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Ciampino, che qualcuno tassista

(I fatti e le parole sono in tondo, i pensieri in corsivo)

Ciampino, nove di sabato sera. Sono un po’ stanca, ho fame e ho i tacchi, per cui penso senza neanche ragionarci troppo lucidamente: taxi. “Dove deve andare signò?”. Quando ti chiedono dove devi andare prima di farti salire, tu comincia a diffidare. Mi indica una collega, tassista donna, lei dice: “Hai spiegato alla signora?”. “No, la cliente è tua, spiega tu”. Ti cede a un’altra e c’è qualcosa da spiegare. Stai in guardia.
“Signò – fa la tassista – l’Appia è tutta bloccata”. “Evabè”, ci dovrò andare a casa in qualche modo. “Signò, c’è la notte bianca dei musei”. Musei sull’Appia?. “Evabè”. Fammi salire no? Da quando a Roma cerchiamo motivazioni culturali per giustificare il traffico? “Non ha capito signò, bisogna fà cor tassametro, se lei accetta”. Fa il gesto che posso salire. “Cosa? No”. “Cor tassametro signò, è tutto bloccato”. Ha capito che forse non abbocco, ma ormai tiene il punto. E però non sa che a me ormai mi è venuta l’ira, quella funesta proprio del Pelide Achille. “Cioè, se la tariffa fissa conviene a voi si va a tariffa fissa, se la tariffa fissa conviene a noi si va col tassametro?”. Guardali, gli altri tassisti intorno. Impassibili. Facce di marmo. Basterebbe che uno di voi. Stronzi. “Stasera è così, signò”. “Mi deve portare a casa per trenta euro. Mi ci porta o no?”. “No”. “Ciao”.
Svolto l’angolo. E adesso? Boh. C’è un pullman con scritto TERMINI. Mi avvicino dubbiosa, e mo’ questo lo sai quando parte. “Ha il biglietto signora?”. “No”. “Quattro euro. Salga che stiamo andando”.
Un po’ di traffico verso San Giovanni, non più del solito. Mezz’ora dopo ero a casa, bè quasi. Dico ma si può essere più avidi, arroganti e oltretutto stupidi? Dico ma chi la salva questa città? Dico, domani mi faccio un regalo: un regalo da ventisei euro.

Caro Menichini, quanta propaganda (quando è troppo è troppo)

Questo articolo è uscito su Europa del 26 aprile 2014

Caro direttore,
Sarà che è il 25 aprile, o più modestamente sarà che quando è troppo è troppo: e il tuo editoriale di ieri, semplicemente, è troppo. Un politico può fare tutta la propaganda che vuole, ma un giornalista non può avallare e trasmettere ai suoi lettori l’idea che sia in corso uno scontro tra sostenitori del senato non elettivo (cambiamento) e sostenitori del senato elettivo (mantenimento del bicameralismo perfetto, salvaguardia dello stipendio e di tutto lo status quo): semplicemente perché non è così. La proposta Chiti non difende il bicameralismo perfetto e neanche l’elezione diretta dei senatori alle elezioni politiche com’è oggi; riduce il numero dei parlamentari in maniera ancora più incisiva della proposta Boschi e differenzia le competenze tra le due camere. Ma non mi interessa, perché non saprei e non voglio dire se sia meglio adottare un altro testo o emendare quello del governo. Sono valutazioni che spettano ad altri, e che altri faranno con più competenza. Certo che dipingendo la questione come fai tu diventa facile poi dire che “laggente lo vuole”, non trovi? (A proposito: tu conosci Vannino Chiti come lo conosco io. Davvero riesci a scrivere restando serio che si tratta di un uomo che “cerca visibilità”? La mia ammirazione per te è già grande, ma nel caso ne sarebbe accresciuta). (Continua qui)

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2011, un anno sulla rete

Ogni giorno che passa la rete offre nuove opportunità a chi fa comunicazione. Per noi di Youdem il 2011 – l’anno del boom di twitter, della crisi del “miracolo” wikipedia, dell’irrompere delle notizie nate sui social network nei media tradizionali – è stato pieno di novità e di stimoli. Restiamo una televisione satellitare, ma sempre più dalla rete raccogliamo idee e usiamo la rete per far viaggiare, in pillole, le idee che produciamo. Da ultimo, con l’esperimento del “Diario della manovra”, utilizzando il software Storify, abbiamo provato a integrare tutte le risorse che una grande piattaforma digitale – probabilmente la più grande nel suo genere, in Italia e non solo – come quella del Pd può offrire: i video di Youdem, i materiali del sito, i tweet dei parlamentari. Bilancio positivo: abbiamo fatto informazione in modo nuovo e utile allo scopo, che era di raccontare con assoluta trasparenza il lavoro del Pd in parlamento sul decreto Salvaitalia. Da ripetere. Continua a leggere

Perché il Pd non piace ai giornali (non è perché non sa comunicare)

Perché il Pd non piace ai giornali? Alfredo Reichlin ha posto ieri il tema con la solita brutale lucidità: sta diventando un problema di democrazia, non di giornalismo. Non si tratta di recriminare, ma di constatare: il contrasto tra la realtà del Pd e la narrazione mediatica sul Pd comincia a essere un fenomeno su cui è difficile soprassedere. Parliamo di quello che da diversi mesi è stabilmente il primo partito italiano. Che ha visto uscire dalla scena il suo principale e ormai storico avversario, e oggi fronteggia un centrodestra sbandato e in difficoltà. Che ha vinto le ultime tornate elettorali. Il cui elettorato mostra di capire la scelta difficile e responsabile di sostenere un governo di emergenza. Fin qui la realtà, poi c’è appunto la narrazione. Continua a leggere

Conversazione con Beppe Vacca sulla Dc

Parlare della Dc nella storia d’Italia non è diverso che parlare con lui del Pci. Anche se l’intervista fosse su Togliatti, lui parlerebbe di De Gasperi, e viceversa. In un tutto che non è sincretismo o semplificazione: ma è l’Italia, vista da Beppe Vacca. Il direttore dell’Istituto Gramsci ha una lettura “forte” della storia di questo paese. Maturata, e non manca di ricordarlo, insieme a Pietro Scoppola nel corso di quella che fu una vera alleanza accademica – e di una grande amicizia – nate a metà degli anni Settanta. Prima di cominciare mette idealmente in fila i libri che considera fondamentali sul tema: “La proposta politica di De Gasperi”, di Scoppola, “l’Italia dal 1943 al 1992” di Roberto Gualtieri e “L’impossibile egemonia” di Silvio Pons”. “E poi c’è Giovagnoli. Naturalmente io cominciai a studiare la Dc usando la categoria dell’egemonia – spiega –. Per noi la storia è storia politica, analisi dei processi decisionali, come si dice nella cultura anglosassone, o se volete appunto dei rapporti di forza”. Continua a leggere

Non è a destra il posto dei cattolici (e alla Chiesa conviene il pluralismo)

La sensazione è che la chiesa pagherà: non per il silenzio di questi giorni, che sempre più insistentemente le viene rimproverato anche da pulpiti non titolatissimi, ma per la strategia di questo ventennio. Il lungo crollo del berlusconismo lascia veleni e macerie dai quali nessuno sarà risparmiato; e più sarà lungo, quel crollo, e più farà danni. Si logora l’opposizione, che proprio per aver visto e denunciato da anni – con accenti diversi e differenti ragioni – gli errori e le vergogne del sistema imperante, ora rischia paradossalmente, invece di raccogliere i frutti, di apparire una cassandra impotente e lagnosa. Si logora l’establishment economico, intellettuale, giornalistico che in questi anni non s’è guadagnato i titoli per dire adesso ciò che ha troppo a lungo taciuto. Si logora il senso civico e l’amor proprio degli italiani, perché alla fine puoi dare la colpa all’establishment e alla sinistra, ma devi ammettere che Berlusconi al potere ce l’abbiamo mandato, e così a lungo conservato, noi cittadini con il nostro voto, nella crescente incredulità del mondo. Continua a leggere

La Cei prima del ruinismo

C’è chi ai suoi tempi vestiva alla marinara, chi la sera andava in via Veneto, e c’è anche chi leggeva La Chiesa italiana e le prospettive del paese. Quella piccola citazione nella prolusione di monsignor Bagnasco (intervento di apertura dei lavori dell’assemblea permanente della Cei, pronunciato qualche giorno prima), il famoso discorso sull’«Italia che guarda sgomenta», ha fatto drizzare parecchie antenne. E non solo per la nettezza della frase prescelta, praticamente una sentenza sulla società contemporanea, e una sentenza con un preciso colpevole: «Il consumismo ha fiaccato tutti». Continua a leggere

E no, sul testamento biologico il Pd non si è diviso

Non che ci sia niente da festeggiare, visto che la legge sul testamento biologico (appena approvata in via definitiva a Montecitorio) è brutta e sbagliata.

E tuttavia, a costo di urtare la sensibilità stessa di tanti democratici oggi arrabbiati e delusi, va detto: in questo passaggio il Pd ha segnato un punto positivo. È un paradosso amaro, ma da non nascondersi. Perché è nell`interesse dell`Italia che il Pd vinca la sua scommessa iniziale, quella di far incontrare credenti e non, culture e storie diverse, e in questo incontro dar vita a soluzioni.che durino nel tempo e non inchiodino gli italiani a un bipolarismo etico sterile e incattivito. Continua a leggere

Io, la nonna Andreina, De Gregori e Ruini (nel ventennio berlusconiano)

Quasi vent’anni fa, quando avevamo più o meno vent’anni, non era stato difficile scegliere e decidere che no, Berlusconi no. Insomma, bene o male avevamo dei genitori, avevamo avuto dei nonni. Mia nonna Andreina quando ero piccola mi diceva: “Lo vedi quello, è un comunista. Ma un comunista come ci vorrebbero tanti democristiani”. Una brava persona, insomma. Mia nonna cantava Biancofiore. Bandiera rossa no, non credo, ma Fischia il vento infuria la bufera ce l’aveva insegnata. Continua a leggere

Un anno a Youdem, le cose che ho imparato

Mancavano pochi giorni a Natale, un anno fa, quando arrivò la nominescion: “Il segretario dice se ti va di venire a dirigere Youdem”. Per andare a regime a dire il vero poi bisognò aspettare marzo (elenco delle cose che ho imparato in un anno al Pd, 1: per fare le cose al Pd ci vuole il suo tempo). Youdem, la creatura di Veltroni, tv satellitare nata in pochi giorni un anno prima facendo alzare più di un sopracciglio. Si narra, e chissà se è leggenda, che qualche ultrà bersaniano, in campagna congressuale, l’avevano ribattezzata perfidamente Chiudem, tanto per capirci. Ma diventato segretario, Bersani aveva deciso l’opposto (elenco delle cose che ho imparato in un anno al Pd, 2: il segretario decide da solo, e quando ha deciso ha deciso). Continua a leggere