Rottamare il telefono: un caso di psicopolitica

Scrive sul Foglio* l’ottimo David Allegranti – ed è uno scooppettino divertente, perché molto si è parlato nei giorni scorsi di messaggi e mail a cui l’ex premier non risponde – che Matteo Renzi, dopo le dimissioni, ha cambiato telefono. Nel senso di numero, ovviamente. Allegranti, che è giornalista accurato e attento, riporta anche il commento della sua fonte, un anonimo senatore renziano: “È normale – dice dunque il parlamentare – dopo una sconfitta”.

Ecco, io penso che su queste cinque righe di articolo bisognerebbe scrivere diversi tomi scientifici. Non ho ancora deciso però la materia: di psicologia o di politica. Sono incerta, per dire, tra la valutazione comportamentale di un individuo adulto che, dopo aver subito una plateale smentita, decide di rendersi irrintracciabile a tutti coloro a cui non ha voglia di parlare e quella di chi, chissà se richiesto del suo parere, si affretta a definire questa reazione “normale”.

Tuttavia trovo interessante anche l’aspetto politico. Il Pd per dire potrebbe seguire l’esempio del segretario. Cambiare numero del centralino al Nazareno, sostituire quelle vecchie mail @partitodemocratico.it, fare magari anche un nuovo sito che renda inaccessibili tutti i contenuti del vecchio (l’hanno anche già fatto, sanno come si fa). Potrebbe togliere l’amicizia su facebook a tutti quelli che hanno votato no, magari bannarli: mica solo ai parlamentari, quello lo stanno già facendo (vi siete accorti no che fanno finta che Bersani e Speranza non esistano, non gli dicono le cose, parlano di “segreteria unitaria” come se loro non ci fossero, se li dimenticano quando consultano i capicorrente?) ma proprio gli elettori. Potrebbe cambiare le password e le pic, sostituire le facce di chi va in tv (qui in verità li vedo un po’ lenti a reagire), farsi crescere la barba, chi può, o tagliarsela, chi ce l’ha.

A quel punto il Pd sarebbe pronto alle urne, atteso da una vera marcia trionfale. Come slogan elettorale consiglio: “Siamo fichissimi. Tutti quelli con cui parliamo ce lo dicono”.

Per l’inno della campagna, andrei sul collaudato: Ivano Fossati. Ascoltate bene il testo: contiene spunti interessanti.

* mi scuso per aver pubblicato un link disponibile solo per gli abbonati al Foglio, ma è giusto rispettare la politica del giornale.

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