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Se ci vedesse Berlinguer

Chiacchieravo poco fa con amici provenienti dalla filiera Pci, per via di percorsi personali o ascendenze familiari, di questa ondata di commozione e di devozione quasi, di questa bellissima festa che è in corso sui social in memoria di Enrico Berlinguer; e m’è tornato in mente un episodio che mi raccontò anni fa un noto ministro con la barba di cui non farò il nome (non è Delrio). Negli anni Ottanta, dunque, un gruppo di giovani della sinistra Dc fondarono una rivista settimanale. In onore di Zaccagnini, loro riferimento politico, decisero di chiamarla “Settantasei” (l’anno in cui Zac era diventato segretario). Quando Zaccagnini lo seppe, si incazzò moltissimo e disse che lui detestava questi “eccessi di personalizzazione”.
Non so bene che associazione di idee ho fatto. Ma è che quest’anno ci sono tanti anniversari, e io ho molto tempo libero. L’altro giorno sono stata alla presentazione della bellissima biografia di Piersanti Mattarella scritta dal mio amico Giovanni Grasso, ieri ero alla presentazione del francobollo commemorativo voluto dal governo su Berlinguer, e Beppe Vacca ha detto che a quanto pare Berlinguer è un’icona social: nel senso la sua foto è l’immagine politica più postata sui social network (subito dopo, Gramsci e Pertini). “E questo qualcosa vorrà dire”, ha detto. Già, ma cosa?
In quel momento ho avuto una sensazione, una sensazione che mi viene spesso ultimamente, non so se l’avete presente. È come se sentissi che siamo lì, commossi, a celebrare una politica che rimpiangiamo tanto. E che se oggi qualcuno la facesse, sarebbe sommerso dai pernacchioni.

Erano i ballottaggi eh. Non le primarie

Agli analisti politici, professionali e da social network: va bene tutto, io capisco, ma non esagerate. Capisco tutto, capisco il conformismo e anche i gusti personali, capisco il tifo e anche lo spin che ricevete, e le pressioni interessate. E però c’è un limite, e il limite è che non si possono commentare i ballottaggi come se fossero le primarie del Pd. Mica per altro: perché non è così che funziona. Il Pd è un partito, un conto è quando fa le primarie e un altro conto è quando fa le campagne elettorali. Io per esempio, sappiate, sono stata a Bari con Bersani a sostenere Antonio De Caro. Gian Carlo Muzzarelli a Modena ha avuto i renzianissimi Stefano Bonaccini e Matteo Richetti sempre al suo fianco. A Livorno sono stati dirigenti molto renziani e di primissimo piano come Luca Lotti e Dario Nardella a sostenere Marco Ruggeri. E poi non è che potete dimenticarvi il primo turno su, sono passate solo due settimane: a Padova per esempio, sarà stato anche un referendum sulla precedente amministrazione, ma Zanonato quindici giorni fa in quella città ha preso la preferenza anche dai neonati. Suvvia ragazzi, sforzatevi un pochino di più, capisco analizzare le campagne elettorali senza muovere il sedere dal divano, ma almeno magari fate qualche telefonata. Lo dico per voi eh. Ci fate più bella figura.

Caro Lotti scusa, come fai a dire che Orsoni non è del Pd?

questo post è uscito anche su Huffington post
Caro Luca Lotti, scusami tanto. Ma come fai a dire che Giorgio Orsoni non è del Pd? Orsoni, il sindaco di Venezia. Quello che ha vinto le primarie, sostenuto dal Pd. E poi le elezioni, al primo turno, sostenuto e festeggiato da tutto il Pd. Uno dei mitici sindaci del Pd, hai presente? Quelli che volete fare senatori, per il cambiamento. Ma ora lungi da me rinfacciartelo, figuriamoci.
Non eri tu, scusa, il Luca Lotti che in segreteria (segreteria Epifani) da responsabile Enti locali caldeggiava “primarie aperte, apertissime”, sottintendendo che “quelli di prima” l’altra volta non le avevano aperte abbastanza? Ecco, volevo chiederti: chi è del Pd allora scusa? Solo chi ha la tessera è del Pd adesso? E come mai allora anche chi non ce l’ha, la tessera, partecipa alle primarie per eleggere il segretario del Pd, dove uno vale uno, e il voto di Orsoni conta come il mio, e come il tuo? Orsoni, ricorderai, ha partecipato da sindaco di Venezia alle primarie per il segretario del Pd, schierandosi apertamente per Matteo Renzi, ma ora lungi da me rinfacciartelo, figuriamoci. È che mi domando, e non capisco, se ora improvvisamente per essere del Pd si debba essere iscritti, e allora perché mai chi non è iscritto decide chi dev’essere il nostro segretario, se non è del Pd. Hai detto che non è del Pd perché “non è mai venuto alla direzione”, ma ti ricorderai che anche Matteo, quando era sindaco di Firenze, alla direzione non ci veniva, pur avendone diritto. Alla “seduta di autocoscienza” anzi. Non ci veniva. Eppure Matteo era un sindaco del Pd no?

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Democratica e basta

Sulla Stampa di oggi c’è questa mia mini – intervistina. Ovviamente avevo detto più cose, ma lo spazio si sa è tiranno e io non sono così importante da meritarne molto di più. Mi dispiace solo che non ci sia la domanda che mi aveva fatto Francesca (Schianchi) su perché spesso faccio tweet “da pasionaria”, perché nella risposta avevo citato Guccini: “Se son d’umore nero allora scrivo / frugando tra le nostre miserie / di solito ho da far cose più serie / costruir su macerie, o mantenermi vivo”.
Questo sì che ci tenevo a dirlo.
“Democratica e basta” invece mi è venuto così, ma sono contenta che sia piaciuto a tanti amici. Vi prometto comunque che NON fonderò una corrente. Grazie.

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Tre considerazioni a caldo. E che caldo

Faccio anch’io qualche considerazione a caldo e senza pretese di completezza su questo straordinario risultato elettorale, dal mio punto di vista che conoscete: appassionatamente del Pd, appassionatamente non renziana, appassionatamente non disposta a cambiare facilmente idea. Ma oggi davvero complimenti a Matteo Renzi e al gruppo dirigente del Pd, prima di tutto. Detto questo.

1) Non è la vocazione maggioritaria 

Questo incredibile 40,8 per cento non è il realizzarsi della vocazione maggioritaria di Veltroni. Veltroni aveva in mente un bipolarismo compiuto e tendente al bipartitismo, l’Italia uscita dalle urne stanotte è l’opposto: un sistema politico che da un anno sbanda paurosamente perché si sta sgretolando uno dei due assi del bipolarismo imperfetto della seconda repubblica. Continua a leggere

Qualche dubbio sulla tattica, senza gufare. (Anzi)

1) Se la tua strategia è diffondere il panico su cosa succederà di terribile se Grillo arriva primo, perché continui a dire e a far dire che è già arrivato primo l’anno scorso, cosa peraltro che non è neanche vera?
2) Non sarà che a forza di alludere alle cose terribili che farà Grillo se arriva primo, anzi se non gli diamo un distacco di almeno enne punti, legittimiamo Grillo e quasi lo obblighiamo a prendere davvero qualche iniziativa contro il governo nel caso davvero arrivi primo o con un distacco di meno di enne punti?
3) Non sarà che l’arma “se non vinciamo si va alle elezioni” è un tantino evidentemente spuntata, dal momento che se non vinciamo vuol dire che ha vinto qualcun altro (per non parlare del fatto che non ci sono né una legge elettorale né un presidente che scioglierebbe le camere)?
4) Non è che continuare a dire che l’anno scorso il “Pd di qualcun altro” ha perso (cosa che peraltro non è neanche vera) rischia di far scappare qualche voto che invece sarebbe meglio se restasse? Perché il Pd è sempre il nostro Pd, è di tutti noi. No?

Lo dico perché io son felice se vinciamo.

Ciampino, che qualcuno tassista

(I fatti e le parole sono in tondo, i pensieri in corsivo)

Ciampino, nove di sabato sera. Sono un po’ stanca, ho fame e ho i tacchi, per cui penso senza neanche ragionarci troppo lucidamente: taxi. “Dove deve andare signò?”. Quando ti chiedono dove devi andare prima di farti salire, tu comincia a diffidare. Mi indica una collega, tassista donna, lei dice: “Hai spiegato alla signora?”. “No, la cliente è tua, spiega tu”. Ti cede a un’altra e c’è qualcosa da spiegare. Stai in guardia.
“Signò – fa la tassista – l’Appia è tutta bloccata”. “Evabè”, ci dovrò andare a casa in qualche modo. “Signò, c’è la notte bianca dei musei”. Musei sull’Appia?. “Evabè”. Fammi salire no? Da quando a Roma cerchiamo motivazioni culturali per giustificare il traffico? “Non ha capito signò, bisogna fà cor tassametro, se lei accetta”. Fa il gesto che posso salire. “Cosa? No”. “Cor tassametro signò, è tutto bloccato”. Ha capito che forse non abbocco, ma ormai tiene il punto. E però non sa che a me ormai mi è venuta l’ira, quella funesta proprio del Pelide Achille. “Cioè, se la tariffa fissa conviene a voi si va a tariffa fissa, se la tariffa fissa conviene a noi si va col tassametro?”. Guardali, gli altri tassisti intorno. Impassibili. Facce di marmo. Basterebbe che uno di voi. Stronzi. “Stasera è così, signò”. “Mi deve portare a casa per trenta euro. Mi ci porta o no?”. “No”. “Ciao”.
Svolto l’angolo. E adesso? Boh. C’è un pullman con scritto TERMINI. Mi avvicino dubbiosa, e mo’ questo lo sai quando parte. “Ha il biglietto signora?”. “No”. “Quattro euro. Salga che stiamo andando”.
Un po’ di traffico verso San Giovanni, non più del solito. Mezz’ora dopo ero a casa, bè quasi. Dico ma si può essere più avidi, arroganti e oltretutto stupidi? Dico ma chi la salva questa città? Dico, domani mi faccio un regalo: un regalo da ventisei euro.

Caro Menichini, quanta propaganda (quando è troppo è troppo)

Questo articolo è uscito su Europa del 26 aprile 2014

Caro direttore,
Sarà che è il 25 aprile, o più modestamente sarà che quando è troppo è troppo: e il tuo editoriale di ieri, semplicemente, è troppo. Un politico può fare tutta la propaganda che vuole, ma un giornalista non può avallare e trasmettere ai suoi lettori l’idea che sia in corso uno scontro tra sostenitori del senato non elettivo (cambiamento) e sostenitori del senato elettivo (mantenimento del bicameralismo perfetto, salvaguardia dello stipendio e di tutto lo status quo): semplicemente perché non è così. La proposta Chiti non difende il bicameralismo perfetto e neanche l’elezione diretta dei senatori alle elezioni politiche com’è oggi; riduce il numero dei parlamentari in maniera ancora più incisiva della proposta Boschi e differenzia le competenze tra le due camere. Ma non mi interessa, perché non saprei e non voglio dire se sia meglio adottare un altro testo o emendare quello del governo. Sono valutazioni che spettano ad altri, e che altri faranno con più competenza. Certo che dipingendo la questione come fai tu diventa facile poi dire che “laggente lo vuole”, non trovi? (A proposito: tu conosci Vannino Chiti come lo conosco io. Davvero riesci a scrivere restando serio che si tratta di un uomo che “cerca visibilità”? La mia ammirazione per te è già grande, ma nel caso ne sarebbe accresciuta). (Continua qui)

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Gente un po’ brilla

“La Costituzione è quella cosa che i paesi si danno quando sono sobri, per quando saranno ubriachi. E qui in Italia, in questo momento, mi sembra che ci sia un sacco di gente un po’ brilla”.

(Sandra Bonsanti cita Gustavo Zagrebelsky sul Corriere di oggi. Non essere mai stata una seguace acritica dei “professoroni” di Repubblica, e anzi pensare che alcune delle cose che stanno succedendo i suddetti professoroni – e la suddetta Repubblica – se le meritano, non mi impedisce di trovare questa analisi del momento che viviamo davvero, davvero, molto lucida e sobria).

Carrai? Verdini? Ma non le fa il governo, le nomine?

Meno male che sono finiti i tempi di quell’orribile e vecchia partitocrazia. Perché sono finiti, vero?
Così leggo su Il Tempo di oggi, a firma Filippo Caleri:

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