Colpirne uno per educarne centouno

Io penso che non votare la fiducia a un governo sostenuto dal proprio partito sia un fatto grave. Lo dicevo quando a dirlo ci si prendeva di “stalinista” e si alimentava l’indignazione degli indignati che occupavano i circoli (ma dove sono finiti, a proposito?) e lo dico anche adesso. Penso che sia giusto che il gruppo del senato (ecco, il gruppo del senato magari, non la segreteria pd cioè lo staff del segretario) si riunisca e valuti eventuali conseguenze politiche di quanto è avvenuto sul Jobs act.
Lo dico anche perché ho molti amici che in nome di questo hanno votato la fiducia a un testo di legge che non era in nessun programma elettorale, che va contro le loro idee e i loro principi e che non hanno avuto neanche la possibilità di discutere, e non vorrei essere al loro posto. Lo dico anche perché, fossi stata al loro posto, probabilmente anch’io avrei votato la fiducia, dato che penso che è troppo comodo salvarsi l’anima da soli.
Detto questo, però, questo delirare stentoreo di “punizioni esemplari” quando non addirittura di “colpirne uno per educarne cento” penso che dovrebbe far riflettere un pochino. Anche perché, considerando i pulpiti da cui vengono le prediche, è difficile dire se certe minacce siano più agghiaccianti o più ridicole. Come sa chiunque in questi anni non dico abbia voluto un po’ bene al Pd, ma almeno abbia letto qualche giornale. E conservi un minimo di memoria e raziocinio anche in questi tempi di arroganza smisurata e conformismo vigliacco.

7 Responses to Colpirne uno per educarne centouno

  1. Mi trovo molto in sintonia con questo post

  2. nonunacosaseria

    non credo di essere uno che ripete le stronzate che girano su twitter (e lo sai benissimo!) e sul mio blog ho difeso tante volte il fatto che il PD sul lavoro aveva delle proposte e quelle dovevano essere il riferimento, non ho certo cambiato idea.
    allora, io mi rifaccio alle proposte del maggio 2010, perché sono quelle indicate nel programma delle politiche 2013 (su come (non) fu condotta quella campagna elettorale la penso diversamente da te, lo sai, ma non è di questo che vorrei parlare; così come non vorrei parlare dell’uscita di ichino dal PD, ché altrimenti si finisce lontano).
    in quel testo non si parla di tutele crescenti né di contratto unico di inserimento, però si parla – a un certo punto – della “migliore flexsecurity europea”. che, messa così, vuol dire tutto e vuol dire niente. anche perché poi si entra nel dettaglio con una serie di proposte (molte delle quali personalmente le condivido pure) che con la flexsecurity c’entrano poco o niente. ma che danno la possibilità a ichino di riconoscersi nel documento e a damiano di dire “la mia posizione è quella giusta”.
    io credo, molto semplicemente, che ora i nodi stanno venendo al pettine e chi si vuole incuneare in queste lacune lo può fare in modo pure assai agevole e resto convinto che se quattro anni fa il PD avesse sposato il progetto boeri-garibaldi oggi non ci sarebbe questo dibattito.

    • Le proposte boeri Garibaldi sono state sempre apprezzate (da bersani anche di recente). Tuttavia il pd che piaceva a me aveva l’ambizione di costruire lui le sue proposte, non di fare la tifoseria di due rispettabilissimi professori. Il pd aveva proposte sue, che a suo tempo e nelle condizioni date sarebbero diventate leggi, e tra queste non c’è mai stata l’abolizione dell’articolo 18. Tu sostieni che c’è stata ambiguità ma io insisto: no, non c’è stata. Sicuramente non su questo punto. Mai.

  3. nonunacosaseria

    sul jobs act la direzione PD ne ha discusso, in realtà. è stata la prima volta in nove mesi che c’è stata una discussione in una direzione del PD (e infatti mi è rimasta impressa per quello), ma ne ha discusso. non ne hanno discusso i circoli, ma questo si sapeva fin dall’anno scorso che, con la vittoria di renzi, i circoli sarebbero diventati semplici strumenti per attacchinaggio e frittura di patatine alle feste di partito.
    credo anche che molti dei problemi di coscienza di oggi derivino dal “non detto” di ieri. ossia, del contratto a tutele progressive si parla da anni ed era nel programma di civati, lo voleva ichino, nerozzi ci aveva pure fatto un progetto di legge. peccato che per anni ci siamo fermati solamente ai titoli di testa e nessuno si è preso la briga di approfondire il fatto che, sotto la stessa definizione, ognuno chiedeva cose piuttosto diverse e, per dire, le tutele progressive di boeri e garibaldi non sono le tutele progressive di ichino. nessuno si è preso la briga di approfondire intendo nel partito, eh. e anche questo spiega tanto del successo di renzi e dei fallimenti di chi lo ha preceduto.

    • Sinceramente non mi pare che sia come dici riguardo al dibattito nel pd sul lavoro. Sulle tutele crescenti tutto il pd è sostanzialmente d’accordo, e infatti non c’è stato alcun problema su questo. Di lavoro il pd in questi anni ha discusso moltissimo, in vari appuntamenti non solo nazionali e con tutte le realtà rappresentative (non solo i tre sindacati). È sull’articolo 18 che il pd è sempre stato contrario all’abolizione, tranne alcune posizioni isolate. Non è mai stata in nessun programma del pd l’abolizione dell’articolo 18, nemmeno in quello di Renzi alle primarie.
      Sono d’accordo con te sul bel dibattito in direzione. Peccato che poi l’emendamento del governo, presentato prima ancora che iniziasse la discussione generale in aula, non ha nemmeno raccolto la sintesi di quel dibattito.

      • nonunacosaseria

        quel che dici è vero.
        io mi riferisco soprattutto al fatto che sulle “tutele crescenti” siam tutti d’accordo forse anche perché non si è approfondito quali fossero queste “tutele crescenti”: ichino, per es., si ferma un po’ prima di boeri e garibaldi che si fermano un po’ prima di nerozzi. è un po’ come la legge delega: intanto si fa la cornice, il quadro verrà poi. è come quando bersani diceva “bisogna mettere un po’ di lavoro” e non entrava nel merito.
        le proposte del PD sul lavoro approvate nel 2010-11 rientravano in questo concetto. ognuno le interpretava come gli pareva e infatti anche dalle mie parti c’erano senatori ultrarenziani che si davano un gran daffare per organizzare convegni in cui ichino illustrava le sue idee sul lavoro e sull’art. 18 e se il partito non partecipava a quei convegni (i soliti convegni che oggi vengono tanto demonizzati e additati come esempio di sinistra che parla parla parla e non decide) si urlava al “centralismo democratico” o giù di lì.

        • No, guarda. Se vuoi andare d’accordo con me non puoi limitarti a ripetere le stronzate che girano su Twitter e le scemenze dei giornalisti da divanetto. Bersani non diceva “un po’ di lavoro” e nel merito ci entrava eccome. Il pd aveva discusso e approvato paginate di documenti e di proposte sul lavoro, ci sono state due conferenze nazionali sul lavoro, un’assemblea nazionale ha votato le proposte del pd e ci si riconoscevano sia nerozzi che gli altri parlamentari. Ichino era per l’abolizione dell’articolo 18 e il pd no, e per questo Ichino è uscito dal pd: su questo c’era poco da interpretare, eppure nessuno l’ha buttato fuori.

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