Ho scritto questo per i giornali locali del gruppo l’Espresso (Il Tirreno, La Gazzetta di Mantova, Il Mattino di Padova, Il Piccolo, Il Centro, La Gazzetta di Reggio, La Gazzetta di Modena, Alto Adige, Il Trentino, Il Messaggero Veneto, La Nuova Sardegna, La Nuova Venezia, La Città di Salerno e altri)
Too close to call. A poche ore dalla chiusura delle liste, e a un mese esatto dal voto, diversi sondaggi (Tecné, Ixé, Ipsos e altri, reperibili anche su internet) fotografano una situazione incerta e scientificamente non prevedibile. Nelle due “capitali” di questa tornata amministrativa, Roma e Milano, nessuno azzarda previsioni. A dire il vero, le cose stanno in modo molto diverso: a Milano si profila una sfida tradizionale, con un ballottaggio incertissimo tra centrodestra e centrosinistra; a Roma nessuno mette in dubbio la partecipazione di Virginia Raggi al secondo turno; è dietro di lei che, nello spazio di un paio di punti percentuali, combattono al buio il candidato del Pd e i due esponenti di una destra divisa.
Sono solo sondaggi, e in un mese molto può ancora cambiare. Questi dati ci dicono però già parecchie cose sullo scenario di queste elezioni. Sul piano politico generale, al momento è evidente un affanno del Pd, un trend in leggera ma costante crescita dei grillini e la tendenza della destra, nonostante una crisi politica profondissima, a ritrovare nell’emergenza qualche capacità di ricompattarsi (la rinuncia di Passera, il ritiro di Bertolaso). Il Pd – oggettivamente provato da una micidiale serie di disavventure giudiziarie, ma forse anche svantaggiato da una gestione politica a dir poco distratta (gli incontri con Verdini negati e poi ammessi, il territorio abbandonato, vedi i casi di mancata presentazione delle liste in Calabria e le liti sul simbolo e sulle candidature in Campania) – segna il passo sul piano nazionale. E come già le amministrative dell’anno scorso avevano dimostrato, si mostra nudo e solo, senza interlocutori per allargare il suo campo, in vista dei ballottaggi.
Sul piano locale, interessantissimo e paradossale è il caso Milano. Qui Renzi aveva scelto con Beppe Sala, salvo ratifica delle primarie, il campione del partito della nazione. Un candidato trasversale, poco caratterizzato a sinistra, senza curriculum di partito, con fama di manager di successo. La scommessa era che una destra divisa ed egemonizzata dal leghismo non riuscisse a esprimere un avversario plausibile: ma non è andata così. Un candidato dalle caratteristiche molto simili a Sala, Stefano Parisi, ha riportato la sfida sui binari tradizionalissimi dello schema bipolare, dando anche prova di una certa abilità politica nell’operazione di “recupero” di Passera. C’è da dire che pure il centrosinistra milanese, facendo tesoro dell’esperienza della giunta Pisapia, ha dimostrato di avere più anticorpi di altri contro il visus della divisione. Risultato, appunto, paradossale: a Sala tocca correre a coprirsi a sinistra per tenere con sé (e lontani dall’astensione) tutti gli elettori che fecero vincere Pisapia, mentre è Parisi che – pur zavorrato da Salvini e Berlusconi – sembra muoversi a tutto campo con più agilità e disinvoltura. Il candidato di Grillo non sembra competitivo. Risultato, appunto: too close to call, incertezza assoluta su chi vincerà il ballottaggio.
A Roma, al contrario, è il Movimento 5 stelle che ha in mano le briscole. È la prima volta, fra l’altro, che una candidata locale dimostra di avere un gradimento proprio, non legato alla popolarità di Grillo o al voto di protesta in astratto e di avere qualche punto percentuale in più della lista M5S, che è il contrario di quanto avviene di solito. Sarà interessante vedere se Raggi sarà in grado di non dissipare l’impressione positiva suscitata dalla sua candidatura, impressione che sembra essere stata favorita da una campagna molto aggressiva sul piano personale da parte del Pd. In un eventuale ballottaggio, e qui torniamo a quanto detto sopra sull’isolamento del Pd, sarebbe Giachetti l’avversario meno competitivo; mentre Giorgia Meloni se la giocherebbe quasi alla pari e Alfio Marchini sembra avere qualche capacità di incursione, al secondo turno, nel campo del Pd. Che sia proprio lui, l’erede di Alvaro che costruì e donò al Pci le Botteghe oscure, il vero campione del partito della nazione? Questo, forse, per Renzi sarebbe veramente troppo. Ma chissà.