Tag Archives: pd

Soddisfazioni

Pizzarotti chiede il congresso del movimento 5 stelle dopo il fuorionda di Favia e la rivolta della rete sul ruolo di Casaleggio. Pierferdinando Casini toglie il suo nome dal simbolo dell’Udc. Due notizie molto diverse, per carità, ma insieme mettono di buonumore. Aver scommesso su un partito, sulla fine della personalizzazione esasperata e su una scelta democratica e popolare, aver detto che con la democrazia non si gioca, averlo fatto prima degli altri, aver contrastato leader finti o per procura o proprietari del loro movimento, aver sopportato con pazienza tante lezioncine in materia degli innovatori entusiasti delle americanate e della politica fatta solo sul web, aver portato pazienza quando ti spiegavano che il tuo leader era debole, che non capisci niente di comunicazione e non sapevi stare sulla rete, a qualcosa è servito. Forse. Mica perché qualcuno ce lo riconoscerà eh. Mica perché smetteranno. Ma perché Chiaragione ha ragione.

Sulla nuova legge elettorale, ammesso e non concesso

Devo dirvi un paio di cose che penso sulla nuova legge elettorale, ammesso che poi si faccia. Io lo sapevo che andava così. Prima tutti a dire che bisogna cambiare il porcellum, che schifo il porcellum, tutto è meglio del porcellum, se non cambia il porcellum non vado più a votare eccetera eccetera. Ora che forse c’è un mezzo accordo per cambiare il porcellum, eccoli là: è peggio del porcellum. Naturalmente il punto è: è vero, che è peggio del porcellum? Io penso di no. Ma prima voglio dire un’altra cosa. Continua a leggere

Il Papello stranierello

Già i retroscena non andrebbero mai letti, figuriamoci a Ferragosto. Lo scoop del “papello democratico” che infiamma (per poco, in attesa che cose più serie riprendano la scena) le cronache politiche, però, è troppo intrigante e paradigmatica per lasciarla passare sotto silenzio in questo blog cercaguai. Allora, ricapitoliamo.

Continua a leggere

La Cosa bianca non c’entra col voto dei cattolici

Un’omelia del presidente della Cei invita i fedeli cattolici a impegnarsi di più in politica e i politici cattolici ad essere coerenti con la loro fede e subito sui giornali si scatena un dibattito tutto politologico: i movimenti al centro, le alleanze presenti e future, le personalità pronte a scendere in campo, addirittura la polemica sui matrimoni gay (stavolta nel Pdl, tanto per cambiare). Perfino il prossimo anniversario della morte di Alcide De Gasperi diventa argomento da retroscena. La confusione è grande, per cui forse giova ripetere qualcosa che si rischia, a furia di darlo per scontato, di dimenticare.  Continua a leggere

Perché il Pd non piace ai giornali (non è perché non sa comunicare)

Perché il Pd non piace ai giornali? Alfredo Reichlin ha posto ieri il tema con la solita brutale lucidità: sta diventando un problema di democrazia, non di giornalismo. Non si tratta di recriminare, ma di constatare: il contrasto tra la realtà del Pd e la narrazione mediatica sul Pd comincia a essere un fenomeno su cui è difficile soprassedere. Parliamo di quello che da diversi mesi è stabilmente il primo partito italiano. Che ha visto uscire dalla scena il suo principale e ormai storico avversario, e oggi fronteggia un centrodestra sbandato e in difficoltà. Che ha vinto le ultime tornate elettorali. Il cui elettorato mostra di capire la scelta difficile e responsabile di sostenere un governo di emergenza. Fin qui la realtà, poi c’è appunto la narrazione. Continua a leggere

Conversazione con Beppe Vacca sulla Dc

Parlare della Dc nella storia d’Italia non è diverso che parlare con lui del Pci. Anche se l’intervista fosse su Togliatti, lui parlerebbe di De Gasperi, e viceversa. In un tutto che non è sincretismo o semplificazione: ma è l’Italia, vista da Beppe Vacca. Il direttore dell’Istituto Gramsci ha una lettura “forte” della storia di questo paese. Maturata, e non manca di ricordarlo, insieme a Pietro Scoppola nel corso di quella che fu una vera alleanza accademica – e di una grande amicizia – nate a metà degli anni Settanta. Prima di cominciare mette idealmente in fila i libri che considera fondamentali sul tema: “La proposta politica di De Gasperi”, di Scoppola, “l’Italia dal 1943 al 1992” di Roberto Gualtieri e “L’impossibile egemonia” di Silvio Pons”. “E poi c’è Giovagnoli. Naturalmente io cominciai a studiare la Dc usando la categoria dell’egemonia – spiega –. Per noi la storia è storia politica, analisi dei processi decisionali, come si dice nella cultura anglosassone, o se volete appunto dei rapporti di forza”. Continua a leggere

Non è a destra il posto dei cattolici (e alla Chiesa conviene il pluralismo)

La sensazione è che la chiesa pagherà: non per il silenzio di questi giorni, che sempre più insistentemente le viene rimproverato anche da pulpiti non titolatissimi, ma per la strategia di questo ventennio. Il lungo crollo del berlusconismo lascia veleni e macerie dai quali nessuno sarà risparmiato; e più sarà lungo, quel crollo, e più farà danni. Si logora l’opposizione, che proprio per aver visto e denunciato da anni – con accenti diversi e differenti ragioni – gli errori e le vergogne del sistema imperante, ora rischia paradossalmente, invece di raccogliere i frutti, di apparire una cassandra impotente e lagnosa. Si logora l’establishment economico, intellettuale, giornalistico che in questi anni non s’è guadagnato i titoli per dire adesso ciò che ha troppo a lungo taciuto. Si logora il senso civico e l’amor proprio degli italiani, perché alla fine puoi dare la colpa all’establishment e alla sinistra, ma devi ammettere che Berlusconi al potere ce l’abbiamo mandato, e così a lungo conservato, noi cittadini con il nostro voto, nella crescente incredulità del mondo. Continua a leggere

Io, la nonna Andreina, De Gregori e Ruini (nel ventennio berlusconiano)

Quasi vent’anni fa, quando avevamo più o meno vent’anni, non era stato difficile scegliere e decidere che no, Berlusconi no. Insomma, bene o male avevamo dei genitori, avevamo avuto dei nonni. Mia nonna Andreina quando ero piccola mi diceva: “Lo vedi quello, è un comunista. Ma un comunista come ci vorrebbero tanti democristiani”. Una brava persona, insomma. Mia nonna cantava Biancofiore. Bandiera rossa no, non credo, ma Fischia il vento infuria la bufera ce l’aveva insegnata. Continua a leggere

Il partito dei cattolici democratici

Nostalgia di futuro. “Sarebbe bello se questo convegno lo avessimo fatto come Partito democratico”, si sono ripetuti per due giorni dal palco, citandosi l’un l’altro, vecchi e meno vecchi ma comunque reduci della sinistra Dc, del Partito popolare, della Margherita. Senza rendersi conto in pieno, forse, che era già il Pd, il partito che sembra sempre “da fare” – e non più solo gli ex popolari di Franco Marini, Dario Franceschini e Pierluigi Castagnetti – quello che si è riunito sotto l’insegna mazzolariana dell’associazione “Adesso”, al glorioso centro Cisl di Fiesole dove Marini imparò il mestiere all’inizio degli anni Cinquanta.
Marini, Franceschini, Castagnetti: loro. Reduci di molte battaglie, qualche volta anche tra loro, eppure tutto meno che nostalgici. Orgogliosamente ex, in tempi di nuovismo, eppure tutto meno che ripiegati sul proprio passato. Certo decisi a rivendicare la propria storia – quasi una bestemmia, nell’era della “contaminazione” – eppure da tutto tentati meno che dalla scorciatoia dell’autosufficienza. E soprattutto non soli. A discutere dell’impegno dei cristiani nella crisi della politica – vasto programma, mica roba da correntine o partitini – hanno chiamato lo storico della Chiesa Alberto Melloni, erede della scuola bolognese e degli studi sul Concilio del compianto Giuseppe Alberigo, un osservatore della Seconda Repubblica spietato quanto può esserlo un vero giornalista parlamentare (Claudio Sardo), il professor Giuseppe Tognon, autore con Pietro Scoppola del classico “La democrazia dei cristiani”, Edo Patriarca, l’organizzatore della Settimana sociale. E però c’era anche Beppe Vacca, che è venuto per fare una relazione e non se n‘è più andato finché il giorno dopo il convegno non è finito, “perché m’interessa”.
Pier Luigi Bersani ha mandato un messaggio da Atene: “Dalla vostra cultura politica ci viene un’eredità che oggi è preziosa per tutto il nostro partito, l’idea della responsabilità autonoma di chi fa politica, che è la condizione per non annacquare il vino delle convinzioni e dei valori, assumendosi il dovere della mediazione e delle scelte concrete che li traducono verso il bene comune”. Una “lezione di laicità”, ha scritto il segretario. Sulla stessa linea anche il messaggio di Piero Fassino, bloccato a Torino, e gli interventi fuori programma del presidente della Toscana Enrico Rossi, del segretario regionale Andrea Manciulli e di Stefano Fassina, responsabile economia e lavoro del partito (tutta gente che non era certo di casa a piazza del Gesù). E chi arrivava veniva invitato a dir la sua, ex di qualsiasi cosa fosse, e spesso anche gli ospiti dicevano così: “Sarebbe bello farla come Pd, questa discussione”.
Perché il Pd è un partito così fatto, capace di sopravvivere a se stesso, ai suoi errori e alle sue sconfitte e perfino alla convinzione di non esistere ancora. Il Pd è molto più avanti di dove crede di essere, anche se ogni tanto perde un po’ la strada. Così, quella che a uno sguardo superficiale potrebbe sembrare una scelta “regressiva” (proprio quelli di Area democratica, gli alfieri del Pd “mescolato”, che si riuniscono tra ex popolari), è stata esattamente il contrario, semplicemente perché non avrebbe potuto essere che quello che è stata.
E cioè il punto su una cultura politica che “è uno dei filoni del riformismo italiano”, e dopo cento anni forse si può cominciare a dirlo, come ha fatto Franceschini nelle conclusioni. Perché i cattolici democratici non sono né i cattolici in politica né gli ex democristiani, ma qualcosa di assai meno generico e banale, e non solo sanno che il Pd non si fa senza di loro, ma non ci pensano neanche a lasciare che il Pd si faccia senza di loro. E cioè la rottura dello stereotipo dei “cattolici a disagio”, perché a disagio semmai i riformisti e i democratici sono tutti, e ne hanno ben d’onde, ma nel Pd i cattolici democratici ci stanno a loro agio come forse in un partito non sono stati mai nell’ultimo secolo (e se pensate che stare nella Dc per questa gente fosse rose e fiori significa che dovete fare un ripassino di storia). E cioè un ceto politico che anche nel Pd è passato per vittorie e sconfitte, ha dimostrato di sapersi mettere alla guida, ha risolto (merito storico e rivendicato della segreteria Franceschini) l’annosa questione della collocazione europea in perfetto stile Pd: “Non accanto ai socialisti, ma insieme con i socialisti in qualcosa di più grande”. E che è stufo di difendersi e arrivarci un po’ per contrarietà, come nell’ultimo ventennio fece nel dire addio alla Dc, nel fare l’Ulivo, nel chiudere il Ppi per dar vita alla Margherita.
Adesso è il tempo del Pd, dell’Italia che va oltre Berlusconi, del secolo nuovo che comincia forse solo ora per davvero, sull’orlo della fine di un modello economico e sulle coste agitate del Mediterraneo. I cattolici democratici non guardano a un altrove, non sono a disagio, non hanno nostalgia. C‘è stato un tempo in cui per dimostrarlo hanno sentito il bisogno di annacquare, di nascondere anche un po’ quel che erano, e al Partito democratico questo non ha portato bene. Quel tempo però non è adesso. Per il Pd è certamente una buona notizia, e magari se ne accorgerà perfino.

(per il sito Left Wing, 6 marzo 2011)

Un anno a Youdem, le cose che ho imparato

Mancavano pochi giorni a Natale, un anno fa, quando arrivò la nominescion: “Il segretario dice se ti va di venire a dirigere Youdem”. Per andare a regime a dire il vero poi bisognò aspettare marzo (elenco delle cose che ho imparato in un anno al Pd, 1: per fare le cose al Pd ci vuole il suo tempo). Youdem, la creatura di Veltroni, tv satellitare nata in pochi giorni un anno prima facendo alzare più di un sopracciglio. Si narra, e chissà se è leggenda, che qualche ultrà bersaniano, in campagna congressuale, l’avevano ribattezzata perfidamente Chiudem, tanto per capirci. Ma diventato segretario, Bersani aveva deciso l’opposto (elenco delle cose che ho imparato in un anno al Pd, 2: il segretario decide da solo, e quando ha deciso ha deciso). Continua a leggere