Ieri sera ero di buonumore e così, prima di andare a dormire, mi sono concessa uno di quei tweet kamikaze fatti apposta per scatenare tutti gli isterismi della Rete: ho scritto una cosa che ho pensato più volte negli ultimi giorni, cioè che Andrea Scanzi e Marco Travaglio sono due patrioti.
Ovviamente la parola patrioti l’ho usata in senso ironico (lo dico a beneficio dei molti commentatori offesi per conto di: Garibaldi, Nino Bixio, Carlo Pisacane et alias). Ovviamente il concetto invece era serio, ed è proprio quello che penso di questo risultato elettorale. Contro tutti i pronostici, contro i nostri stessi stati d’animo, contro molti dirigenti dei partiti coinvolti e una parte dei loro elettori, sicuramente contro l’opinione di tutti tutti tutti gli analisti politici dei giornali e della tv – salvo poche, pochissime e patriottiche eccezioni – nelle urne si è affermata una prospettiva politica. Uno schieramento capace di battere la destra e disegnare un nuovo bipolarismo, dando fra l’altro al paese la serenità necessaria ad affrontare una fase difficile.
Mi dispiace, mi piacerebbe che fosse vero, ma non è esatto dire, come da titolo odierno di Repubblica, che “il Pd ferma Salvini”. Salvini e la destra sono stati fermati, almeno nel loro dilagare e purtroppo non ovunque, da un progetto politico che sta troppo lentamente, ma più velocemente dal basso che negli accordi di vertice, facendosi strada. Ovviamente molto merito è del Pd, ma senza gli articoli militanti del Fatto quotidiano, senza il trasversalismo di una consapevolezza che cresce circa la necessità di dare forza a una proposta, senza il coraggio di posizioni contropelo come quella affermata un po’ a forza da Zingaretti e da Bersani sul referendum, ieri sera quelli come me non sarebbero andati a dormire di buonumore.
Contropelo, sì. Tra i sostenitori del No in nome dell’amore per la costituzione ci sono molti dei miei più cari amici, ma in troppi, mi spiace, sono convinti di avere dato un voto anticonformista e controvento. Erano loro, il vento. Il vento di praticamente tutti gli intellettuali e i commentatori e gli influencer e di chiunque abbia visibilità nel discorso pubblico di questo paese. Gli stessi che alzano gli occhi al cielo quando si nomina Conte, gli stessi che invocano Draghi a colazione pranzo e cena, gli stessi che si sentono sempre dalla parte della competenza contro i plebei, dalla parte del “riformismo” contro il “populismo”. Tutta una grancassa monocorde, che riempiva anche le nostre bolle social, pronta a sfruttare la nostra buona fede. Mentre il popolo, silenziosamente, era altrove. E sconsiglio vivamente di dire oggi che il 70 per cento degli italiani odia la politica e si disinteressa di difendere la costituzione, cosa che pure sarebbe conseguente a tante affermazioni lette nei giorni scorsi: non faremmo un bel servizio né a noi stessi né alla democrazia.
Ho visto anche io i flussi secondo i quali almeno metà della base elettorale di Pd e Articolo Uno ha votato No. Ma pensiamo a come saremmo andati a dormire ieri sera se il No avesse vinto. A maggior ragione questi numeri dicono che è stato giusto schierarsi per il Sì: si chiama intelligenza degli avvenimenti, o capacità di guidare il cambiamento, altrimenti dette: politica.
La giornata di ieri, le vere e proprie assurdità che abbiamo sentito in tv (stendo un pietoso velo, perché con chi vive su un altro pianeta è impossibile anche litigare, non dico capirsi), come più umilmente le reazioni al mio tweet, comprese quelle di autorevoli firme che mi accusano nientemeno che di “instabilità mentale”, dimostrano che c’è un livello di insofferenza per questa prospettiva politica e un grado di incomprensione troppo forti di quello che pensa e che vuole la gente in questo paese. Qualcosa che trascende la legittima critica e forse addirittura la politica. Non è simpatico dirlo, ma sarebbe il caso di rifletterci, per chi vuole continuare a considerarsi un analista o il rappresentante di qualcosa.
Il mio temerario tweet quindi non era l’adesione a un partito Scanzi-Travaglio che nemmeno esiste, e non significava neanche che io, Scanzi e Travaglio siamo uguali. Significava che da soli, noi di sinistra, non saremmo neanche in partita, e invece ci siamo. E questa sia chiaro non è una critica a un Pd che non ha affatto “fermato Salvini” da solo, ma anzi un apprezzamento per un gruppo dirigente che riconosce che non basta e anzi fa danno un Pd isolato intento a mostrare i muscoli. Tantomeno è un tentativo di arruolare due giornalîsti che ho già messo in suffìciente imbarazzo. Ho detto Scanzi e Travaglio come metafore, ok?
Non è un traguardo peraltro, è un punto di partenza. Restiamo ampiamente sotto ciò che è necessario che siamo, dopo ieri. Ma almeno a quanto pare abbiamo un popolo che ci indica la strada e cammina con noi.