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Non è a destra il posto dei cattolici (e alla Chiesa conviene il pluralismo)

La sensazione è che la chiesa pagherà: non per il silenzio di questi giorni, che sempre più insistentemente le viene rimproverato anche da pulpiti non titolatissimi, ma per la strategia di questo ventennio. Il lungo crollo del berlusconismo lascia veleni e macerie dai quali nessuno sarà risparmiato; e più sarà lungo, quel crollo, e più farà danni. Si logora l’opposizione, che proprio per aver visto e denunciato da anni – con accenti diversi e differenti ragioni – gli errori e le vergogne del sistema imperante, ora rischia paradossalmente, invece di raccogliere i frutti, di apparire una cassandra impotente e lagnosa. Si logora l’establishment economico, intellettuale, giornalistico che in questi anni non s’è guadagnato i titoli per dire adesso ciò che ha troppo a lungo taciuto. Si logora il senso civico e l’amor proprio degli italiani, perché alla fine puoi dare la colpa all’establishment e alla sinistra, ma devi ammettere che Berlusconi al potere ce l’abbiamo mandato, e così a lungo conservato, noi cittadini con il nostro voto, nella crescente incredulità del mondo. Continua a leggere

La Cei prima del ruinismo

C’è chi ai suoi tempi vestiva alla marinara, chi la sera andava in via Veneto, e c’è anche chi leggeva La Chiesa italiana e le prospettive del paese. Quella piccola citazione nella prolusione di monsignor Bagnasco (intervento di apertura dei lavori dell’assemblea permanente della Cei, pronunciato qualche giorno prima), il famoso discorso sull’«Italia che guarda sgomenta», ha fatto drizzare parecchie antenne. E non solo per la nettezza della frase prescelta, praticamente una sentenza sulla società contemporanea, e una sentenza con un preciso colpevole: «Il consumismo ha fiaccato tutti». Continua a leggere

Rottamare il Mattarellum

Sulla legge elettorale siamo tutti molto nervosi, troppo. E’ una questione sulla quale è facile trasformarsi da analisti in tifosi. Siamo tutti figli della nostra storia, e la vicenda della Seconda Repubblica, sebbene si avvii alla fine, è difficile da valutare con distacco. Tutti ricordiamo una stagione di entusiasmo e per la nostra parte anche di vittorie, legata a un nuovo modo di partecipare, all’introduzione per via referendaria del sistema elettorale maggioritario. E d’altro canto ci siamo ripetuti mille volte la litania dei difetti del sistema proporzionale della Prima Repubblica, coi ricatti, la frammentazione e l’instabilità che ne derivavano. Oggi abbiamo di fronte il disastro distruttivo del Porcellum, una legge che – non lo ripetiamo con sufficiente convinzione, ma è così – i democratici italiani hanno subito e che i democratici italiani, tutti i democratici italiani, vogliono cambiare per i suoi effetti catastrofici sul rapporto di rappresentanza e sulla percezione stessa della politica. Continua a leggere

E no, sul testamento biologico il Pd non si è diviso

Non che ci sia niente da festeggiare, visto che la legge sul testamento biologico (appena approvata in via definitiva a Montecitorio) è brutta e sbagliata.

E tuttavia, a costo di urtare la sensibilità stessa di tanti democratici oggi arrabbiati e delusi, va detto: in questo passaggio il Pd ha segnato un punto positivo. È un paradosso amaro, ma da non nascondersi. Perché è nell`interesse dell`Italia che il Pd vinca la sua scommessa iniziale, quella di far incontrare credenti e non, culture e storie diverse, e in questo incontro dar vita a soluzioni.che durino nel tempo e non inchiodino gli italiani a un bipolarismo etico sterile e incattivito. Continua a leggere

Io, la nonna Andreina, De Gregori e Ruini (nel ventennio berlusconiano)

Quasi vent’anni fa, quando avevamo più o meno vent’anni, non era stato difficile scegliere e decidere che no, Berlusconi no. Insomma, bene o male avevamo dei genitori, avevamo avuto dei nonni. Mia nonna Andreina quando ero piccola mi diceva: “Lo vedi quello, è un comunista. Ma un comunista come ci vorrebbero tanti democristiani”. Una brava persona, insomma. Mia nonna cantava Biancofiore. Bandiera rossa no, non credo, ma Fischia il vento infuria la bufera ce l’aveva insegnata. Continua a leggere

Una generazione di cattolici impolitici

Antefatto: Lucetta Scaraffia, dalle colonne del Messaggero, si rivolge a Pier Luigi Bersani a proposito del suo libro intervista “Per una buona ragione”, in cui il segretario del Pd esprime contrarietà a sancire per legge il diritto alla procreazione per le coppie omosessuali, ma accetta poi di confrontarsi con il tema di come tutelare i diritti dei minori che “di fatto” vivono e crescono con due persone dello stesso sesso. È uno “slittamento etico”, secondo l’intellettuale cattolica. In nome dell’equità, sostiene Scaraffia, Bersani finisce per sostenere il contrario di quanto aveva detto di ritenere in via di principio. Ora (anche sorvolando sul non trascurabilissimo fatto che anche l’equità è un principio), sul punto ha già detto Bersani qualche giorno dopo sullo stesso quotidiano: della necessità di mediare tra i principi e la realtà come compito specifico della politica; e dell’obiettivo di una politica orgogliosa della propria autonomia e del proprio ruolo, consapevole del proprio limite, ma non priva di una bussola valoriale. Nel mezzo, sempre sul Messaggero, una bellissima riflessione di Domenico Rosati, già presidente delle Acli e senatore indipendente dc, figura autorevolissima del cattolicesimo democratico, sulla responsabilità dei laici nella mediazione tra i principi e le norme, e sul criterio di umanità come bussola per orientare le scelte di politici credenti e non credenti, quando dal campo delle enunciazioni astratte si scende a fare i conti con le persone concrete e i loro problemi.  Continua a leggere

Un anno a Youdem, le cose che ho imparato

Mancavano pochi giorni a Natale, un anno fa, quando arrivò la nominescion: “Il segretario dice se ti va di venire a dirigere Youdem”. Per andare a regime a dire il vero poi bisognò aspettare marzo (elenco delle cose che ho imparato in un anno al Pd, 1: per fare le cose al Pd ci vuole il suo tempo). Youdem, la creatura di Veltroni, tv satellitare nata in pochi giorni un anno prima facendo alzare più di un sopracciglio. Si narra, e chissà se è leggenda, che qualche ultrà bersaniano, in campagna congressuale, l’avevano ribattezzata perfidamente Chiudem, tanto per capirci. Ma diventato segretario, Bersani aveva deciso l’opposto (elenco delle cose che ho imparato in un anno al Pd, 2: il segretario decide da solo, e quando ha deciso ha deciso). Continua a leggere

I probiviri di via Solferino

In nome (per carità) dei principi liberali e del diritto al dissenso contro tutti gli “stalinismi”, il Corriere della sera oggi equipara arditamente il caso Granata e il caso Veronesi. Il qualunquismo con cui vengono accostate la denuncia di rapporti non chiari con la criminalità organizzata all’interno del Popolo della libertà (denuncia che nonostante gli scrupoli garantisti dell’editorialista di via Solferino non appare del tutto campata per aria) e quella delle condizioni alle quali un senatore del Pd può accettare una nomina al vertice di un’Authority, ma soprattutto il paragone tra le modalità di discussione e la qualità del dibattito democratico nei due principali partiti italiani, può far ridere o può indignare, ma qui vorrei provare a farne lo spunto per una riflessione di fondo.  Continua a leggere

Lo strano nuovismo dei popolari

Che cosa sta succedendo ai popolari del Partito democratico? “Malumori”, “sofferenze” e “malesseri”: la presenza nel Pd della fazione più consistente degli ex democristiani – quella, per intenderci, di osservanza non bindiana né lettiana – viene ormai raccontata con i termini di una diagnosi infausta. È una vecchia tattica da animali politici: si prende un tema del tutto marginale (le infiltrazioni della massoneria), o già risolto e archiviato (il nome delle feste del partito), o palesemente pretestuoso (se sia meglio manifestare contro la manovra in una piazza o in un palasport, se sia meglio fare proposte o limitarsi alla protesta). E non importa se il primo spunto viene offerto da due-casi-due di assessori (forse) affiliati a società segrete, di cui uno, si noti bene, assessore in un comune di 3600 anime; non importa se il secondo spunto è una non-notizia, perché il nome della festa di Roma, vera passerella del potere veltronian-bettiniano e di ciò che restava del rutellismo, in questi anni, non era mai cambiato: festa dell’Unità, e nessuno si era fin qui sognato di contestarlo; non importa se è evidente che non si possono portare decine di migliaia di persone in piazza del Popolo alle tre del pomeriggio alla fine di giugno. Niente: si passa parola, si comincia a martellare, se ne fa una questione identitaria di importanza decisiva. Il successo è assicurato con poca spesa: se chi comanda reagisce, posso dire che ho vinto. Se tutto tace, posso continuare a fare la vittima, con più visibilità.  Continua a leggere