Indice: Politica

Ferragosto e cervelli in vacanza

In questo Ferragosto

  • l’ayatollah dell’Ulivo ci spiega che la riforma dei Centouno è il compimento dell’Ulivo
  • il leader della minoranza Pd ci spiega come deve fare a vincere la minoranza Pd e perché fin qui ha dimostrato di non avere leader e classe dirigente
  • l’aspirante anti Renzi ci spiega che si vota sì perché è certo che Renzi cambierà l’Italicum come desidera lui (lui che quando Renzi buttò fuori dalle commissioni chi voleva cambiare l’Italicum ci spiegò che Renzi faceva benissimo)
  • tutti costoro sono d’accordo che ha ragione Cacciari: l’importante è “chiudere coi D’Alema e i Bersani” se no non si va da nessuna parte. Il motivo non è chiaro, ma è evidente che se lo si fa la gente scenderà in strada finalmente libera di inneggiare a Parisi, Cuperlo e Rossi.

Io comunque ho da leggere la biografia di Caterina de’ Medici. Auguri.

Il tour di Di Battista e la grillizzazione del Pd

Io non temo Berlusconi in sé, diceva Giorgio Gaber: temo Berlusconi in me. Forse è tempo di aggiornare quel geniale aforisma, applicandolo ai nuovi protagonisti; forse i grillini si stanno mangiando il Pd. Non è la prima volta che mi capita di pensare che al Nazareno, col Movimento 5 stelle, stiano sbagliando tutto. Dopo la sconfitta delle amministrative, se possibile, l’impressione è peggiorata. Ma ieri mi pare che la faccenda abbia segnato un allarmante salto di qualità.

Succede dunque che Alessandro Di Battista lanci – con tanto di foto accanto allo scooterone – la sua campagna “#iodicono. Costituzione coast to coast”, un giro motociclistico per le spiagge d’Italia per propagandare le ragioni del No al referendum. Qual è stata l’inverosimile reazione dei suoi colleghi parlamentari Pd? Una raffica di tweet che argomentavano: 1) Di Battista si fa pagare le vacanze dai cittadini; 2) chi paga la benzina? Vogliamo gli scontrini; 3) Di Battista non paga al casello perché è un parlamentare che viaggia a spese nostre.

Cerco di mettere in ordine i pensieri, che sono molti.  Continua a leggere

Rai, quelle nomine vecchio stile

Ho scritto questo per i giornali locali del gruppo l’Espresso (Il Tirreno, La Gazzetta di Mantova, Il Mattino di Padova, Il Piccolo, Il Centro, La Gazzetta di Reggio, La Gazzetta di Modena, Alto Adige, Il Trentino, Il Messaggero Veneto, La Nuova Sardegna, La Nuova Venezia, La Città di Salerno e altri).

Alla fine è sempre un problema di storytelling: se hai promesso che avresti cambiato tutto, hai detto che avresti buttato fuori i partiti dalla Rai, hai twittato che era “la volta buona” poi non c’è da stupirsi che le aspettative siano alte. E che la sostituzione di (alcuni) direttori di testata in carica da diversi anni, di per sé non scandalosa, peraltro con ottimi professionisti interni all’azienda, lasci la sensazione che qualcosa non va. Avallata, la sensazione, da tanti estimatori di Renzi che per difenderlo dalle critiche dicono in sostanza: ma non si è sempre fatto così? A parte che no, non sempre, non proprio. Il problema è che avrebbe dovuto arrivare il messaggio che stavolta era tutto diverso. E che anche questa vicenda manifesta il momento difficile del presidente del consiglio, la sua scarsa sintonia col paese.  Continua a leggere

Mica come noi. (Ha proprio ragione Bernie Sanders)

Ma quanto vi piace, all’improvviso, Bernie Sanders che endorsa Hillary. Ma quanti bei tweet per insegnarci a stare al mondo, come lui, eeeeh. Che non è andato in tv ad accusare Hillary di essere arrogante, non ha fatto neanche un tweet da gufo rosicone. Mica come “loro”. Come “noi”, insomma, se ci siamo capiti.

E non solo non vi passa per il cervello che anche “loro”, “noi” insomma, invitiamo a votare Pd. E lo facciamo nonostante leggiamo tutti i giorni i retroscena del Corriere e sentiamo parlare di lanciafiamme nelle conferenze stampa, e lo facciamo nonostante che quelli che si fidano di “loro”, “noi”, non ne possano più di certi retroscena e di certi lanciafiamme, e tra un po’ nemmeno più di noi – visto che insistiamo a dirgli che bisogna votare per voi.

Non solo fate finta di non vedere che c’è differenza tra cercare il consenso di chi non ti ha votato e provare gusto a umiliarlo ogni volta che è possibile (“Sanders who?”, a Hillary non l’ho sentito dire), e questa differenza ha delle conseguenze.

Non solo siete così in malafede da passare sotto silenzio il fatto che Sanders non avrà fatto riunioni di corrente ma ha preteso nientemeno che la testa della presidente del partito, Debbie Schultz, dopo che è emerso che il gruppo dirigente non era stato imparziale durante le primarie: e l’ha ottenuta!

Non solo: è che così dimostrate quanto non valete nemmeno un mignolo di Hillary. Sapete che c’è, ha proprio ragione Bernie: “We need leadership which brings our people together and make us stronger”. Ma si sa, l’ammericani.

 

Aggiornamento: stanotte Hillary Clinton ha accettato la nomination “con umiltà” lanciando il suo nuovo slogan: Stronger together. Ha detto, tra l’altro: “Voglio ringraziare Bernie, perché ha ispirato milioni di persone, tanti giovani hanno messo il cuore e l’anima nella nostra campagna. A tutti i tuoi sostenitori voglio dire: la vostra battaglia di giustizia sociale è la nostra, il paese ha bisogno di voi, delle vostre idee e della vostra energia, ora la vostra piattaforma deve diventare un cambiamento reale per l’America”.

2013, il grande rimosso che rende il Pd incapace di cambiare

 

Ho scritto questo per i giornali locali del gruppo l’Espresso (Il Tirreno, La Gazzetta di Mantova, Il Mattino di Padova, Il Piccolo, Il Centro, La Gazzetta di Reggio, La Gazzetta di Modena, Alto Adige, Il Trentino, Il Messaggero Veneto, La Nuova Sardegna, La Nuova Venezia, La Città di Salerno e altri).

A un mese circa dal ballottaggi, l’Assemblea nazionale del Pd si è riunita sabato con all’ordine del giorno Brexit e questioni internazionali. Innegabile che sia importante e necessario per un partito riflettere sui fatti storici e tragici di queste settimane. Resta però sullo sfondo la sensazione di un rimosso, di un’insufficienza. La sconfitta di giugno è stata archiviata da Matteo Renzi in direzione come un “risultato difficile da decifrare”. Nessuna analisi dal gruppo dirigente, solo retorici appelli al “dovere di cambiare”, un paio di “basta con le correnti” provenienti per lo più dai principali capicorrente e qualche rumor su rimpastini al vertice di organismi che negli ultimi anni nessuno ha riunito o considerato luoghi di decisione. Nelle città dove si è votato non ci sono stati scossoni, dimissioni, riunioni.  Continua a leggere

È da questi particolari, D’Alema

Un dettaglio mi ha colpito, nell’intervista di Massimo D’Alema a Tommaso Labate e David Parenzo andata in onda ieri sera su La7. Lo scrivo dopo qualche ora, passato il profluvio social di commenti osannanti e antipatizzanti. Chi legge questo blog del resto sa che qui ci si professa adalemiani: né adoratori, né anti. Alla ricerca di una difficile laicità, insomma. Qualcosa da rimproverargli, trovandocisi a tu per tu, ci sarebbe pure, forse anche più di qualcosa, sulle vicende degli ultimi anni e non solo. Certo, si ascolta D’Alema più volentieri di un cretino; e spesso s’impara. Ieri sera poi, dopo questo pazzo e tragico week end, era curiosità vera, ed è stata ripagata.  Continua a leggere

La sindrome di Pellè e il Pd accecato dal suo storytelling

Oggi sul quotidiano Il Dubbio

Tutti i partiti finiscono per somigliare al loro leader. Il Pd è diventato prigioniero, come il suo segretario, dello strumento che ha imparato a maneggiare con tanta abilità, la comunicazione. Drogato di storytelling, non riesce più a pensare ad altro; invece di leggere la realtà, si chiede come raccontarla; ma soprattutto – dramma vero – non riesce a percepire l’effetto che fa il modo in cui si rappresenta, la distanza tra le parole che usa e l’effetto che fanno. La sconfitta del Pd avviene così, paradossalmente, proprio sul terreno della comunicazione. Qualche esempio.  Continua a leggere

La sinistra torni a fare la sinistra (anche perché ha vinto la destra)

Ho scritto questo per i giornali locali del gruppo l’Espresso (Il Tirreno, La Gazzetta di Mantova, Il Mattino di Padova, Il Piccolo, Il Centro, La Gazzetta di Reggio, La Gazzetta di Modena, Alto Adige, Il Trentino, Il Messaggero Veneto, La Nuova Sardegna, La Nuova Venezia, La Città di Salerno e altri).

“Perché qua è vero che il centrodestra non c’è più: e però attenzione, ci sono ancora gli elettori”. Così ragionava in privato, qualche mese fa, una vecchia volpe che ha attraversato prima e seconda repubblica. La vecchia volpe si chiama Clemente Mastella, e guarda caso da un paio di settimane fa il sindaco di Benevento. Per il centrodestra, naturalmente. Eh già, forse a mente fredda dovremmo smetterla di ripetere come pappagalli che gli elettori hanno premiato “i volti giovani” e guardarlo un po’ più in profondità un voto che non è stato solo il trionfo delle “ragazze” grilline. Aiuterebbe il Pd ad esempio, nella sua prossima direzione, fare un’analisi un po’ più seria.

L’“Italia di mezzo”, a guardarla bene, dice più cose di quattro o cinque grandi città. E se è certamente vero che dal voto esce chiaro il segnale di una crisi del Pd iperrenzizzato da un lato e dell’inizio degli esami di maturità per un Movimento 5 stelle almeno parzialmente degrillizzato dall’altro, nessuno dovrebbe dimenticare l’esistenza di un terzo incomodo da non sottovalutare. Continua a leggere

Analisi del voto (appunti in vista della direzione Pd)

Riepilogando in forma di appunto, a mente fredda e dopo attenta riflessione sui fatti e lettura dei giornali:
– aveva ragione chi diceva cambiamo l’Italicum (finché siamo in tempo);
aveva ragione chi diceva non personalizzare il referendum;
– aveva ragione chi diceva non abbandonare a se stesso il partito;
– aveva ragione chi diceva sulla scuola perdiamo un sacco di voti;
– aveva ragione chi diceva sul jobs act rompiamo con un pezzo del nostro elettorato;
– aveva ragione chi diceva no allo slogan della riduzione indiscriminata delle tasse, puntiamo su investimenti e lavoro;
– aveva ragione chi diceva niente selfie con Verdini;
– aveva ragione chi diceva per vincere ci vuole il centrosinistra unito;
– aveva ragione chi non se n’è andato dal Pd.

Momenti di gloria. (Io, Ezio Mauro e l’intellettuale)

Ieri sera, durante la puntata di Otto e mezzo, Pietrangelo Buttafuoco (troppo buono!) ha detto così: “Leggevo l’editoriale di Ezio Mauro su Repubblica, il giornale che ha accompagnato la festa del renzismo, e mi sembrava di leggere una prosa scritta da Chiara Geloni non oggi, all’indomani della sconfitta, ma cinque dieci venti mesi fa”.

Ora, siccome a me quando mi ricapita un paragone così, ma soprattutto siccome l’articolo di Ezio Mauro era davvero bello e importante, e non (solo, ahahaha) perché sembrava scritto da me, ve lo posto qui. Anche perché così, quando vogliamo rileggerlo, lo ritroviamo.