Scrive oggi Stefano Folli, in una bellissima recensione al libro di Stefano Di Traglia e mio, Giorni Bugiardi, che l’errore del Pd bersaniano è stato quello di aver “parlato alla società italiana come doveva essere in base a una certa analisi e a uno schema ben definito (…), quasi non considerando le trasformazioni culturali, sociali e di costume intervenute dopo il ventennio berlusconiano (…). E’ un errore, questo? Certo, lo è. Ma è anche vero che un uomo non può tradire se stesso e le proprie radici. Bersani si è confermato persona seria e affidabile, ma è stato travolto da un mondo che aveva perso quella razionalità e persino quella ‘innocenza’ che lui pretendeva di restituirgli”.
Sono parole molto belle, che mi hanno fatto pensare. Non so se, nel riconoscere serietà e affidabilità a Bersani, Folli intendeva anche rimproverarlo un po’ per un eccesso di passatismo o addirittura di ideologia. Eppure io, che ho tutt’altra storia rispetto a Bersani, ho sempre pensato, e prima ancora che pensato ho sperimentato fin dai miei anni da ragazzina che nell’Azione cattolica assumeva le prime responsabilità educative verso i più piccoli, che un uomo, come un ragazzo o anche come un partito o un’opinione pubblica, trattati male come meritano non fanno che comportarsi sempre peggio. E che invece trattati con fiducia e con amorevolezza imparano a fidarsi di te e alla fine diventano migliori. Per questo quello che dico lo dico da persona di sinistra ma, in questo caso prima ancora, da cristiana: se questo è stato l’errore nostro e di Bersani, e probabilmente lo è stato, io lo rifarei mille volte a costo di perdere mille volte. (E forse alla milleunesima volta vincerei, però davvero, però riuscendo davvero a cambiare le cose dopo aver vinto. E in ogni caso, ne sarebbe valsa la pena).