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Appunto sull’articolo 18 (e però voi lo avete votato, eccetera)

Allora:
– il Jobs act era un decreto delegato. Questo significa che il parlamento vota una delega al governo che poi sulla base di quella delega scrive, con una certa seppur limitata libertà, i decreti attuativi. La delega conteneva varie norme sul lavoro (contratto a tutele crescenti, riforma degli ammortizzatori sociali ecc) tra cui la disciplina dei licenziamenti. Nel voto finale sulla delega fu posta la fiducia, che la minoranza Pd votò per senso di responsabilità dichiarandosi contraria ad alcune parti del provvedimento.
 – durante l’esame della delega, sia in sede partito (direzione) che in sede parlamento (gruppo) la minoranza Pd aveva presentato documenti che esprimevano una posizione contraria all’abolizione dell’articolo 18 e che erano stati regolarmente bocciati.
– nella delega, in base a un accordo interno al Pd garantito da una mediazione del presidente della commissione lavoro Cesare Damiano, e votato dalla direzione del Pd all’unanimità – renziani compresi quindi – si era comunque raggiunta una mediazione anche sui licenziamenti che prevedeva il no ai licenziamenti collettivi e norme che limitavano l’abolizione dell’obbligo di reintegra. In seguito, il governo sconfessò quell’accordo e gli stessi parlamentari renziani della commissione lavoro introducendo i licenziamenti collettivi. L’eccesso di delega venne denunciato da subito dallo stesso Damiano, allora membro della maggioranza Pd.
– in precedenza, durante il governo Monti, l’allora segretario del Pd Pierluigi Bersani aveva impedito l’inserimento dell’abolizione dell’articolo 18 nella legge Fornero, mettendo in gioco il proprio stesso ruolo.

Qui il video:

Tanto vi dovevo.

Persino

«Fonti di Palazzo Chigi sottolineano, contrariamente a quanto riportato oggi da notizie di stampa, come il voto di oggi sulla fiducia riguardi evidentemente l’articolo 18. Lo si è spiegato per mesi ovunque, persino nelle sedi di partito. La delega attribuisce al governo il dovere di superare l’attuale sistema e il presidente del Consiglio ha indicato con chiarezza la direzione. Chi vota la fiducia vota la fiducia al presidente del Consiglio e al governo che sostengono la necessità di riformare l’intero mercato del lavoro, come esplicitato dalla delega. Che essendo delega non può che avere la portata definita dal testo normato.»

Ecco, di questo affannoso, propagandistico e burocratico comunicato, teso a convincerci che sì, oggi il senato vota sull’articolo 18 (ma che problema c’è? Non basta scriverlo nell’emendamento?) io sono colpita soprattutto da una parola, proprio non riesco a smettere di guardarla. “Persino”.

Lo storytelling truffaldino della “sinistra conservatrice”

Più che interessarsi della sostanza – abolire l’articolo 18 – che come qualcuno comincia a sospettare al presidente del consiglio sta a cuore fino a un certo punto, e infatti non spiega mai bene né perché né come, a me pare che Matteo Renzi e i renziani più stretti vogliano raccontarci una storia.
La storia (storytelling, direbbero loro) è quella di un’Italia ingessata, vecchia, imbrigliata dai conservatorismi della sinistra (la “vecchia” sinistra of course, ma a Che tempo che fa al premier è scappato pure un mezzo insulto alla “sinistra” senza aggettivi, cosa che ha fatto sobbalzare pure Fazio, che ha dovuto ricordargli, ahem, che il capo della sinistra è lui) e del sindacato. Insomma quella “sinistra conservatrice” che si è sempre opposta alle riforme è il motivo per cui siamo messi come siamo. Mica come Blair, mica come Clinton: sto schifo di sinistra che ci è toccata a noi.
Questa storia, vorrei far rispettosamente notare, non solo è precisamente la storia raccontata per anni dagli avversari politici della sinistra e dagli editorialisti dei giornali di centrodestra. Questa storia, alla quale purtroppo mi pare anche molti di noi finiscono col credere, è proprio falsa.
L’Italia in questi vent’anni non è stata governata dalla sinistra conservatrice, bensì da una destra piuttosto caratterizzata come tale: una destra molto di destra, ecco. Anche perché scusate ma qualcosa non torna: se questa vecchia sinistra plumbea perdeva sempre e ha sempre perso e anzi le piaceva perdere, come dice il premier dall’alto della sua maggioranza misteriosamente originatasi dall’ennesima sconfitta, non vi pare un po’ strano sto fatto che poi sia stata sempre al governo? E infatti i presidenti del consiglio non si sono chiamati Bindi, Bersani, Cofferati e Camusso, se ci fate caso, bensì, prevalentemente, Silvio Berlusconi. Lo ricordate anche voi ora che ci pensate, non è vero?
Lo stesso governo del professor Mario Monti (che non era Che Guevara) era sostenuto da una maggioranza di larghe intese in un parlamento in cui largamente prevaleva la destra (e già che ci siamo è stato fatto per mandare via Berlusconi, non per fare il governo con Berlusconi).
Non solo: quando la sinistra ha governato (perché qualche volta la sinistra in questi vent’anni ha anche vinto, mentre Renzi era distratto) non ha conservato: ha innovato e riformato. Sanità, scuola, trasporti, commercio, energia, gas, professioni, pubblica amministrazione tra le altre cose. Nello specifico, essa ha precisamente introdotto flessibilità nel mercato del lavoro (pure troppa, dice oggi – anzi domenica scorsa al Corriere – non a caso D’Alema, uno dei protagonisti indiscussi delle brevi stagioni della sinistra al governo). Quindi incolpare la sinistra per le rigidità del mercato del lavoro (rigidità che, dimostrano i dati OCSE usciti sui giornali, sono comunque nella media se non inferiori a quelli degli altri paesi europei) è una balla, storicamente infondata e insensata.
Questa è la storia vera, il resto sono chiacchiere per una politica furbetta che rischia di farci rompere l’osso del collo a tutti, non solo a qualcuno. E in questo senso sono inaccettabili dentro un partito e dentro una comunità, che un’idea condivisa di se stessa ce la deve comunque avere.

Il video di Renzi: qualche volta un giornalista servirebbe

Disintermediando e disintermendiando, alla fine del videomessaggio di Renzi secondo me un giornalista sarebbe servito. Invece di andare in visibilio per il “ritmo” e per la scelta della colonna traiana come sfondo, il collega avrebbe potuto chiedere: “E quindi, perché volete abolire l’articolo 18?”. Perché lui, il premier, ci dice che Marta aspetta un bambino e Giuseppe è precario, ma dell’articolo 18 NON NE PARLA. Niente. Nemmeno un accenno al motivo per cui il governo ritiene, se lo ritiene, di dover abolire per i nuovi assunti il diritto di non essere licenziati senza una giusta causa. Proprio zero. Se il tema di ieri era l’articolo 18, il video di Renzi è totalmente fuori tema. Scusate, ma a volte un giornalista servirebbe. Se facesse il mestiere del giornalista, chiaro.