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Il romanzo del proporzionale

Ho scritto questo per i giornali locali del gruppo l’Espresso (Il Tirreno, La Gazzetta di Mantova, Il Mattino di Padova, Il Piccolo, Il Centro, La Gazzetta di Reggio, La Gazzetta di Modena, Alto Adige, Il Trentino, Il Messaggero Veneto, La Nuova Sardegna, La Nuova Venezia, La Città di Salerno e altri).

Come nei romanzi, e a dire il vero come nella vita, anche in politica il passato torna sempre; soprattutto se non ci fai i conti. E c’è davvero qualcosa di romanzesco, o di psicanalitico, nell’improvvisa fiammata che ha riportato sulla scena il sistema proporzionale.

Paradosso delizioso, è stato proprio il Movimento 5 stelle a innescare la miccia: sganciandosi dalla trappola tra coerenza e convenienza, nel dilemma se opporsi o fare buon viso a una legge – l’Italicum – che, voluta dai loro avversari e da loro violentemente contrastata, ora sembra doverli accompagnare alla vittoria, i grillini hanno rilanciato portando all’estremo la parola d’ordine dell’uno vale uno, dello scettro ai cittadini; noi siamo per proporzionale e preferenze, hanno detto.

Come per un riflesso condizionato, dal Pd è scattata l’accusa sanguinosa: allora volete tornare alla prima repubblica! E pensare che la proposta pentastellata in realtà, prevedendo collegi piccoli e nessun riparto nazionale, somiglia, più che al sistema in vigore in Italia fino agli anni 90, a quel sistema spagnolo che tanti consensi ha avuto proprio tra i Democratici, e in particolare nell’area del Pd che oggi più difende l’Italicum. Sistema, quello spagnolo, sul quale pure molto si poteva dire e criticare, visto lo stallo che due successive elezioni in pochi mesi non sono riuscite a sbloccare in quel paese. E invece no: sulla prima repubblica si è affannato a dichiarare il Pd. Favorendo su giornali e social network l’uscita allo scoperto di qualche voce – non solo del passato – che tutto sommato, e soprattutto nel confronto col presente, una lancia per i vecchi tempi è disposta a spezzarla.

La verità è che la proporzionale, come in un romanzo o come nella vita appunto, mette tutti di fronte alle loro contraddizioni. Innanzitutto i 5 Stelle, certamente: perché con un sistema non maggioritario e senza premi i partiti, anche i partiti che arrivano primi alle elezioni, sono costretti a dialogare in parlamento, a cercare maggioranze, a fare alleanze. Ma anche l’alzata di scudi del Pd è contraddittoria, e non solo perché l’anima proporzionalista nel Pd è forte, sia nell’area di ascendenza Dc che in quella post comunista, ma perché il rapporto col passato, in questo partito quasi totalmente renzizzato al vertice ma molto inquieto nella base, è un tasto delicato. Terracini e Dossetti, Togliatti e Calamandrei sono stati tirati per tutte le giacche possibili per motivare la modifica del bicameralismo che sarà oggetto del referendum costituzionale. E d’altro canto Renzi per sostenere le ragioni del Sì, ripete spesso che “prima di lui” si cambiava governo quasi ogni anno; e spesso gli viene risposto non a torto che negli ultimi vent’anni la stabilità dei governi è stata grande (uno peraltro l’ha fatto cadere lui), mentre negli anni del pentapartito la caduta di un governo era frequente ma in fondo non così destabilizzante.

Ma forse la verità è che la proporzionale non mette tanto in discussione il giudizio sulla prima repubblica, ma sulla seconda; e può darsi che anche su questo – come in altri casi – il Movimento 5 Stelle intuisca qualcosa che poi non necessariamente sarà capace di tematizzare. Non sarebbe invece ora di chiedersi che cosa ha prodotto il mito dell’uomo solo al comando? Del maggioritario esasperato, degli slogan secondo cui si deve sapere la sera stessa delle elezioni, ma che dico un minuto dopo la chiusura delle urne, chi ha vinto, chi è il capo? Questa retorica (appunto) anni 90 ha reso la politica più efficiente? Le decisioni più veloci? I politici più stimati? Ha davvero semplificato il sistema? Lo ha rinnovato? Ha contrastato mali antichi come il trasformismo o la corruzione? Di più: questa retorica anni 90 (ripeto) è ancora, oggi, il nuovo? È l’orizzonte verso cui va la politica, negli altri paesi europei e nel mondo? Qui non si tratta, intendiamoci, di sognare di ripristinare un passato remoto peraltro spesso mitizzato. Era un altro mondo, un’altra storia, oltre che altri leader, altri partiti, altri parlamenti. E tuttavia sarebbe utile, penso, alla politica italiana, guardarsi indietro con un po’ più di calma e senza i vizi della propaganda, distinguere tra passato e passato, tra errori e passi avanti. Come nei romanzi, e come nella vita, è quello che si fa per diventare adulti.

 

Ma la sinistra non è stata asfaltata

Sulla direzione Pd, oggi ho scritto questo per i giornali locali del gruppo l’Espresso

Matteo Renzi non ha ceduto di un millimetro sull’Italicum, la minoranza Pd però non è “asfaltata”. Se è vero, come hanno scritto i giornali, che il segretario puntava – con l’improvvisa convocazione della direzione del Pd – a fotografare la spaccatura nel fronte dei suoi oppositori, a isolare i “seniores” (Bersani, D’Alema, Bindi) e gli “irriducibili” (Fassina, Cuperlo) incorporando il grosso degli ultimi quarantenni che ancora non si erano renzizzati, la missione del segretario non è riuscita. La direzione ha approvato, coi numeri larghi che Renzi si è guadagnato alle primarie, la blindatura e l’accelerazione sulla riforma; ma la minoranza Pd, dopo giorni durissimi in cui il grosso degli osservatori le aveva già cantato il requiem, ha trovato per una volta la forza di non dividersi e di insistere sulle modifiche che il segretario nega. I prossimi venti giorni, quelli che mancano all’arrivo in aula dell’Italicum il 27 aprile, apriranno a questo punto, comunque vada, una fase nuova, al momento non facile da immaginare.  Continua a leggere

Gli smemorati dell’Italicum 

A quelli che “ne abbiamo discusso tanto, abbiamo accolto tante proposte, ora basta, è ora di chiudere” ricordo che la legge elettorale è stata approvata prima alla camera con un pezzo di Pd contrario – contrarietà espressa esplicitamente nella dichiarazione di voto dal capogruppo, che aveva condizionato il voto favorevole all’approvazione di alcune modifiche al senato. 

Successivamente, al senato, la riforma è stata approvata con il voto determinante di un pezzo di Forza Italia (ricorderete il soccorso arrivato da Verdini alla vigilia del voto sul Quirinale) e la contrarietà dei senatori della minoranza Pd. 

Perché adesso alla camera, in assenza di modifiche, i deputati della minoranza Pd dovrebbero sconfessare in un colpo solo i colleghi senatori della stessa minoranza Pd e se stessi, rinnegando quanto detto in aula in occasione della prima lettura? 

Prima di improvvisare prediche, cerchiamo per cortesia di ricordarci i fatti. 

Torna il partito solido, ma decido tutto io

“L’offerta del premier alla minoranza Pd”, dice il titolo di Stefano Folli in prima pagina su Repubblica. Orsù, precipitiamoci a leggere. Scrive dunque Folli che siccome, è noto, il patto del Nazareno non c’è più, Renzi avrà pur bisogno di disinnescare qualche mina, per cui gli sarà indispensabile aprire alla minoranza del suo partito. È la tesi storica di Repubblica, sovente smentita dai fatti. Ma stavolta sarà diverso: Renzi, racconta Folli, ha spiegato all’Espresso cosa intende fare: se “da un lato annuncia l’intenzione di andare avanti senza tentennamenti, cioè senza concedere alcuna correzione sulla riforma elettorale, dall’altro apre a una diversa organizzazione del Pd”. Insomma, il Pd tornerà a essere, ammesso che lo sia mai stato, un partito solido (anche se – non si pensi – un partito solido non tradizionale) e non più, com’è diventato adesso, un comitato elettorale del leader. La ditta insomma sopravvive, annuncia lieta Repubblica agli oppositori di Renzi “che vogliono collaborare”. Insomma: Renzi decide tutto con Verdini e nessuno deve osare non essere d’accordo, tanto casomai lui si appella al popolo e chiede il plebiscito, però nel Pd “ci sarà spazio” per gli oppositori tesserati.

La domanda, come si dice, sorge spontanea: non sarà mica, per caso, che uno dei due, o Renzi o Folli, pensa che ccà qualcun è fess?

Il premio al partito ammazzando il partito

Quindi – grande vittoria – abbiamo strappato a Berlusconi il sì al premio alla lista e non più alla coalizione. Io sono d’accordo. Per chi ha creduto nel Partito democratico, poter finalmente votare direttamente per il proprio partito, e poter puntare a vincere col proprio partito, è una soddisfazione grande, in un paese nel quale per anni per essere cool bisognava parlare male dei partiti, e per avere chances di vittoria alle elezioni bisognava nascondere il partito in qualche calderone indistinto, e per essere leader era meglio se rinnegavi la tua storia di partito. L’avevo anche scritto – altri tempi – qui.
E tuttavia, proprio oggi, mi chiedo: cos’è un partito? Un posto dove io ci sto, ma se io non sono d’accordo si va da Verdini e ci si mette d’accordo con lui per fare quello su cui io non sono d’accordo. E se poi anche un pezzo del partito di Verdini non è d’accordo, chi se ne frega tanto i numeri ci sono. È questo, un partito? Che partito è? Cosa lo voto a fare?

Rassegna Quirinale/4: la domanda che nessuno fa

Niente, davvero niente di interessante. Spin, spin e ancora spin. Incontri interlocutori e pilotatissime voci secondo cui Tizio “avrebbe proposto” Caio, come se l’onere di proporre un nome, aprendo la partita, non spettasse soltanto a chi in questa tornata quirinalizia assomma le cariche di segretario del partito di maggioranza relativa e presidente del consiglio. Ma niente, tutti son lì che “propongono” questo e quello, scrivono i giornali. Vogliono farci credere che, ex premier, vecchie volpi, leader storici, capi politici, sono tutti ragazzini deficienti con una scatola di cerini in mano, che giocano a bruciare i loro preferiti dandoli in pasto ai giornalisti.
Si vedrà col tempo dove vuole portarci chi organizza questo giochino, contando sulla vanità di chi ogni sera deve pur tornare in redazione con in tasca una “notizia”. Intanto nessuno – nessuno – pone a Matteo Renzi una piccola, semplice domanda: perché, a pochi giorni dall’inizio delle votazioni, il leader del Pd non fa niente – niente – per pacificare il suo partito, e anzi drammatizza i dissensi (“Vogliono pugnalarmi alle spalle!”), lancia ultimatum (legge elettorale), provoca strappi (Cofferati), dà platealmente e pubblicamente argomenti a chi lo accusa di essersi messo in mano a Berlusconi contro un pezzo di Pd (incontro con Berlusconi)? Che interesse ha a fare questo? Che messaggio sta trasmettendo, non alla minoranza Pd, ma all’Italia? Perché lo fa? Non sa fare altrimenti? Non può fare altrimenti? Non vuole fare altrimenti?
Ma le domande, si sa, non vanno di moda. Meglio giocare al Totoquirinale, vuoi mettere? Chi propone oggi la Bindi? Interessante, no?

In quale direzione

Leggo che alla direzione del Pd di stasera, convocata d’urgenza con un sms e due giorni di preavviso in orario notturno, così da venire incontro – immagino – alle esigenze del territorio, si voterà su: Jobs act, legge elettorale, legge di stabilità e riforme costituzionali. Leggo che bisogna correre, correre, correre.
Speriamo che ci spieghino anche perché corriamo, con l’occasione. Perché con le aziende che chiudono, gli argini che crollano e il governo stabile fino al 2018 si debba correre tanto per fare subito subito la legge elettorale ad esempio.
Perché se “il patto scricchiola” e siamo pronti a proseguire senza Berlusconi non possiamo fare, come abbiamo sempre detto di voler fare, i collegi uninominali, invece di quella cosa delle liste un po’ bloccate è un po’ no, anche.
Perché se abbassiamo le soglie per far contenti i “piccoli” e anche i minuscoli, andiamo avanti con una riforma dichiaratamente pensata per rendere il nostro “un sistema fondato su due grandi partiti” (che poi non ho mai capito qual era il secondo grande partito, visto che Forza Italia è il terzo).
Cosa vuole fare insomma Matteo Renzi, a parte correre e dare titoli ad effetto ai giornali? Verso dove stiamo correndo, presidente? Se ce lo spiega in modo convincente, sarebbe importante. Se magari qualcuno stasera glielo chiede, ci fa un favore. Che noi possiamo solo guardare lo streaming, e comunque abbiamo già il fiatone. Grazie.

Chi se ne frega dell’elettività dei senatori

Ha ragione Antonio Polito sul Corriere di oggi. Colpisce come in pochi colgano il fatto che si stiano riformando il bicameralismo e la legge elettorale senza alcuna riflessione né dibattito pubblico su quale sistema istituzionale e quale sistema politico vogliamo per i prossimi decenni in Italia. Chi se ne frega se i senatori saranno eletti o no, o se la soglia di sbarramento sarà del 4,6 periodico. Spiegatemi a cosa servirà il senato, non quanto risparmieremo in stipendi di senatori. E ditemi se saremo una democrazia come quelle europee o la solita simpatica eccezione macchiettistica.

Sulla nuova legge elettorale, ammesso e non concesso

Devo dirvi un paio di cose che penso sulla nuova legge elettorale, ammesso che poi si faccia. Io lo sapevo che andava così. Prima tutti a dire che bisogna cambiare il porcellum, che schifo il porcellum, tutto è meglio del porcellum, se non cambia il porcellum non vado più a votare eccetera eccetera. Ora che forse c’è un mezzo accordo per cambiare il porcellum, eccoli là: è peggio del porcellum. Naturalmente il punto è: è vero, che è peggio del porcellum? Io penso di no. Ma prima voglio dire un’altra cosa. Continua a leggere

Rottamare il Mattarellum

Sulla legge elettorale siamo tutti molto nervosi, troppo. E’ una questione sulla quale è facile trasformarsi da analisti in tifosi. Siamo tutti figli della nostra storia, e la vicenda della Seconda Repubblica, sebbene si avvii alla fine, è difficile da valutare con distacco. Tutti ricordiamo una stagione di entusiasmo e per la nostra parte anche di vittorie, legata a un nuovo modo di partecipare, all’introduzione per via referendaria del sistema elettorale maggioritario. E d’altro canto ci siamo ripetuti mille volte la litania dei difetti del sistema proporzionale della Prima Repubblica, coi ricatti, la frammentazione e l’instabilità che ne derivavano. Oggi abbiamo di fronte il disastro distruttivo del Porcellum, una legge che – non lo ripetiamo con sufficiente convinzione, ma è così – i democratici italiani hanno subito e che i democratici italiani, tutti i democratici italiani, vogliono cambiare per i suoi effetti catastrofici sul rapporto di rappresentanza e sulla percezione stessa della politica. Continua a leggere