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Bertolaso e la forza delle cose

Ho scritto questo per i giornali locali del gruppo l’Espresso (Il Tirreno, La Gazzetta di Mantova, Il Mattino di Padova, Il Piccolo, Il Centro, La Gazzetta di Reggio, La Gazzetta di Modena, Alto Adige, Il Trentino, Il Messaggero Veneto, La Nuova Sardegna, La Nuova Venezia, La Città di Salerno e altri)

Gazebarie, Bertolarie e promesse di Berlusconi non sono bastate: la candidatura di Guido Bertolaso a sindaco di Roma si ferma qui, dopo l’ennesima gaffe e il millesimo sondaggio impietoso. Il Cavaliere endorsa Alfio Marchini, e forse non poteva finire diversamente. Se questo prefiguri un centrodestra che torna competitivo nella Capitale e come cambi – o non cambi più di tanto – i destini della sfida tra i front runner Giachetti, Meloni e Raggi (in ordine alfabetico) lo diranno, nei prossimi giorni, i sondaggi e il clima della campagna. La svolta di Forza Italia, o di ciò che ne resta, intanto però ci dice una cosa. Che non riguarda tanto, come si ritiene, il destino dei moderati, quanto il fatto che la politica ha le sue leggi e una di queste, non la meno importante, è che nessun leader può prescindere dalla forza delle cose. Un partito è un partito è un partito, direbbe il poeta. Per quanto “di plastica”, o proprietario, o in crisi. Continua a leggere

Argomenti costituenti. La campagna del Sì

Rapida rassegna degli efficacissimi argomenti con cui sostenitori della riforma Boschi, taluni anche professionalmente accreditati, stanno rispondendo al pacato documento dei 56 costituzionalisti che qualche giorno fa si sono schierati per il No.

  • Siete dei vecchi babbioni.
  • Avete tutti delle gran belle pensioni.
  • Non avete mai riformato niente in vita vostra.
  • La riforma ce l’ha chiesta Napolitano.
  • Ce l’avete con Renzi perché prende in giro i vostri convegni con le tartine.
  • Rosicate con la Boschi perché non vi ha dato una consulenza.
  • La gente è incazzata per via che girano pochi soldi e ogni tanto arrestano un politico, qualcosa dovevamo inventarci.
  • Se non si approva questa riforma, chissà quando ci ricapita.
  • Non sarà un granché, ma da questo parlamento che cacchio pretendevate.

Sono effettivamente argomenti fortissimi. Mi sento pervasa di spirito costituente. Non vedo l’ora che arrivi ottobre, per scrivere sulla scheda il mio voto: “gnègnègnè”.

Aggiornamento: per chi volesse approfondire la questione qui succintamente accennata, suggerisco la lettura di questo meravigliosissimo pezzo di Marco Damilano.

Sul referendum avevamo deciso insieme? (Fact checking)

È una polemica fantastica questa sulle firme per il referendum costituzionale. Firme che peraltro sono state già raccolte e depositate dai parlamentari che hanno votato contro la riforma e che sosterranno il no. Questione chiusa insomma: il fatto non sussiste. E però ora ci vogliono anche le firme per il sì, una specie di prova d’amore per Matteo Renzi, che infatti si arrabbia con la minoranza Pd che non firma. Perché, dice da Città del Messico coi toni di un innamorato tradito, “sul referendum avevamo deciso tutti insieme, se qualcuno ha cambiato idea mi dispiace”. Anche se, aggiunge, perché anche gli innamorati hanno la loro dignità, quel qualcuno “non conta niente”. Questi son sentimenti di contrabbando, lo sappiamo.

Ma è proprio vero che avevano deciso tutti insieme? Ora può anche essere eh. Non è che a noi elettori devono per forza dire sempre tutto. Tuttavia, a me non risulta. Tanto che ricordo benissimo che, a patto del Nazareno ancora vigente e maggioranza dei due terzi ancora assicurata, sentii per la prima volta questa storia che il governo il referendum lo voleva comunque a costo di chiedere a una parte della maggioranza di votare contro la riforma volontariamente in terza lettura. Era la ministra Boschi a fare questo annuncio, nell’aula del senato e poi naturalmente su twitter, il 24 luglio del 2014. La cosa fece un certo scalpore, anche tra i senatori. Quanto a me, pensai che così diventava un plebiscito, mi arrabbiai moltissimo e scrissi questo post.

La politica è altrove. Così parlò Martinazzoli

“La politica è altrove, vi aspetteremo là”. Quello citato da Matteo Renzi a conclusione del suo discorso in senato mi sembrava, a orecchio, un Martinazzoli linguisticamente un po’ troppo sciatto. Perché poi io quel discorso alla camera del 28 aprile 1987 l’ho sentito citare tante di quelle volte che mi sembra quasi di saperlo a memoria. Fu un momento mitico: il capogruppo della Dc, con un finale a sorpresa, chiese (e sottolineo: “chiese”) ai deputati di non votare la fiducia al governo Fanfani. Insomma quel dibattito fu tutto tranne che un voto di fiducia scontato su un paio di mozioni bislacche, risolto in un comizio anche apprezzabile contro la “barbarie giustizialista” (ma soprattutto contro i grillini), un discorso che comunque non ha spiegato le ragioni politiche della scelta di Federica Guidi come ministro dell’Industria e il giudizio che oggi il premier, al di là degli aspetti giudiziari, dà di quella scelta. Finì, allora, che il Psi votò quella mozione di fiducia, la Dc no. Un gol al novantesimo, una specie di Roberto Baggio in Italia-Nigeria. La legislatura fu chiusa lì, le camere furono sciolte e si andò a votare. Già questo rende la citazione di Renzi un po’ bizzarra e fuori contesto.

Insomma sono andata a ricercare quel discorso. L’ho trovato talmente bello che l’ho copiato (era in un pdf degli archivi storici della camera) e ho deciso di pubblicarlo qui. Lascio giudicare a voi le differenze. La frase di Renzi al senato, testuale, è stata questa: “La politica è rispettare chi governa (!!!, ndr), non urlare costantemente, facendo un’opposizione costruttiva, preparandosi a governare la volta dopo, rispettandosi – cosa che abbiamo cercato di fare con il patto del Nazareno (!!!, ndr) – e non delegittimandosi vicendevolmente. L’Italia è altrove, la politica è altrove; quando avrete finito con le vostre sceneggiate televisive, noi vi aspetteremo là“. Il discorso di Martinazzoli, invece, eccolo (ho messo un po’ di parole in neretto così, a mio gusto. Se arrivate fino in fondo a leggere poi vi dico un’altra cosa):

Signor presidente, onorevoli colleghi, onorevole presidente del consiglio, il gruppo della Democrazia cristiana, con l’intervento dell’onorevole De Mita, ha espresso le proprie valutazioni e ha dato conto delle proprie determinazioni. Non c’è ora da aggiungere altro. Sono mancate infatti, a nostro avviso, nel confronto parlamentare, domande ulteriori meritevoli di adeguata riflessione. E non sono venute risposte che possano esigere una qualche correzione.

Si è consumata, per lo più, una ripetitiva ed esorbitante polemica. Confesso che, a proposito di tante e smisurate parole, non mi viene in mente niente. E sarà anche questo un segno di quella solitudine che andate denunciando con un’enfasi che soverchia di gran lunga la compunzione.

Noi stiamo in verità, con le nostre non volubili ragioni, con la nostra difficile ma doverosa coerenza. Non stiamo al gioco, insomma. E ci viene fatto di chiedere, piuttosto, se la vostra gremita ed esuberante compagnia sia, poi, così allegra e spensierata o se non avverta la nostalgia di qualche cosa di impegnativo che la rassicuri.

Io credo che la politica è altrove e che, prima o poi, dovrete tornarci. Noi vi aspettiamo lì. Per intanto, rimane una cosa sola da dire: onorevole presidente del consiglio, noi abbiamo ascoltato e apprezzato le sue dichiarazioni e la sua replica e le dobbiamo un tributo di affettuosa gratitudine anche per la lezione di coraggio e di stile offerta a quest’aula, che qualcuno vorrebbe trasformare in un’accademia di sofisti, che è impresa notevole, tanto più quando si accompagna all’invettiva contro Azzeccagarbugli. Ma che cosa è se non un sofisma l’idea di trasformare, quasi per sortilegio, l’eclisse di una maggioranza e il diniego di un’altra in un nuovo e definibile evento che potrebbe essere tutto tranne quell’autorevole, organica, motivata compattezza che lei, onorevole presidente, ritiene giustamente necessaria a sostegno di una operosa continuità del governo? Inchiodandolo su questo paradosso si riesce soltanto a rinnegare l’apprezzabile passato di un’alleanza che, malgrado tutto, ha futuro, a patto che le ragioni di una crisi si vogliano indagare e non addormentare per una sorta di grottesca anestesia. In ogni modo non siamo condiscendenti è proprio perché vogliamo che tornino i giorni della chiarezza non possiamo lavorare per l’oscurità.

Certo, ci inquietano tante improvvide parole, le minacce capziose, le allusioni ambigue ma sappiamo che c’è in giro sufficiente memoria e buon senso per ricordare, riconoscere e giudicare le intenzioni, i comportamenti e le responsabilità di ciascuno, nonché le parole, quelle di tutti i giorni, non quelle di un minuto; anche questo bizzarro finale di partita, poiché non si riscatta un copione scadente con un estremo colpo di teatro, o evocando la fantasiosa e leggermente estorsiva regia di Marco Pannella.

Noi abbiamo presentato una mozione di fiducia il cui senso, malgrado la concisione della formula, non può prestarsi a equivoci. Essa tratta della fiducia nel presidente del consiglio, dell’adesione alla sua analisi di congiuntura politica, del consenso alle conclusioni che ne ha tratto.

Abbiamo compiuto un gesto vero immaginando sensatamente di confrontarci con interlocutori veri. Poiché siamo condotti a constatare che le cose non stanno così e che non ci si vuole più paragonare su una misura di verità, non possiamo avere più dubbi sulla inesorabile esigenza di un gesto reciso. Non ci faremo imprigionare da una finzione. È dimostrabile che l’astuzia non è illimitata allo stesso modo che è legittimo sottrarsi a un inganno: se la commedia già mediocre è diventata intollerabile e rischiosa, conviene calare il sipario. Sono costretto perciò a chiedere ai deputati della Democrazia cristiana di astenersi dal voto sulla fiducia al governo.

Ecco, se siete arrivati fin qui vi meritate un’altra citazione. La devo a Francesco Nicodemo, ed è un bellissimo colloquio con Martinazzoli firmato da Giampaolo Pansa per Repubblica il giorno dopo quel discorso. Leggetelo, lentamente (ma quanto erano lunghi gli articoli una volta?). Oppure accontentatevi di queste due o tre pillole che vi regalo io qui in calce. E poi decidete se la politica è altrove, e dov’è.

Martedì mattina ero arrivato qui non avendo nessuna certezza di che cosa avrei dovuto dire… Cercavamo d’ interpretare i segnali che arrivavano dagli altri gruppi. Ancora lunedì notte non eravamo certi che i socialisti e il Psdi avrebbero assunto quella posizione che poi han preso“.

Intendo dire, la gente ha capito l’ astensione della Dc mentre Craxi, Nicolazzi e i radicali votavano per Fanfani? Martinazzoli ci pensa su, come chiuso in se stesso. Poi replica: “Ho il dovere di darle una risposta umile: io l’ ho capita, rispetto a quel gesto loro. Ma credo che sia stata capita anche più in là di noi, fuori di noi. Per questo continuo a pensare che, davvero, i giochetti, le astuzie e le trappole non possono essere troppi, sennò finisci col cascarci dentro”.

Prima della fine, Martinazzoli ha scritto l’ ultima parte della breve dichiarazione di voto: “La riga che m’ ha preso più tempo è stata quella conclusiva. Io non me la sentivo di dire ciò che di solito si dice in questi casi: il gruppo dc si astiene, ecc. ecc. C’ era un rischio a dir così. E se poi trovavi cinquanta dei nostri che facevano il contrario? Allora non ho imposto niente a nessuno. E non ho dato per scontato che tutti i nostri deputati si astenessero. Mi sono limitato a chiederglielo“. “Vede, sono qui da cinque mesi. Sono stati mesi molto belli, credo di aver costruito con i nostri deputati un rapporto intenso. Facciamo le cose insieme. Anche ieri m’ è sembrato corretto, giusto, bello, chiamarli singolarmente ad una loro responsabilità. Non dovevano ubbidire, per poi magari mugugnare. Eran liberi di decidere, dovevano decidere loro“.

“Impolitico è una qualità che mi piace. Io vorrei esserlo molto”. È curioso sentirlo affermare da un dirigente politico con le responsabilità che ha lei… “Perché? Vorrei essere impolitico in un senso preciso, di riuscire a non farmi imprigionare sino in fondo non dalle ragioni della politica, ma dai torti della politica, dalle sue faziosità o dalle sue parzialità eccessive. Anche la conclusione del mio intervento ha questo significato. Quelle parole contro l’ astuzia che non può essere illimitata, per me hanno molto senso”.

“Credo che ci sia un po’ di verità nella modernità socialista. E che ci sia un po’ di difficoltà nei grandi partiti come la Dc e il Pci. (…) Loro, i socialisti, hanno capito che una società complessa come la nostra non la interpreti con la pretesa d’ imporre un progetto organico. Dobbiamo apprezzarlo questo, anche per capire il rischio enorme che i socialisti ci fanno correre. Loro, ogni giorno, innalzano un vessillo. Loro inseguono la società, non la guidano. E qualche autocritica comincia ad esserci nel Psi. Si comincia a sentire qualcuno di loro che afferma: il nostro riformismo è soltanto un suono verbale. Per questo, mi sembra giusto dire che guidare una società complessa non è teorizzare dei processi, ma non è neppure inseguire tutte le mode. È più utile avere il senso del collegamento che ha da esserci tra le cose“.

Il renzismo è nudo. Il referendum del #ciaone

Verrà ricordato come il referendum del #ciaone, c’è poco da fare. Vedremo col tempo chi, il 17 aprile 2016, ha detto #ciaone a chi. Intanto, questo è il dibattito pubblico in Italia, e questa è la politica. L’hanno già scritto in tanti, quei sedici milioni che nonostante gli inviti (eufemismo) a non votare da parte di tutto il potere costituito, politico ed economico, e il silenzio quasi tombale dei media (altro che “siamo più forti dei talk show”, segretario!) sono molto pochi per fare il quorum ma sono molti se configurano un blocco attivo contro un Pd renziano che ai tempi del suo massimo splendore, quelli del famoso 40 per cento delle europee, ne raccolse 11 milioni e 200 mila, e che dopo quel risultato ha perseguito tenacemente un isolamento arrogante, distruggendo intorno a sé ogni parvenza di coalizione e tutti i fili che lo legavano agli altri corpi intermedi, al civismo, alle forme di partecipazione più o meno organizzata. Fino al delirio di insultare irridendo, a urne aperte per un referendum promosso da amministratori del Pd, una consistente fetta del proprio elettorato “colpevole” di autonomia di pensiero e partecipazione. #ciaone, appunto. Continua a leggere

Aiuto, mi si è ristretto l’Italicum (Milano e Diamanti, nel senso di Ilvo)

Dopo una fase di scapigliata insofferenza per le “derive politologiche” (in particolare se ascrivibili alla minoranza Pd), il Maestro Stefano Folli torna a temi a lui più congeniali lanciando un accorato appello dal sapore ultimativo, se non disperato, sui rischi dell’Italicum. Io non so se, come scrive il Maestro, la nuova legge elettorale fosse davvero “un sistema concepito per consolidare il trionfo della nuova era renziana” che ora rischia di ritorcersi contro i suoi stessi autori. Non mi permetterei mai di dirlo: che Folli è un Maestro, a me i renziani se scrivo così me menano. So però che, ben prima che i sondaggi di Ilvo Diamanti ce ne svelassero le insidie, analoghi avvertimenti (politologici s’intende) erano venuti – inascoltati per non dire disprezzati e silenziati con procedure parlamentari del tutto inedite – anche dall’interno del partito del premier. Continua a leggere

Ma perché la Guidi era ministro dell’Industria?

Insomma, Renzi è tutto contento perché “prima non ci si dimetteva, ora ci si dimette”. Non sempre eh, vorrei dirgli. Però capisco che son grandi soddisfazioni. Ho visto un senatore che twittava felice che non aveva mai visto dimissioni così veloci come quelle della Guidi, e a dirvi il vero è stato difficile trattenere l’applauso. Un record è un record, caspita. Io però avrei due domande, segretario. Continua a leggere

“Avete smesso di pensare, voi del Pd?”. Il momento-corazzata Potiomkin di D’Attorre

Capita a volte che certi dialoghi diventino un simbolo. In questo, avvenuto qualche giorno fa negli studi dell’Aria che tira, con Andrea Pancani a far da padrone di casa temporaneo, a prescindere dal tema (i rapporti con l’Egitto), c’è tutto. Tutto un momento politico, voglio dire.

C’è il lapsus di Fiano, “se fossi un libero cittadino, no un libero pensatore”.
C’è l’osservazione-novantadueminutidiapplausi di D’Attorre, “avete smesso di pensare, voi del Pd?”.
C’è l’applauso liberatorio-corazzataPotiomkin del pubblico in studio.
C’è la reazione arrogante/stizzita di Fiano, “hai preso l’applauso su una cazzata”.
C’è il gelo imbarazzato del conduttore e dello studio, “e che gli avrà detto mai, mamma mia”.
C’è la faccia amareggiata di D’Attorre, elettore dirigente e deputato Pd fino a ieri.
C’è la prosopopea di una lunga supercazzola fatta col tono di chi si degna di rispondere ma sa che tu non puoi capire cosa vuol dire “avere responsabilità di governo”. Perché lui ce l’ha, e tu no. Lui ha il potere e lo gestisce, tu sei un poveraccio che non può capire.
C’è D’Attorre che incassa la parolaccia e la predica, ascolta con educazione e pazienza ma a un certo punto dice: “E quindi?”.

Emanuele Fiano e Alfredo D’Attorre avevano la porta nello stesso corridoio del mio ufficio quando lavoravo al Pd. Sono due miei amici. Io sono con fatica un’elettrice del Pd, Alfredo è andato via (ma io so che ci ritroveremo). Vorrei dire una cosa al Pd: potete zittire D’Attorre, potete zittire certamente me. Ma non potete eludere quella domanda, che chiunque vi voglia bene, soprattutto se vi conosce bene, vi farà sempre più spesso, e non solo sui rapporti tra l’Italia e l’Egitto: “Avete smesso di pensare, voi del Pd?”.

 

Renziani, quell’intervista di Bersani sull’astensione però leggetela

Nel tentativo di screditare il no della minoranza Pd alla scelta astensionista imposta senza dibattito dai vicesegretari del Pd, i renziani fanno girare questa intervista di Bersani all’Unità rilasciata nel 2003, cioè successiva al fallimento (nel senso di mancato quorum) del referendum sull’articolo 18. Finalmente ho avuto modo di leggerla con un po’ di calma. Ecco, consiglio a tutti di fare altrettanto. Fa capire molto bene cosa significa lasciarsi guidare dal popolo e non boicottare la sua volontà di esprimersi. Cosa significa affrontare i problemi in un’ottica di governo, rifiutando di semplificarli e di ridurli a tifoseria, dentro una visione plurale (i sindacati, gli enti locali!) e partecipata della democrazia e in una prospettiva limpidamente di centrosinistra: l’Ulivo insomma. Un altro mondo, proprio, rispetto al dibattito a cui assistiamo oggi. Si può perfino invitare all’astensione “come elemento di riflessione e non di disciplina” (magari quando stai all’opposizione, meno quando stai al governo e il referendum è stato chiesto da amministratori locali in maggioranza del tuo partito) ma senza fare trucchetti, sapendo che poi non rivendicherai il mancato quorum come una vittoria, ma assumendolo come un impegno a risolvere per via politica e senza slogan un problema difficile. (E comunque credo che Bersani avesse votato anche quella volta).

Astenersi perditempo, non è questione di trivelle

Telegraficamente, sul referendum. Non ho ancora approfondito bene l’argomento trivelle, colpa mia. Vedo persone stimabili schierarsi dall’una e dall’altra parte, quindi sospendo il giudizio in attesa di fare i compiti ok? E però non mi pare che il punto sia questo, lo dico anche in relazione a cose che ho letto in rete, dove qualcuno ha creduto di zittire chi protestava per la decisione del Pd (dei vicesegretari del Pd) di schierare il partito per l’astensione tirando fuori un vecchio manifesto dei Ds che nel 2003 invitava a non partecipare al referendum sull’articolo 18.

Io, che per inciso non sono mai stata nei Ds, mi sono astenuta diverse volte nei referendum per scelta politica e non per distrazione. Credo anch’io che l’astensione possa essere un’opzione legittima nel referendum abrogativo che prevede, per essere valido, la condizione di raggiungere il quorum della metà dei votanti. Capisco le ragioni ben illustrate da Enzo Lattuca per opporsi alla propaganda astensionista, soprattutto nel contesto attuale di disaffezione crescente al voto e alla partecipazione; tuttavia non sento per questo di essermi comportata come una truffatrice quando ho scelto di non partecipare a quesiti che volevo far fallire, e non accuso il Pd per aver preso la decisione dell’astensione per principio.

Io contesto invece quella decisione sul piano concreto.
– perché è stata presa dal Pd senza alcun dibattito né discussione;
– perché si è scelto di non discuterne nonostante i promotori del referendum siano quasi tutti amministratori e presidenti di regione del Pd;
– per la mancata convocazione in materia di qualsiasi organismo decisionale del Pd;
– per la pretesa di guidare un partito comandandolo da Roma;
– per l’incomprensione totale del fatto che questa vicenda rivela l’esistenza di una questione che riguarda il Pd nel suo rapporto col territorio e in particolare il Pd nel Mezzogiorno (ricordate quando Renzi, a fronte del non brillante risultato delle ultime regionali, si vantava – come al solito prendendosi anche i meriti degli altri – perché “governiamo in tutte le regioni del sud”?);
– per la disinvolta incoerenza con altre posizioni assunte in passato dal Pd e da diversi suoi esponenti e dirigenti (sì, senza che state a cliccare nel link qua sopra c’è il post-cult della Serracchiani nel 2012 a Monopoli contro le trivelle);
– perché se un partito è diviso su un tema la soluzione rispettosa di tutti non è l’astensione ma semmai la libertà di coscienza;
– per il tono assurdamente minaccioso del comunicato dei vicesegretari in risposta alla richiesta di chiarimento della minoranza Pd dopo la “scoperta” della linea del partito pubblicata sul sito del’Agcom.

Mi pare dunque che il precedente diessino c’entri molto poco: quella era una decisione politica assunta con il voto di un organismo dirigente da un partito che aveva concordato sull’obiettivo di far fallire il referendum sull’articolo 18. Per questo, in assenza di novità e come gesto di libertà, pur non avendo ancora deciso come votare credo che andrò a votare.

Post scriptum. Non ho il sospetto, bensì l’assoluta certezza che, in condizioni di maggioranza/minoranza diverse all’interno del Pd, Renzi e la Serracchiani di fronte a questa decisione del partito, e a una decisione presa in questo modo, starebbero gridando allo scandalo in nome del dovere di partecipare e far esprimere i cittadini contro la protervia dell'”apparato”. Il che, questa certezza dico, dipende naturalmente solo dalla mia nota malevolenza, gufaggine e rosiconaggine. Tuttavia, un pochino di onestà intellettuale e di senso del limite e della decenza sarebbe prezioso coltivarlo, o almeno pretenderlo.