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Su Barca e i democristiani, per fatto personale (e politico)

Prima di tutto, la notizia: no, Fabrizio Barca non ha detto, alla festa dell’Unità di Roma, che la degenerazione del Pd romano è cominciata con l’arrivo dei democristiani (meno male!). Ha detto una cosa diversa, l’ha detta un po’ male, e successivamente, sorta la polemica, l’ha spiegata un po’ peggio. Mio malgrado la cosa mi ha un pochino riguardato, perché venerdì sera, lontana da Roma, visto qualche tweet risentito di amici conosciuti nel Partito popolare, mi ero allarmata e avevo approfittato di twitter per chiedere ai vertici del Pd romano e a Barca stesso cosa fosse realmente stato detto. Barca mi aveva gentilmente risposto, con frasi che il giorno dopo (senza che si ritenesse di citare le domande) sono finite su diversi giornali. Ma io, leggendo quelle risposte e quegli articoli, avevo capito anche meno, e avevo infine pubblicamente promesso che avrei ascoltato la registrazione; cosa che ho fatto immediatamente oggi, appena ripreso possesso del mio divano e di un wifi stabile.

Questa più o meno è stata la conversazione su twitter  Continua a leggere

Rassegna Quirinale/3: tutto chiaro

È lunedì, oggi poca roba. Ma per avere un’idea chiara su cosa sta succedendo, basta scorrere i titoli dei due principali quotidiani. Dopo lo strappo di Cofferati, questa è dunque la situazione nel Pd a dieci giorni dal primo voto per il Colle:

Corriere della Sera: “Renzi preoccupato, ma non dà spazio alla minoranza”.
Repubblica: “Renzi – Bersani, patto a due per scegliere il candidato”.

E con questo, direi che per oggi siamo a posto. (Vabbè).

Il mio stipendio online? Ce l’avete già messo

Leggo sui giornali di oggi che come ritorsione contro il voto di alcuni esponenti del Pd che ha mandato sotto il governo in commissione alla camera sulla riforma del senato, qualcuno nel partito pensa, cito, di “mettere online il bilancio delle segreterie Bersani ed Epifani, con relative spese e stipendi degli staff”. Lascio a ciascuno il giudizio sulla qualità di questi argomenti e di questi metodi per gestire un dissenso politico. Chissà cosa c’entrano “gli stipendi degli staff” con le scelte di voto di alcuni parlamentari sulla costituzione. Sull’argomento però ho qualcosa da dire, anzi tre cose: per fatto personale.

1) i bilanci delle segreterie Bersani ed Epifani sono già online, sul sito del Pd. Sono stati messi in rete senza che nessuno ne facesse richiesta subito dopo l’approvazione, alla fine di ogni anno di mandato del tesoriere Antonio Misiani, persona sulla cui correttezza non ho mai avuto un attimo di dubbio e che forse dovrebbe reagire, oggi, a queste insinuazioni.

2) per quanto riguarda il mio stipendio da direttore di Youdem, anche quello è già online da quel dì. Venne infatti reso pubblico insieme a quelli di altre persone che lavoravano al Pd (e non di altre, guarda caso) in seguito a un vero e proprio lavoro di dossieraggio. Fu una pagina disgustosa. Non tanto per l’attacco a me, che bene o male ero una dirigente con un ruolo anche “pubblico”. Ma perché finirono alla gogna anche lavoratori e lavoratrici colpevoli solo di lavorare nella segreteria di un dirigente antipatico a qualcuno. Ricordo la messa alla berlina del fatto che al Pd la presidente del partito, Rosy Bindi, avesse una piccola segreteria di due persone, visto che ne aveva già un’altra alla camera come vicepresidente, e “di conseguenza” la critica alle persone alle quali era stato assegnato il compito di lavorare in quella segreteria. Allora i doppi carichi erano considerati una bruttissima cosa, da additare al pubblico ludibrio.
Il mio era uno stipendio molto alto, e contro di me vi fu una campagna violenta sui social network e su alcuni giornali. Repubblica mi inchiodò a un titolo facendomi dire che lo ritenevo uno stipendio “normale”, in realtà io avevo detto – e nell’intervista era riportato chiaramente – che alla luce di quanto sapevo lo ritenevo uno stipendio in media con quelli di altri direttori di una testata giornalistica, per quanto piccola, a diffusione nazionale. Aggiungo che avevo volontariamente lasciato un posto di lavoro a tempo indeterminato da vicedirettore del quotidiano Europa che, a differenza di altri casi analoghi al mio, chissà perché a me e non ad altri aveva negato la possibilità di andare in aspettativa per lavorare per qualche tempo con il segretario del partito. A causa di questa scelta rischiosa, che mi esponeva senza garanzie alle incertezze della politica avevo chiesto al Pd uno stipendio più alto di quello che percepivo in precedenza. Questo perché Pierluigi Bersani, a differenza di tutti i suoi predecessori alla segreteria del partito e degli altri partiti precedenti, si era impegnato a non lasciare in carico al Pd nessun dipendente “ereditato” dal suo staff. Verificare per credere se ha mantenuto la promessa e come si erano regolati gli altri segretari prima di lui.
Per cui mettetelo pure online il mio ex stipendio. L’avete già fatto, per provare a zittirmi, quando ancora lo prendevo, a meno di non pensare che le buste paga mie e di qualcun altro siano uscite dai cassetti da sole. Non ci siete riusciti allora, figuriamoci adesso. Ma se pensate di ricattare qualcuno con questo argomento e di renderlo più obbediente, temo che vi sbagliate.

3) aspettiamo sempre che mettiate online la lista dei finanziatori del partito alla cena dell’Eur, amici. Mica per polemica, solo per la trasparenza che tanto vi piace. E magari anche la lista dei finanziatori della fondazione Open, oggetto di una bella inchiesta della Stampa nei giorni della Leopolda, inchiesta poi caduta nel più totale oblio. Quando volete, amici. Tutto online, come piace a noi del Pd.

Quel ramo del partito emiliano

Stefano Bonaccini è il candidato del Pd alla presidenza della regione Emilia Romagna, auguri.
Bonaccini è stato votato da 34.751 persone. Aveva un solo avversario,
Roberto Balzani, che ha preso 22.285 voti. Ieri hanno dunque partecipato alle primarie del Pd circa cinquantamila persone.
Nel 2009, con due avversari, lo stesso Bonaccini era stato eletto segretario regionale alle primarie del Pd con circa 190.000 voti. Avete capito bene, centonovantamila voti li aveva presi lui, senza contare quelli degli altri due candidati.
Gli iscritti del Pd emiliano, dati storici perché dati ufficiali sul tesseramento di quest’anno non risulta che esistano, sono circa settantacinquemila.
Chissà se qualcuno prima o poi si chiederà com’è messo il Pd, magari non solo in Emilia Romagna dove di solito sta meglio che altrove. O se bisogna aspettare che un campione casuale e numericamente scarso di cittadini, invece di eleggere il candidato favorito e appoggiato dal segretario nazionale, com’è avvenuto stavolta, designi, com’è perfettamente possibile e probabile, qualche illustre rappresentante di qualcos’altro a rappresentare il Pd.
Sarebbero cose interessanti da chiedere al segretario del Pd dell’Emilia Romagna, ma guarda caso è Bonaccini e ora avrà altro da fare. O al responsabile organizzazione del Pd nazionale, ma guarda caso il plenipotenziario di Renzi, Lorenzo Guerini, ha assunto anche questa delega.
Ma va tutto molto bene, perché la gente ci vota, dicono. Seduti comodamente sul ramo che stanno segando.

Arance e martello (Te lo ricordi, il Piddì?)

Non so se Diego Bianchi abbia fatto un film sulla politica o un film su Roma. Che poi, Roma, vanne a parlare senza la politica. E mica nel senso dei palazzi e delle auto blu che scorrono nella città cinica che aspetta che tutto passi, come sempre. Naaah, questo è quello che pensa chi non ne sa niente, di Roma. A Roma la politica è una passionaccia, è come il calcio. (Come Totti, per chi è devoto, e Diego è devoto).
Roma, per esempio, è uno dei pochi posti dove ci sono ancora i fasci. Ma veri, eh. Fasci di padre in figlio, con la maglietta nera e il tatuaggio con la svastica, fasci che si commuovono a incontrare altri fasci. Fasci che fanno il sindaco, può capitare, a Roma. Fasci che “danno foco alla sezione”, anche.
E poi ci siamo noi, loro, insomma: il Piddì. Il Piddì nel senso che avete capito: Togliatti Longo Berlinguer D’Alema Veltroni, Veltroni D’Alema, Franceschini, Bersani, Totti. O meglio, c’era. Perché il film di Diego ha una terribile sfiga, per un film così: è vecchio. È già nostalgico. Non c’è più Alemanno, non c’è già più quella Roma, e soprattutto non c’è più il Pd.
Vecchio e anche un po’ profetico. Perché Arance e martello non è mica un santino della militanza, scordatevelo eh, e poi c’è già tutto. C’è perfino una Maria Elena Boschi: altro stile, meno ministeriale, ma stesso effetto sui compagni, se mi capite. Si capisce che poi qualcosa andrà storto, che non sarà Totti il successore di Bersani, come sarebbe giusto tranne secondo i laziali (un laziale in sezione, roba da matti!). Che qualcosa già sta andando storto.
E però il Pd, nel film, è bellissimo. Voi non ci crederete, ma nel 2011, nella torrida estate del 2011, c’era davvero gente che metteva giù i banchetti nei mercati rionali per raccogliere le firme per far dimettere Berlusconi. Non perché pensasse che le firme lo avrebbero proprio fatto dimettere, e nemmeno (solo) perché glielo aveva chiesto il partito: ma perché ci credeva. Perché credeva che in sezione ci si va per “radicarsi in un territorio”, e capiva che era questo quello che il partito gli chiedeva, e ne traeva le conseguenze. Ecco, Diego Bianchi, da vero militante che non milita più da anni (autodefinizione perfetta), in questa sceneggiatura ne trae poi le conseguenze fino in fondo, esplorando i confini del grottesco, del surreale, del poetico e del comico. Fa ridere, fa piangere, fa ridere e piangere insieme spesso, e non so cosa possa desiderare di più chi racconta una storia.
A ripensarci poi, fuori dal cinema, resta il pensiero che quella storia, almeno l’inizio e il pretesto di quella storia, è una storia successa davvero in tante case, in tante strade, in tante città in cui persone, volantini, banchetti e bandiere, per mesi, hanno chiesto agli italiani di dire che non volevano più essere governati da Berlusconi. Uno sforzo enorme, fatto insieme, per raggiungere un obiettivo, insieme. Cittadini e politici, militanti e parlamentari. Ognuno col suo compito, sentendosi parte di un soggetto collettivo. E che i protagonisti di quella storia, gli ultimi dei mohicani della militanza politica, sono stati sfottuti, irrisi, oppure messi sotto silenzio (non si sa cosa è peggio) non solo dagli avversari politici ma anche, con rarissime eccezioni, dai giornali e dalle tv. Perché quel Pd non era cool, non faceva notizia.
E poi sono stati traditi. Traditi da chi non ha avuto (abbastanza) fiducia da dare (abbastanza) forza al Pd, e poi traditi dai loro rappresentanti, che non sono stati all’altezza delle responsabilità che avevano comunque avuto, nelle due notti prima del no a Marini, uno di noi, presidente, e poi del secondo tradimento, quello dei 101. E quindi non so se si son stufati, o se hanno cambiato idea, o verso: in ogni caso li capirei.
E però sapete che vi dico? Era fantastico, quel Pd. E io so che c’è ancora.

Ps: non vorrei concludere questo pezzo senza una menzione speciale per la genialità dell’assessore QUATTORDICINE. (Questa la capiamo solo noi di Roma, ed è peggio per voi)

#101, la carica degli hashtag sbagliati

In questi giorni capita che mi chiami qualche collega perché si riparla dei 101, e mio malgrado anch’io sono diventata un po’ un’autorità in materia, grazie a Giorni bugiardi, il libro che ho scritto con Stefano Di Traglia.
L’enormità e l’inopportunità del paragone, sconfessato del resto dallo stesso Matteo Renzi, sono state già sviscerate, e comunque poco importa tornarci sopra qui, quello che ne penso lo sapete. Invece vorrei dire che in particolare mi ha colpito una cosa, della vicenda di ieri, ed è l’istinto.
Tutti quelli che fanno il difficilissimo mestiere della comunicazione in politica (parlo di politici e di professionisti) sanno che a volte non c’è tempo di ragionare. C’è da controbattere, c’è da twittare, c’è da riempire gli spazi, ci sono i tg da fare. Per questo spesso capita di reagire d’istinto, ed è questo che ieri dopo che è stato approvato l’emendamento Candiani hanno fatto i responsabili della comunicazione del Pd.
E il loro istinto gli ha detto: “Centouno”. Cioè: la “linea” del Pd per un po’ è stata quella, rievocando il momento probabilmente più nero della vita del partito, di dare la colpa al Pd. Non era assolutamente accertato ieri mattina, e non lo è a tutt’oggi, che i franchi tiratori fossero senatori democratici, anzi è ritenuto probabilissimo che in buon numero fossero senatori di Forza Italia. Ma l’istinto del Pd, appunto, è stato questo: difendere Matteo Renzi accusando il Pd. Accusare il Pd per difendere Matteo Renzi. Parlo della comunicazione del Pd eh, non di quella di palazzo Chigi. E a tutti, per un po’, è sembrato normale.
Il che mi pare un fantastico fermo immagine sulla situazione attuale. Del Pd, e non solo.

Una cosa sul garantismo, anzi su Errani

C’è qualcosa che non mi torna in tutti questi articoli sulla svolta garantista del Pd. Ci ho rimuginato un bel po’ sopra e penso fondamentalmente sia questa: con il caso Errani il garantismo non c’entra niente, almeno per quanto mi riguarda. E credo non c’entri niente, il garantismo, neanche con quello che succede in queste ore nel Pd. So che questa è la parola che ha usato il presidente del consiglio nei suoi tweet, “questo si chiama garantismo” ha detto, e mi dispiace non essere mai d’accordo con lui, ma non sono d’accordo neanche stavolta. Il garantismo è un principio generale, e per me sacrosanto. Deve valere per tutti, colpevoli o innocenti, simpatici o antipatici, onesti o disonesti. Tutti devono potersi difendere e hanno diritto a un trattamento equo e umano, a non essere processati in piazza e a essere ritenuti e trattati da innocenti fino al giudizio definitivo.
Mi pare però che si confonda il rispetto della magistratura e delle sentenze da un lato, e il garantismo dall’altro, con qualcosa che non c’entra. Provo a spiegarla così: io resterò convinta che Vasco Errani sia un uomo onesto anche se venisse condannato in via definitiva (cosa che sono certa non avverrà). Questo non è garantismo e non è neanche contestare la magistratura o accusarla di complotti: è un giudizio obiettivo sul reato che viene contestato a Vasco Errani ed è inoltre il mio giudizio personale sulla persona di Vasco Errani, di cui mi assumo tutta la responsabilità e che non è sottoposto a un giudice, a nessun giudice.
Come diceva oggi un mio amico, per me valgono le lezioni di Socrate e di Gesù Cristo e quindi rivendico il diritto di credere all’innocenza anche di chi è giudicato colpevole. Anche dopo tre gradi di giudizio. Figuriamoci dopo un 1 a 1. E ho la sensazione di non essere la sola.

Tre considerazioni a caldo. E che caldo

Faccio anch’io qualche considerazione a caldo e senza pretese di completezza su questo straordinario risultato elettorale, dal mio punto di vista che conoscete: appassionatamente del Pd, appassionatamente non renziana, appassionatamente non disposta a cambiare facilmente idea. Ma oggi davvero complimenti a Matteo Renzi e al gruppo dirigente del Pd, prima di tutto. Detto questo.

1) Non è la vocazione maggioritaria 

Questo incredibile 40,8 per cento non è il realizzarsi della vocazione maggioritaria di Veltroni. Veltroni aveva in mente un bipolarismo compiuto e tendente al bipartitismo, l’Italia uscita dalle urne stanotte è l’opposto: un sistema politico che da un anno sbanda paurosamente perché si sta sgretolando uno dei due assi del bipolarismo imperfetto della seconda repubblica. Continua a leggere

“Io sono De Mita. E non me ne sono andato dal Pd”

“Pronto?”. “Pronto. Io sono De Mita. Ho chiamato per ringraziarti”. Qualche giorno fa, tornando in treno dal week end di Pasqua, avevo scritto su questo blogghetto quello che mi aveva fatto pensare la notizia che Ciriaco De Mita stava pensando di candidarsi a sindaco di Nusco. E adesso è lui il numero privato che squilla sul cellulare. “Ho chiamato per ringraziarti, perché la simpatia umana mi colpisce, nonostante quello che si crede. L’hai scritto con il cuore, e con la testa di tuo padre”. “Ma noo con la mia testa, presidente, giuro!”. “Hai capito benissimo: perché ci vuole anche un po’ di cultura, per capire le cose”. (Sono figlia di un democristiano della sinistra demitiana, non abbastanza importante da raccomandarmi alle alte sfere, in ogni caso. Ma questo De Mita l’ha saputo molto dopo che mi aveva visto sgambettare per uffici stampa e giornali d’area, un bel po’ di anni fa).
Ma non vuole mica solo ringraziarmi, anche se ogni tanto lo ripete: “Ma io ho chiamato solo per ringraziarti”; vuole parlare. “Io non me ne sono andato dal Partito democratico. Io ho preso atto di essere stato estromesso. Ma tu l’hai scritto eh. Non me ne sono andato”. Com’è andata allora presidente?

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Oggi non voto alle primarie (Ma sì, facciamoci qualche altro amico)

Dopo la messa, come al solito, sono passata davanti al gazebo. Ho fatto ciao con la manina a Luigi, che stava lì come tutte le altre volte, e questa volta ho proseguito.

Primo motivo. Penso che non abbia alcun senso fare le primarie per eleggere il segretario regionale di un partito, una scelta che interessa solo agli iscritti a un partito e non si vede a chi altro dovrebbe interessare. Tutte le critiche che rendono discutibile il ricorso a primarie aperte per l’elezione del segretario nazionale, nel caso dei segretari regionali acquistano talmente tanta forza che questo argomento non dovrebbe essere nemmeno messo in discussione. Prima che qualcuno me lo dica, che potevamo cambiarle queste regole, rispondo: se potevamo non lo so, non è detto che avremmo avuto la maggioranza per farlo. Ma sicuramente dovevamo provarci con più forza

Secondo motivo. Non è che io partecipi molto attivamente, ma sono iscritta a un circolo del Pd di Roma. Inoltre ho sempre votato a tutte le primarie, lasciando ogni volta mail e recapiti. Ebbene, non ho ricevuto alcuna comunicazione riguardo a oggi. Nessuna convocazione al gazebo, nessun invito a discutere, nessun annuncio di candidatura, nessuna dichiarazione di sostegno. Insomma, non saprei proprio per chi votare. E sinceramente, avendo sfogliato un po’ i giornali, visto che si trattava di schierarsi o coi renziani-con-Bettini o coi renziani-senza-Bettini non ho trovato interessante approfondire.

In bocca al lupo a chiunque sarà eletto, ma soprattutto al Partito democratico.