Monthly Archives: June 2014

Perché vanno viste le carte di Grillo

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Premesso che Sebastiano Messina, su Repubblica di oggi, ha mostrato in maniera sintetica e geniale la strumentalità delle aperture grilline sulla legge elettorale,

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penso che il Pd farebbe un errore gravissimo a snobbare la richiesta di un incontro con il Movimento 5 stelle. Non condivido né la liquidazione preventiva con cui aveva risposto sere fa il presidente del consiglio – ok all’incontro ma facciamolo in streaming perché noi non vogliamo fare “giochini e patti segreti”, né i paletti più ragionati posti oggi sul Messaggero dal presidente del partito Matteo Orfini, che pur definendosi “l’ultimo dei proporzionalisti” premette a qualsiasi confronto il concetto che “l’Italicum non si discute”. Penso che questo atteggiamento sia sbagliato e pericoloso, per le riforme e per il Pd.

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Il nome della Festa, il lapsus di Matteo

Tanto per dire: ho scritto fiumi d’inchiostro sulla questione del nome delle feste del nostro partito, anche perché lavoravo in un giornale che sentiva molto il tema che non si chiamassero feste dell’Unità, dato che era il giornale della Margherita. Una volta anche Gianni Cuperlo scese a tenzone con me, replicando a un mio articolo: io giovane giornalista, lui sempre il solito signore: devo ritrovare traccia di quello scambio, perché vi giuro non ricordo né gli argomenti miei né i suoi, e la cosa mi fa sorridere di tenerezza a ripensarci proprio oggi. Nel tempo infatti ho relativizzato parecchio la questione. Sono stata a mio agio e mi sono sentita a casa mia in feste che si chiamavano “Democratiche”, “dell’Unità” o anche in altri modi. Ricordo quindi solo per inciso che quelli che in questi anni mi hanno invece continuato a controbattere che no, la questione era importante e che la “discontinuità” col passato andava assolutamente marcata, sono tutti, TUTTI, sostenitori di Renzi fin dalla prima ora. Sarei curiosa di chiedergli cosa pensano adesso, ma anche no (è già successo sul tema ben più importante dell’adesione al Pse che coloro che si sarebbero dati fuoco fino a due mesi prima abbiano approvato senza fiatare, figuriamoci su questo).

Però una cosa sola, rapida, poi ci torno. Dire “le nostre feste tornino a chiamarsi feste dell’Unità” è una vera mistificazione, una bugia e come tale una mancanza di rispetto. Quel “prima”, in cui le nostre feste si chiamavano dell’Unità, non esiste. Le feste del Pd si chiamavano Democratica, quella nazionale, e Democratiche in genere quelle locali con alcune eccezioni, illustre quella di Roma. Se poi parliamo delle feste a cui andavamo Matteo e io con i nostri babbi da bambini, quelle si chiamavano feste dell’Amicizia. Ne ricordo una nazionale a Viareggio, magari c’era anche Matteo piccolino. Comunque io sono cresciuta coi testaroli fatti a mano delle feste dell’Amicizia in Lunigiana, e coi tordelli della mitica festa dell’Amicizia di Bedizzano. Torniamo a chiamare le cose col loro nome, altro che “tornino a chiamarsi”.

Non mi preoccupa tanto che Matteo Renzi abbia dei lapsus o dica qualche bugia, figuriamoci. Mi preoccupa quello che il lapsus o la bugia rivelano: l’idea cioè di un Partito democratico dove la sinistra ha la delega alla paccottiglia politica e alla cura dei simboli, ed è pure contenta. Intanto che altri si occupano della linea politica, della gestione del potere, di prendere voti, di cambiare l’Italia. In quel tipo di sinistra del Pd, ve lo dico, io non mi riconosco, e nemmeno eventualmente in quel tipo di Pd. Nemmeno se mi regalano la maglietta di Togliatti. A proposito, complimenti e in bocca al lupo al mio amico Matteo (Orfini).

Esercizi di spirito critico (anche per principianti)

1) Chiedersi SEMPRE “ma se l’avesse fatto Berlusconi”.
2) Chiedersi ALMENO OGNI TANTO “ma se l’avesse fatto Bersani”.

Stavo giusto pensando, per mantenermi in esercizio, a cosa sarebbe successo se nella scorsa legislatura il Pd avesse gentilmente sollevato dall’incarico qualche senatore raccoglifirme alla Ichino o qualche scioperatore della fame alla Giachetti, uno che sta in minoranza anche quando è in maggioranza, o qualsiasi altro renziano, veltroniano, fioroniano, mariniano, civatiano o altro a piacere. Proprio in quel momento ho visto questo tweet di una persona onesta, onesta di pensiero intendo, come Andrea Sarubbi.

Ps: commento critico sull’esercizio di spirito critico.
Bisognerà comunque chiedersi come si sta in una commissione parlamentare da esponente di un gruppo e non da singolo. Voglio dire che io non sono sicura di riconoscermi in pieno nell’atteggiamento di Corradino Mineo, dato che penso che un partito debba essere un soggetto politico e non uno spazio per individualismi dei singoli, e che un senatore in una commissione non rappresenti solo se stesso e le proprie opinioni. Tuttavia vorrei ricordare che prima di cacciare la gente forse varrebbe la pena provare a convincerla, non sia mai magari anche a convincersi reciprocamente. Anche perché, ricordo, Ichino e compagnia si dissociavano da testi approvati a maggioranza negli organismi dirigenti del loro partito, Mineo si oppone a un testo che nemmeno il ministro competente, oggi come oggi, sa dire bene qual è.

Se ci vedesse Berlinguer

Chiacchieravo poco fa con amici provenienti dalla filiera Pci, per via di percorsi personali o ascendenze familiari, di questa ondata di commozione e di devozione quasi, di questa bellissima festa che è in corso sui social in memoria di Enrico Berlinguer; e m’è tornato in mente un episodio che mi raccontò anni fa un noto ministro con la barba di cui non farò il nome (non è Delrio). Negli anni Ottanta, dunque, un gruppo di giovani della sinistra Dc fondarono una rivista settimanale. In onore di Zaccagnini, loro riferimento politico, decisero di chiamarla “Settantasei” (l’anno in cui Zac era diventato segretario). Quando Zaccagnini lo seppe, si incazzò moltissimo e disse che lui detestava questi “eccessi di personalizzazione”.
Non so bene che associazione di idee ho fatto. Ma è che quest’anno ci sono tanti anniversari, e io ho molto tempo libero. L’altro giorno sono stata alla presentazione della bellissima biografia di Piersanti Mattarella scritta dal mio amico Giovanni Grasso, ieri ero alla presentazione del francobollo commemorativo voluto dal governo su Berlinguer, e Beppe Vacca ha detto che a quanto pare Berlinguer è un’icona social: nel senso la sua foto è l’immagine politica più postata sui social network (subito dopo, Gramsci e Pertini). “E questo qualcosa vorrà dire”, ha detto. Già, ma cosa?
In quel momento ho avuto una sensazione, una sensazione che mi viene spesso ultimamente, non so se l’avete presente. È come se sentissi che siamo lì, commossi, a celebrare una politica che rimpiangiamo tanto. E che se oggi qualcuno la facesse, sarebbe sommerso dai pernacchioni.

Erano i ballottaggi eh. Non le primarie

Agli analisti politici, professionali e da social network: va bene tutto, io capisco, ma non esagerate. Capisco tutto, capisco il conformismo e anche i gusti personali, capisco il tifo e anche lo spin che ricevete, e le pressioni interessate. E però c’è un limite, e il limite è che non si possono commentare i ballottaggi come se fossero le primarie del Pd. Mica per altro: perché non è così che funziona. Il Pd è un partito, un conto è quando fa le primarie e un altro conto è quando fa le campagne elettorali. Io per esempio, sappiate, sono stata a Bari con Bersani a sostenere Antonio De Caro. Gian Carlo Muzzarelli a Modena ha avuto i renzianissimi Stefano Bonaccini e Matteo Richetti sempre al suo fianco. A Livorno sono stati dirigenti molto renziani e di primissimo piano come Luca Lotti e Dario Nardella a sostenere Marco Ruggeri. E poi non è che potete dimenticarvi il primo turno su, sono passate solo due settimane: a Padova per esempio, sarà stato anche un referendum sulla precedente amministrazione, ma Zanonato quindici giorni fa in quella città ha preso la preferenza anche dai neonati. Suvvia ragazzi, sforzatevi un pochino di più, capisco analizzare le campagne elettorali senza muovere il sedere dal divano, ma almeno magari fate qualche telefonata. Lo dico per voi eh. Ci fate più bella figura.

Caro Lotti scusa, come fai a dire che Orsoni non è del Pd?

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Caro Luca Lotti, scusami tanto. Ma come fai a dire che Giorgio Orsoni non è del Pd? Orsoni, il sindaco di Venezia. Quello che ha vinto le primarie, sostenuto dal Pd. E poi le elezioni, al primo turno, sostenuto e festeggiato da tutto il Pd. Uno dei mitici sindaci del Pd, hai presente? Quelli che volete fare senatori, per il cambiamento. Ma ora lungi da me rinfacciartelo, figuriamoci.
Non eri tu, scusa, il Luca Lotti che in segreteria (segreteria Epifani) da responsabile Enti locali caldeggiava “primarie aperte, apertissime”, sottintendendo che “quelli di prima” l’altra volta non le avevano aperte abbastanza? Ecco, volevo chiederti: chi è del Pd allora scusa? Solo chi ha la tessera è del Pd adesso? E come mai allora anche chi non ce l’ha, la tessera, partecipa alle primarie per eleggere il segretario del Pd, dove uno vale uno, e il voto di Orsoni conta come il mio, e come il tuo? Orsoni, ricorderai, ha partecipato da sindaco di Venezia alle primarie per il segretario del Pd, schierandosi apertamente per Matteo Renzi, ma ora lungi da me rinfacciartelo, figuriamoci. È che mi domando, e non capisco, se ora improvvisamente per essere del Pd si debba essere iscritti, e allora perché mai chi non è iscritto decide chi dev’essere il nostro segretario, se non è del Pd. Hai detto che non è del Pd perché “non è mai venuto alla direzione”, ma ti ricorderai che anche Matteo, quando era sindaco di Firenze, alla direzione non ci veniva, pur avendone diritto. Alla “seduta di autocoscienza” anzi. Non ci veniva. Eppure Matteo era un sindaco del Pd no?

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