Perché il Pd non piace ai giornali (non è perché non sa comunicare)

Perché il Pd non piace ai giornali? Alfredo Reichlin ha posto ieri il tema con la solita brutale lucidità: sta diventando un problema di democrazia, non di giornalismo. Non si tratta di recriminare, ma di constatare: il contrasto tra la realtà del Pd e la narrazione mediatica sul Pd comincia a essere un fenomeno su cui è difficile soprassedere. Parliamo di quello che da diversi mesi è stabilmente il primo partito italiano. Che ha visto uscire dalla scena il suo principale e ormai storico avversario, e oggi fronteggia un centrodestra sbandato e in difficoltà. Che ha vinto le ultime tornate elettorali. Il cui elettorato mostra di capire la scelta difficile e responsabile di sostenere un governo di emergenza. Fin qui la realtà, poi c’è appunto la narrazione. Continua a leggere

Conversazione con Beppe Vacca sulla Dc

Parlare della Dc nella storia d’Italia non è diverso che parlare con lui del Pci. Anche se l’intervista fosse su Togliatti, lui parlerebbe di De Gasperi, e viceversa. In un tutto che non è sincretismo o semplificazione: ma è l’Italia, vista da Beppe Vacca. Il direttore dell’Istituto Gramsci ha una lettura “forte” della storia di questo paese. Maturata, e non manca di ricordarlo, insieme a Pietro Scoppola nel corso di quella che fu una vera alleanza accademica – e di una grande amicizia – nate a metà degli anni Settanta. Prima di cominciare mette idealmente in fila i libri che considera fondamentali sul tema: “La proposta politica di De Gasperi”, di Scoppola, “l’Italia dal 1943 al 1992” di Roberto Gualtieri e “L’impossibile egemonia” di Silvio Pons”. “E poi c’è Giovagnoli. Naturalmente io cominciai a studiare la Dc usando la categoria dell’egemonia – spiega –. Per noi la storia è storia politica, analisi dei processi decisionali, come si dice nella cultura anglosassone, o se volete appunto dei rapporti di forza”. Continua a leggere

Non è a destra il posto dei cattolici (e alla Chiesa conviene il pluralismo)

La sensazione è che la chiesa pagherà: non per il silenzio di questi giorni, che sempre più insistentemente le viene rimproverato anche da pulpiti non titolatissimi, ma per la strategia di questo ventennio. Il lungo crollo del berlusconismo lascia veleni e macerie dai quali nessuno sarà risparmiato; e più sarà lungo, quel crollo, e più farà danni. Si logora l’opposizione, che proprio per aver visto e denunciato da anni – con accenti diversi e differenti ragioni – gli errori e le vergogne del sistema imperante, ora rischia paradossalmente, invece di raccogliere i frutti, di apparire una cassandra impotente e lagnosa. Si logora l’establishment economico, intellettuale, giornalistico che in questi anni non s’è guadagnato i titoli per dire adesso ciò che ha troppo a lungo taciuto. Si logora il senso civico e l’amor proprio degli italiani, perché alla fine puoi dare la colpa all’establishment e alla sinistra, ma devi ammettere che Berlusconi al potere ce l’abbiamo mandato, e così a lungo conservato, noi cittadini con il nostro voto, nella crescente incredulità del mondo. Continua a leggere

La Cei prima del ruinismo

C’è chi ai suoi tempi vestiva alla marinara, chi la sera andava in via Veneto, e c’è anche chi leggeva La Chiesa italiana e le prospettive del paese. Quella piccola citazione nella prolusione di monsignor Bagnasco (intervento di apertura dei lavori dell’assemblea permanente della Cei, pronunciato qualche giorno prima), il famoso discorso sull’«Italia che guarda sgomenta», ha fatto drizzare parecchie antenne. E non solo per la nettezza della frase prescelta, praticamente una sentenza sulla società contemporanea, e una sentenza con un preciso colpevole: «Il consumismo ha fiaccato tutti». Continua a leggere

1

Rottamare il Mattarellum

Sulla legge elettorale siamo tutti molto nervosi, troppo. E’ una questione sulla quale è facile trasformarsi da analisti in tifosi. Siamo tutti figli della nostra storia, e la vicenda della Seconda Repubblica, sebbene si avvii alla fine, è difficile da valutare con distacco. Tutti ricordiamo una stagione di entusiasmo e per la nostra parte anche di vittorie, legata a un nuovo modo di partecipare, all’introduzione per via referendaria del sistema elettorale maggioritario. E d’altro canto ci siamo ripetuti mille volte la litania dei difetti del sistema proporzionale della Prima Repubblica, coi ricatti, la frammentazione e l’instabilità che ne derivavano. Oggi abbiamo di fronte il disastro distruttivo del Porcellum, una legge che – non lo ripetiamo con sufficiente convinzione, ma è così – i democratici italiani hanno subito e che i democratici italiani, tutti i democratici italiani, vogliono cambiare per i suoi effetti catastrofici sul rapporto di rappresentanza e sulla percezione stessa della politica. Continua a leggere

E no, sul testamento biologico il Pd non si è diviso

Non che ci sia niente da festeggiare, visto che la legge sul testamento biologico (appena approvata in via definitiva a Montecitorio) è brutta e sbagliata.

E tuttavia, a costo di urtare la sensibilità stessa di tanti democratici oggi arrabbiati e delusi, va detto: in questo passaggio il Pd ha segnato un punto positivo. È un paradosso amaro, ma da non nascondersi. Perché è nell`interesse dell`Italia che il Pd vinca la sua scommessa iniziale, quella di far incontrare credenti e non, culture e storie diverse, e in questo incontro dar vita a soluzioni.che durino nel tempo e non inchiodino gli italiani a un bipolarismo etico sterile e incattivito. Continua a leggere

Una generazione di cattolici impolitici

Antefatto: Lucetta Scaraffia, dalle colonne del Messaggero, si rivolge a Pier Luigi Bersani a proposito del suo libro intervista “Per una buona ragione”, in cui il segretario del Pd esprime contrarietà a sancire per legge il diritto alla procreazione per le coppie omosessuali, ma accetta poi di confrontarsi con il tema di come tutelare i diritti dei minori che “di fatto” vivono e crescono con due persone dello stesso sesso. È uno “slittamento etico”, secondo l’intellettuale cattolica. In nome dell’equità, sostiene Scaraffia, Bersani finisce per sostenere il contrario di quanto aveva detto di ritenere in via di principio. Ora (anche sorvolando sul non trascurabilissimo fatto che anche l’equità è un principio), sul punto ha già detto Bersani qualche giorno dopo sullo stesso quotidiano: della necessità di mediare tra i principi e la realtà come compito specifico della politica; e dell’obiettivo di una politica orgogliosa della propria autonomia e del proprio ruolo, consapevole del proprio limite, ma non priva di una bussola valoriale. Nel mezzo, sempre sul Messaggero, una bellissima riflessione di Domenico Rosati, già presidente delle Acli e senatore indipendente dc, figura autorevolissima del cattolicesimo democratico, sulla responsabilità dei laici nella mediazione tra i principi e le norme, e sul criterio di umanità come bussola per orientare le scelte di politici credenti e non credenti, quando dal campo delle enunciazioni astratte si scende a fare i conti con le persone concrete e i loro problemi.  Continua a leggere

L’importante non è vincere, ma piagnucolare

Alla mia amica Elisabetta è venuta in mente la saggezza cinese: “Il miglior modo di vincere una battaglia è non combatterla, dice Sun Tzu”. Lo ha scritto su Facebook un minuto dopo aver letto che il governo ritirava il piano nucleare. Pier Luigi Bersani, che dice pane al pane, l’ha detto e basta: “E’ una nostra vittoria”. Francesco Rutelli, sempre pronto sotto rete, ha subito tirato in porta: e giù interviste a tappeto sul “grandissimo successo” di quelli che “l’avevano detto per primi”. Continua a leggere

Il partito dei cattolici democratici

Nostalgia di futuro. “Sarebbe bello se questo convegno lo avessimo fatto come Partito democratico”, si sono ripetuti per due giorni dal palco, citandosi l’un l’altro, vecchi e meno vecchi ma comunque reduci della sinistra Dc, del Partito popolare, della Margherita. Senza rendersi conto in pieno, forse, che era già il Pd, il partito che sembra sempre “da fare” – e non più solo gli ex popolari di Franco Marini, Dario Franceschini e Pierluigi Castagnetti – quello che si è riunito sotto l’insegna mazzolariana dell’associazione “Adesso”, al glorioso centro Cisl di Fiesole dove Marini imparò il mestiere all’inizio degli anni Cinquanta.
Marini, Franceschini, Castagnetti: loro. Reduci di molte battaglie, qualche volta anche tra loro, eppure tutto meno che nostalgici. Orgogliosamente ex, in tempi di nuovismo, eppure tutto meno che ripiegati sul proprio passato. Certo decisi a rivendicare la propria storia – quasi una bestemmia, nell’era della “contaminazione” – eppure da tutto tentati meno che dalla scorciatoia dell’autosufficienza. E soprattutto non soli. A discutere dell’impegno dei cristiani nella crisi della politica – vasto programma, mica roba da correntine o partitini – hanno chiamato lo storico della Chiesa Alberto Melloni, erede della scuola bolognese e degli studi sul Concilio del compianto Giuseppe Alberigo, un osservatore della Seconda Repubblica spietato quanto può esserlo un vero giornalista parlamentare (Claudio Sardo), il professor Giuseppe Tognon, autore con Pietro Scoppola del classico “La democrazia dei cristiani”, Edo Patriarca, l’organizzatore della Settimana sociale. E però c’era anche Beppe Vacca, che è venuto per fare una relazione e non se n‘è più andato finché il giorno dopo il convegno non è finito, “perché m’interessa”.
Pier Luigi Bersani ha mandato un messaggio da Atene: “Dalla vostra cultura politica ci viene un’eredità che oggi è preziosa per tutto il nostro partito, l’idea della responsabilità autonoma di chi fa politica, che è la condizione per non annacquare il vino delle convinzioni e dei valori, assumendosi il dovere della mediazione e delle scelte concrete che li traducono verso il bene comune”. Una “lezione di laicità”, ha scritto il segretario. Sulla stessa linea anche il messaggio di Piero Fassino, bloccato a Torino, e gli interventi fuori programma del presidente della Toscana Enrico Rossi, del segretario regionale Andrea Manciulli e di Stefano Fassina, responsabile economia e lavoro del partito (tutta gente che non era certo di casa a piazza del Gesù). E chi arrivava veniva invitato a dir la sua, ex di qualsiasi cosa fosse, e spesso anche gli ospiti dicevano così: “Sarebbe bello farla come Pd, questa discussione”.
Perché il Pd è un partito così fatto, capace di sopravvivere a se stesso, ai suoi errori e alle sue sconfitte e perfino alla convinzione di non esistere ancora. Il Pd è molto più avanti di dove crede di essere, anche se ogni tanto perde un po’ la strada. Così, quella che a uno sguardo superficiale potrebbe sembrare una scelta “regressiva” (proprio quelli di Area democratica, gli alfieri del Pd “mescolato”, che si riuniscono tra ex popolari), è stata esattamente il contrario, semplicemente perché non avrebbe potuto essere che quello che è stata.
E cioè il punto su una cultura politica che “è uno dei filoni del riformismo italiano”, e dopo cento anni forse si può cominciare a dirlo, come ha fatto Franceschini nelle conclusioni. Perché i cattolici democratici non sono né i cattolici in politica né gli ex democristiani, ma qualcosa di assai meno generico e banale, e non solo sanno che il Pd non si fa senza di loro, ma non ci pensano neanche a lasciare che il Pd si faccia senza di loro. E cioè la rottura dello stereotipo dei “cattolici a disagio”, perché a disagio semmai i riformisti e i democratici sono tutti, e ne hanno ben d’onde, ma nel Pd i cattolici democratici ci stanno a loro agio come forse in un partito non sono stati mai nell’ultimo secolo (e se pensate che stare nella Dc per questa gente fosse rose e fiori significa che dovete fare un ripassino di storia). E cioè un ceto politico che anche nel Pd è passato per vittorie e sconfitte, ha dimostrato di sapersi mettere alla guida, ha risolto (merito storico e rivendicato della segreteria Franceschini) l’annosa questione della collocazione europea in perfetto stile Pd: “Non accanto ai socialisti, ma insieme con i socialisti in qualcosa di più grande”. E che è stufo di difendersi e arrivarci un po’ per contrarietà, come nell’ultimo ventennio fece nel dire addio alla Dc, nel fare l’Ulivo, nel chiudere il Ppi per dar vita alla Margherita.
Adesso è il tempo del Pd, dell’Italia che va oltre Berlusconi, del secolo nuovo che comincia forse solo ora per davvero, sull’orlo della fine di un modello economico e sulle coste agitate del Mediterraneo. I cattolici democratici non guardano a un altrove, non sono a disagio, non hanno nostalgia. C‘è stato un tempo in cui per dimostrarlo hanno sentito il bisogno di annacquare, di nascondere anche un po’ quel che erano, e al Partito democratico questo non ha portato bene. Quel tempo però non è adesso. Per il Pd è certamente una buona notizia, e magari se ne accorgerà perfino.

(per il sito Left Wing, 6 marzo 2011)