Rassegna Quirinale/11: il nome secco (e il mondo alla rovescia)

“Troppo facile: Fassino!”. Il più veloce a twittare è stato Francesco Cundari, onore al merito. Va detto che su questo terreno anche Graziano Delrio è competitivo, ma se si cerca una personalità “dal profilo alto” allora Piero è indiscutibilmente avvantaggiato. Si cazzeggia, per non morire, in attesa che dopodomani si aprano le urne. E la notizia, sui giornali di oggi, è che il premier avoca totalmente a sé l’onere della proposta, non proporrà una terna di nomi “per non lasciare ad altri interlocutori la scelta” e giocherà tutte le sue fiches in una volta, venerdì sera o sabato mattina, proponendo un nome secco, il “suo” nome secco: prendere o lasciare. Il parlamento lo sappia: è su Matteo Renzi che si vota sabato, nel bene e nel male. Non ci saranno alibi né scuse, la scelta non sarà attribuibile a nessun altro, né in tutto né in parte. È la prima volta, a memoria, che un presidente del consiglio sceglie il presidente della repubblica (la Costituzione a onor del vero prevederebbe il contrario). Ma son dettagli, e poi c’è sempre una prima volta, si sa. Continua a leggere

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Rassegna Quirinale/10: Aristotele si rivolta nella tomba

Comincia la settimana decisiva, ma i giornali sono fiacchi. Il borsino di chi sale e di chi scende inizia a dare il mal di mare anche agli stomaci più forti. Le ricostruzioni su cosa successe e come andò le altre volte cominciano a richiedere sforzi di fantasia piuttosto arditi, il povero Fabio Martini sulla Stampa è costretto a inventarsi che anche Bersani fu tra i colpevoli dell’affossamento di Prodi nel 2013, e sono sfide alla logica non alla portata di chiunque; ma almeno oggi possiamo fare qualche tweet contro Fassina (che aveva parlato di responsabilità di Renzi nella vicenda dei 101) accusandolo di essere un bugiardo spudorato. Fu Bersani a guidare il complotto. Lo fece apposta, per farsi fuori.
A palazzo Chigi sembrano preoccupati di sfoltire lentamente la rosa ma senza prendersi la colpa di aver fatto fuori nessun candidato autorevole. Così, dopo aver fatto sapere che Amato è il candidato di un complotto tra Berlusconi e D’Alema contro Renzi (altra sfida alla razionalità e all’evidenza), oggi è la volta di un presunto “veto” di Berlusconi su Sergio Mattarella. Il Pd, naturalmente – si sa – non accetta veti da nessuno. Tuttavia, casualmente o per una coincidenza, si prende atto e si comincia a ragionare su altri nomi, tenendosi pronti a “cambiare gioco all’improvviso”. Tutto assolutamente lineare e consequenziale, come vedete.
Speriamo bene.

PS/1: Leggo che il Pd voterà scheda bianca alle prime tre votazioni. Una scelta non elegantissima alla luce dell’articolo 83 della costituzione, che non dice che il presidente della repubblica si può eleggere in due modi, o alla prima o alla quarta con due maggioranze diverse, bensì, testualmente:
L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell’assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta.
Sembrano sfumature, ma le sfumature contano.

PS/2: Leggo che Civati manda una lettera al Pd in cui dice che candida Prodi invece di partecipare all’assemblea del Pd e chiedere la parola per candidare Prodi. Il che gli guadagnerà molti consensi, immagino, nell’assemblea del Pd. Benedetto ragazzo.

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Telefonami tra vent’anni/2

Vi ho già parlato di questa canzone. E insieme vi ho parlato anche di Simone Piccione, naturalmente. Adesso vi metto il link, tranquilli. Prima volevo dirvi che sono stata a vedere Il nome del figlio, di Francesca Archibugi, e ho capito che allora non eravamo solo noi quelli che l’importante è non arrivarci in fila.
Che grande testo, lo cito sempre, di solito a vanvera; ma anche che grande canzone. Una canzone che viene fuori alla distanza, del resto se la intitoli Telefonami tra vent’anni è perché ti aspetti che dopo vent’anni cominci a succedere qualcosa. E infatti succede. Ci tenevo a dirvelo, a ripetervelo. Andatelo a vedere questo film.
E poi (o prima, oppure anche tra vent’anni) (ri)leggetevi questo vecchio post.

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Rassegna Quirinale/9: attenzione, c’è un Patto

Lo spin da palazzo Chigi ieri sera è arrivato forte e chiaro sui telefonini di retroscenisti e capiredattori. Sul Quirinale le cose stanno così, diceva la voce di Matteo: c’è un Patto che condizionerà il voto. Berlusconi, sapete, ha fatto un Patto. Un Patto con Bersani e con tutti i miei avversari, contro di me, per portare Giuliano Amato al Colle.
Evidentemente si trattava di un test, come quelli che fanno alle macchine per vedere quanto è forte il colpo a cui può resistere la carrozzeria. Volevano verificare se c’era un limite: la logica, la verosimiglianza, il ridicolo.
La risposta del giornalismo italiano è stata: ok non c’è problema, lo scriviamo.

E voi che cercavate il candidato anti Nazareno dalle parti di Civati e Vendola. A Berlusconi dovevate chiedere. A Berlusconi.

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Rassegna Quirinale/8: il metodo

“Si parte dal Pd”, scandisce perentorio il vicesegretario Lorenzo Guerini davanti alla solita selva di microfoni al termine della riunione della segreteria, annunciando un’assemblea di parlamentari per lunedì mattina. Dunque, abbiamo un metodo. Differente dall’ultima volta, quando il Pd all’unanimità (prima in direzione e poi nei gruppi parlamentari) aveva dato a Pierluigi Bersani il mandato di raggiungere un accordo con Silvio Berlusconi su un nome purché dell’area di centrosinistra. L’unità del Pd su quel nome, in partenza, i gruppi dirigenti la diedero per scontata. “Avete capito cosa significa dire che non ce lo eleggiamo da soli, sì?”, aveva avvertito il segretario al termine della riunione plenaria dei grandi elettori. Significava “avete capito che non potrà essere il nostro preferito in assoluto, che dovremo fare un compromesso?”. Il gruppo aveva risposto positivamente, e Bersani, senza presentare rose (mi sono rassegnata a leggere questa storia della “rosa”, ma non è vera), ottenne da Berlusconi – che era partito rivendicando il Quirinale addirittura per Gianni Letta – il sì a un fondatore del Pd, Franco Marini. Sappiamo quello che successe dopo. Continua a leggere

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Rassegna Quirinale/7: i 101

A una settimana esatta dal primo voto, Stefano Fassina – probabilmente esasperato dalle minacce e dai richiami alla disciplina di maggioranza che continuano ad arrivare da pulpiti non sempre titolati – riporta sotto i riflettori il grande rimosso della vita interna del Pd: la vicenda che determinò l’eccezionale rielezione di Napolitano e su cui si concluse drammaticamente la segreteria Bersani.
Secondo Fassina, che come sa chi lo conosce può sbagliare ma sempre per eccesso di generosità e buona fede, “non è un segreto” che fu Matteo Renzi il capo dei 101. La dichiarazione spopola sui giornali di oggi, ma a chi scrive pare che il clamore sia eccessivo. I fatti successivi agli eventi dell’aprile 2013 illuminano con una certa chiarezza quanto è avvenuto. Continua a leggere

Rassegna Quirinale/6: la lista

Vi giuro che va avanti così per un’intera pagina:

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Deputati e senatori del Pd, da A di Agostini a Z di Zoggia, da A di Albano a Z di Zavoli, schedati come polli da batteria con la loro brava etichetta, “bersaniano”, “civatiano”, “giovani turchi”, “renziano”, e accanto “ok”, “no”, oppure “a rischio”, a seconda del grado di fedeltà al “Patto” e quindi della disponibilità a votare il candidato del suddetto. Non importa chi sia, capite? Come non importa che il Pd sia (sarebbe) un partito. Il candidato sarà “del Patto”, vero dominus della politica contemporanea, e sarà un prendere o lasciare: siete “fedeli” o no?
La lista, si legge nel pezzo di accompagnamento a firma Claudio Cerasa, lascia poco spazio alle chiacchiere: “Sui nomi si potrà ancora fantasticare, sui numeri meno”. Capito, voi che state lì ad arrovellarvi su quale potrebbe essere il nome giusto? Non perdete tempo. Guardate la “lista” dei “fedeli” al “Patto“.

Ps: Claudio Cerasa sarà presto direttore del Foglio. Nessuno più di lui è la persona giusta per raccontare questi tempi politici. Auguri di cuore.

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Rassegna Quirinale/5: la lingua in bocca

Con una cinquantina di voti, determinanti, come ricorda Paolo Romani, di Forza Italia, respinti gli emendamenti dei “parassiti” del Pd (quelli che “restano ribelli”, per citare una frase cara al capo, e si giocano così presumibilmente il posto buono al prossimo giro, mentre chi, da elettore di Gianni Cuperlo al congresso, si presta a presentare emendamenti trappola ammazza minoranza e pro liste bloccate è evidentemente un eroe e un esempio di come ci si comporta nella Ditta) e si mette in banca l’Italicum.
In tutto questo passaggio parlamentare, il leader del Pd non ha mai concesso ascolto a nessuna delle istanze presentate dalla minoranza, che pur a partire da un giudizio molto negativo sulla legge, aveva limitato a pochi circoscritti emendamenti la materia su cui dare una battaglia da settimane e mesi annunciata come dirimente. La minoranza Pd in questi mesi ha votato sempre sostanzialmente tutto, anche provvedimenti che dichiaratamente non condivideva. Ha accettato qualunque mediazione, anzi spesso (vedi Damiano sul jobs act) se m’è fatta carico in proprio. Continua a leggere

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Il premio al partito ammazzando il partito

Quindi – grande vittoria – abbiamo strappato a Berlusconi il sì al premio alla lista e non più alla coalizione. Io sono d’accordo. Per chi ha creduto nel Partito democratico, poter finalmente votare direttamente per il proprio partito, e poter puntare a vincere col proprio partito, è una soddisfazione grande, in un paese nel quale per anni per essere cool bisognava parlare male dei partiti, e per avere chances di vittoria alle elezioni bisognava nascondere il partito in qualche calderone indistinto, e per essere leader era meglio se rinnegavi la tua storia di partito. L’avevo anche scritto – altri tempi – qui.
E tuttavia, proprio oggi, mi chiedo: cos’è un partito? Un posto dove io ci sto, ma se io non sono d’accordo si va da Verdini e ci si mette d’accordo con lui per fare quello su cui io non sono d’accordo. E se poi anche un pezzo del partito di Verdini non è d’accordo, chi se ne frega tanto i numeri ci sono. È questo, un partito? Che partito è? Cosa lo voto a fare?

Rassegna Quirinale/4: la domanda che nessuno fa

Niente, davvero niente di interessante. Spin, spin e ancora spin. Incontri interlocutori e pilotatissime voci secondo cui Tizio “avrebbe proposto” Caio, come se l’onere di proporre un nome, aprendo la partita, non spettasse soltanto a chi in questa tornata quirinalizia assomma le cariche di segretario del partito di maggioranza relativa e presidente del consiglio. Ma niente, tutti son lì che “propongono” questo e quello, scrivono i giornali. Vogliono farci credere che, ex premier, vecchie volpi, leader storici, capi politici, sono tutti ragazzini deficienti con una scatola di cerini in mano, che giocano a bruciare i loro preferiti dandoli in pasto ai giornalisti.
Si vedrà col tempo dove vuole portarci chi organizza questo giochino, contando sulla vanità di chi ogni sera deve pur tornare in redazione con in tasca una “notizia”. Intanto nessuno – nessuno – pone a Matteo Renzi una piccola, semplice domanda: perché, a pochi giorni dall’inizio delle votazioni, il leader del Pd non fa niente – niente – per pacificare il suo partito, e anzi drammatizza i dissensi (“Vogliono pugnalarmi alle spalle!”), lancia ultimatum (legge elettorale), provoca strappi (Cofferati), dà platealmente e pubblicamente argomenti a chi lo accusa di essersi messo in mano a Berlusconi contro un pezzo di Pd (incontro con Berlusconi)? Che interesse ha a fare questo? Che messaggio sta trasmettendo, non alla minoranza Pd, ma all’Italia? Perché lo fa? Non sa fare altrimenti? Non può fare altrimenti? Non vuole fare altrimenti?
Ma le domande, si sa, non vanno di moda. Meglio giocare al Totoquirinale, vuoi mettere? Chi propone oggi la Bindi? Interessante, no?