporta Tommaso Ciriaco su Repubblica di oggi, in un articolo precipitato rapidissimamente nella parte bassissima del sito del giornale, lasciano poco spazio ai dubbi: sono numeri da allarme rosso. Quando nell’autunno dell’anno scorso Goffredo De Marchis sullo stesso giornale aveva pubblicato dati allarmanti sul tesseramento del 2014, la segreteria del Pd aveva smentito con sdegno, affermando che non c’era nessun calo. Un anno dopo, la strategia è cambiata. Nessuna smentita stavolta, bensì una rivendicazione: “Stiamo razionalizzando il quadro”, dice Guerini.

Va bene allora, razionalizzatelo sto partito. Puntando, s’intende, “su una struttura più light”, che fa fino e non impegna, e poi c’è sempre la società civile o un bel prefetto che spunterà fuori al momento buono. Basta che però alla prossima discussione – sapete, quando si parla di cazzate su facebook come dice il nostro presidente – non ci venite a rispondere come rispondete di solito: che in fondo è sempre stato così, gli iscritti sono sempre diminuiti e l’organizzazione di partito in stile anni 50 non ha più senso. Continua a leggere

Non siamo guariti. Un romanzo su Bersani e la malattia del Pd

Qualche giorno fa, a Padova, ho presentato insieme a Flavio Zanonato e all’autore il libro di Antonio Martini La Guarigione (Alba edizioni, 14 euro). Da un po’ volevo parlarvi qui sul blog di questo libro, che nel frattempo è stato recensito sul Corriere del Veneto e che è piaciuto molto a Gad Lerner. Si tratta di un romanzo, ispirato però ai fatti (veri)  avvenuti all’inizio del 2014: la malattia di Bersani, ma anche la caduta del governo Letta e le varie vicende (anche precedenti) del Pd. Se ve ne parlo oggi non è solo perché il libro è finalmente disponibile (per i romani) alla libreria Arion Montecitorio (si può comunque richiederlo direttamente alla casa editrice), ma anche perché in questi giorni mi capita di pensare spesso a quello che ho detto anche l’altra sera: non siamo guariti. Bersani sì, per fortuna. La malattia del Pd però è ancora lì. Anche perché non è stata curata.

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Lettera a Orfini sul complesso del caminetto

Caro presidente Orfini, leggo sul Fatto quotidiano che per la centesima volta, ieri sera da Floris, hai sostenuto che nel Pd di Bersani, quando tu stavi in segreteria, decidevano tutto in pochi “nei caminetti” dei capicorrente scavalcando la segreteria. A me dispiace, caro Matteo, che tu abbia introiettato questa idea di non contare niente nonostante fossi in segreteria nazionale. Peraltro all’epoca non mi sembrava che tu fossi particolarmente sfiduciato, remissivo e umile quando c’era da dire la tua.

Io tutti questi caffè alle otto di mattina di Bersani coi big delle correnti non me li ricordo, ma forse è perché noi giornalisti abbiamo il vizio di andare in ufficio tardi. Però sicuramente ce ne saranno stati eh. Perché vedi, tre o quattro anni fa, per i militanti del nostro partito, il parere di D’Alema, Franceschini, Bindi, Veltroni contava qualcosa (adesso non so, ma non darei per scontato niente: potrebbe essere imprudente). Il segretario lo sapeva, e ogni tanto, guarda un po’, li ascoltava. So che il concetto è difficile da afferrare: un segretario che ascolta gente che non fa parte del suo cerchio magico. Però si può dirigere un partito anche così, prendendosi qualche caffè ogni tanto con le personalità più autorevoli, anziché mandare i messaggini con scritto “li asfalto” ai giornalisti ed espellerle dalle commissioni parlamentari, le personalità più autorevoli, quando non sono d’accordo con te. Continua a leggere