Dire che il Pd e il governo sono “a trazione Margherita”, come ha sostenuto Claudio Cerasa in una godibile conversazione con Francesco Rutelli sul Foglio, oggi ripresa da Scalfari, significa dire da un lato una banalità, dall’altro una profonda verità.
Non c’è dubbio infatti che Matteo Renzi provenga dalla Margherita, e così molte delle persone di cui si fida e con cui ama lavorare. Non c’è niente di strano, così com’era normale che tra gli amici storici di Bersani prevalessero gli ex diessini. Tuttavia chi vedeva istericamente “rosso” nella precedente gestione del Nazareno aveva torto: con due pesi massimi come la Bindi e Letta al fianco e Dario Franceschini a capo del gruppo alla camera non si poteva certo dire che il Pd bersaniano non rispecchiasse il pluralismo interno. Così come oggi si potrebbe obiettare che Matteo Orfini e Debora Serracchiani (e Roberto Speranza a Montecitorio) “controbilanciano” specularmente l’estrazione schiettamente democristiana di un Lorenzo Guerini e quella a cavallo tra prima e seconda repubblica (e quindi demorutelliana) del nuovo leader.
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