2

Per Federica Mogherini, contro il gnegnegne

Da ieri sera ricevo tweet e messaggi (per lo più di sconosciuti) il cui contenuto, al netto degli insulti, è riassumibile in “Mogherini è lady Pesc, gnegnegne, alla faccia tua, perepè, e mo’ che dici?”.
Dico che io sono contenta per Federica Mogherini, che conosco da anni e che so competente e preparata per il compito che avrà. Non ho mai scritto una parola contro Federica, e non ho nemmeno mai detto che il governo non ce l’avrebbe fatta a farla nominare. Non mi è piaciuto quasi niente del modo in cui l’obiettivo è stato raggiunto: non mi è piaciuto come è stato liquidato uno scenario diverso, che era possibile, e che poteva portare a un incarico altrettanto importante (anzi, più importante) per Enrico Letta. Non mi è piaciuto che si sia rinunciato da subito a un ruolo italiano negli incarichi economici. Non mi è piaciuto infine come è stato brandito il nome stesso di Federica, a rischio di esporla a umiliazioni che non avrebbe meritato e di indebolire il suo stesso futuro mandato. Ma la scelta del governo alla fine è stata questa, e nessuna di queste premesse implica che io non debba essere contenta che si sia arrivati allo scopo. (Per un giudizio complessivo sui nuovi equilibri dell’Ue poi ci sarà tempo, mancano ancora troppi tasselli). Continua a leggere

3

Le secchiate in testa e il limite della politica

Dico due cose su questo fatto delle secchiate d’acqua. Una bella discussione sui social network ieri mi ha fatto capire meglio cosa penso io su quel gesto di Renzi, forse un piccolo riassunto può essere istruttivo.
Dicono dunque i difensori, a me, che non apprezzavo: è stato efficace, mica come un burocratico comunicato stampa. Dicono ha comunicato bene, è trending su twitter. Ok, ma ha comunicato cosa? Dicono: i vip e le star che partecipano con efficacia alle campagne virali sensibilizzano la gente. Ok, ma Renzi non è un vip o una star. E ho anche qualche dubbio che il fatto che tutti parlino di Renzi che si è tirato una secchiata d’acqua in testa significhi automaticamente che tutti sono più sensibili ai problemi dei malati di sla. Se poi vogliamo dire che comunque tutti parlano di Renzi, allora va bene, bravo. Se era questo lo scopo, però, non tiratemi in ballo la terribile malattia e non cazziatemi di insensibilità se dico che a me non piace. Almeno. Perché sennò io potrei essere tentata di rispondere che chi strumentalizza i malati di sla per far parlare di sé è più insensibile di me, e non vorrei farlo. Ma c’è dell’altro. Continua a leggere

Per Federico Orlando, senza cerimonie

So che tu avresti voluto più discrezione, ma lo sai come siamo fatti, noi giornalisti. Scriviamo. Come facevi tu, sempre, fino a tre o quattro giorni fa. Venivi in redazione tutti i giorni, con l’impegno e l’entusiasmo di un praticante, quando fino a pochi anni fa stavamo insieme, a Europa. Leggevi tutto. Chiamavi per commentare e per complimentare. Citavi nei tuoi articoli noi, colleghi giovani e sconosciuti. Una volta, nelle riunioni per il numero zero, qualcuno propose che facessimo come si usava allora al Foglio, un giornale di pezzi non firmati. Ti sei arrabbiato. “No, questi colleghi devono potersi far conoscere! La firma è un valore, e loro firme saranno un valore aggiunto per il giornale!”.
Eri stato il vice di Montanelli, ma non ne parlavi quasi mai. Solo qualche volta, se in riunione veniva fuori qualche volo pindarico di troppo che ci faceva progettare articoli confusi, dicevi con la tua mitezza qualche frase come “eh no, Montanelli diceva: un argomento, un pezzo”. Quante volte l’ho ridetta, quante volte l’ho ripensata.
Ti fece piacere, quando ti chiesi se volevi essere uno degli Highlander della mia trasmissione, poi diventata anche un libro. Avevo intervistato tanti comunisti e democristiani, eri contento di rendere più completo il mio catalogo di testimoni della nostra repubblica “rappresentando” quella che chiamavi con orgoglio “la terza cultura dell’Assemblea costituente”. Sono venuta a casa tua e ho visto la tua vetrina piena di premi giornalistici, ma la telecamera non ce l’hai lasciata neanche avvicinare. Ho visto i ritagli ingialliti dei tuoi primi articoli per giornali che si chiamavano il Molise liberale o il Molise nuovo, catalogati e incollati in un album dalla tua mamma.
Ti chiesi com’era aver passato tutta la vita da moderato ed essersi ritrovato con una fama di eretico e di estremista, un po’ come Oscar Luigi Scalfaro. Hai detto: “Io sono un moderato, come lo era Montanelli. Però abbiamo sempre avuto un principio: che con i comunisti, con i quali non avevamo nulla in comune, avevamo fatto la Resistenza al fascismo, mentre con la destra non avevamo nulla in comune, perché la destra è il fascismo. Questo significa essere estremisti? Io la chiamo coerenza, ma può darsi che sia difficile spiegarlo”.
So che non vuoi cerimonie e non vuoi preghiere. Non so se rispetterò il secondo desiderio, mi fermo qui per rispettare almeno il primo. È stata una vera fortuna lavorare con te.

Diamanti e il renzismo preterintenzionale di Repubblica

Bello il pezzo di Ilvo Diamanti oggi. È vero, non ha senso accusare Renzi di autoritarismo o di attentato alla Costituzione. La personalizzazione della politica è un processo globale, ormai la politica è così, ha cominciato Craxi, figuriamoci.
E vabbè. Poteva almeno aggiungere “tant’è vero che pure noi a Repubblica ormai ci siamo stufati di contrastare questa roba, che quando c’era Berlusconi ci saremmo incatenati a largo Fochetti per molto meno, per non dire di quando c’era Craxi, che ci saremmo incatenati a piazza Indipendenza”, ma si sa lo spazio è tiranno (e comunque giustamente Diamanti evita, di nominare l’Innominabile).
Poteva aggiungere “c’è stato in questi anni chi in effetti ha cercato di contrastare questa deriva, di restituire a questa democrazia per caso uno sviluppo coerente con le premesse della Costituzione, ed è stato uno sforzo titanico, ma in pochi gliel’hanno riconosciuto e l’hanno sostenuto, perché in fondo un po’ di innamoramento direttista, innestato su quel fondo di antipartito, ce l’abbiamo sempre avuto anche noi di Repubblica, altroché se ce l’abbiamo avuto”, ma vabbè, che pretendiamo.
Niente, ha vinto Renzi e Repubblica è contenta. Senza avere inventato nulla, che gli inventori son stati altri. Senza avere un’idea di come dare “senso al caos”, che il caos gli va benissimo così, e il suo PdR nel caos ci si trova da dio.
Magari non diciamo che è così in tutto il resto d’Europa almeno, professore. Nel resto d’Europa non ci sono i partiti personali, ma partiti che sopravvivono ai loro leader, anche ai più forti, e meccanismi per sostituire i leader. Nessuno elegge il premier né pensa lontanamente di farlo. Nessun partito si chiama Pdr, la Cdu non si chiama CdMerkel, e così via.

2

#101, la carica degli hashtag sbagliati

In questi giorni capita che mi chiami qualche collega perché si riparla dei 101, e mio malgrado anch’io sono diventata un po’ un’autorità in materia, grazie a Giorni bugiardi, il libro che ho scritto con Stefano Di Traglia.
L’enormità e l’inopportunità del paragone, sconfessato del resto dallo stesso Matteo Renzi, sono state già sviscerate, e comunque poco importa tornarci sopra qui, quello che ne penso lo sapete. Invece vorrei dire che in particolare mi ha colpito una cosa, della vicenda di ieri, ed è l’istinto.
Tutti quelli che fanno il difficilissimo mestiere della comunicazione in politica (parlo di politici e di professionisti) sanno che a volte non c’è tempo di ragionare. C’è da controbattere, c’è da twittare, c’è da riempire gli spazi, ci sono i tg da fare. Per questo spesso capita di reagire d’istinto, ed è questo che ieri dopo che è stato approvato l’emendamento Candiani hanno fatto i responsabili della comunicazione del Pd.
E il loro istinto gli ha detto: “Centouno”. Cioè: la “linea” del Pd per un po’ è stata quella, rievocando il momento probabilmente più nero della vita del partito, di dare la colpa al Pd. Non era assolutamente accertato ieri mattina, e non lo è a tutt’oggi, che i franchi tiratori fossero senatori democratici, anzi è ritenuto probabilissimo che in buon numero fossero senatori di Forza Italia. Ma l’istinto del Pd, appunto, è stato questo: difendere Matteo Renzi accusando il Pd. Accusare il Pd per difendere Matteo Renzi. Parlo della comunicazione del Pd eh, non di quella di palazzo Chigi. E a tutti, per un po’, è sembrato normale.
Il che mi pare un fantastico fermo immagine sulla situazione attuale. Del Pd, e non solo.

Caro Matteo, come facciamo a riaprire l’Unità?

(questo articolo è uscito anche su Huffington post)

Caro Matteo Renzi, tu sei contro il finanziamento pubblico. Quando lo abbiamo dimezzato e tu eri ancora una voce critica nel Pd, i tuoi amici, per tuo conto, strillavano in parlamento che dimezzarlo non era abbastanza e andava abolito subito; quando lo abbiamo abolito e tu eri il candidato favorito alla segreteria, i tuoi amici, per tuo conto, e tu stesso, strillavate che il décalage previsto dalla legge per arrivare in qualche anno a finanziamenti zero era troppo lento. Ci furono trattative, per arrivare a una mediazione che fosse per voi accettabile e votabile, ma voi ci teneste a dire che avreste fatto di più e più in fretta. Io non la penso come te, ma ovviamente conta quello che pensi tu, ora che sei segretario del Pd e presidente del consiglio soprattutto.

Tu, caro Matteo Renzi, pensi anche, dicono, non so se è vero, non l’hai smentito, che non te ne frega niente se chiudono i giornali. Cioè, al di là del linguaggio che usi in una discussione con un tuo amico, ammesso che tu l’abbia usato, ritieni che se i giornali non hanno i soldi per campare è giusto che non campino, che in generale, o forse in questo momento, non sia il caso di aiutare finanziariamente il settore dell’editoria, sebbene esso sia in grave crisi, e sebbene i casi di aiuto a settori in crisi esistano e siano esistiti, sotto forme di ammortizzatori straordinari o di idee come per esempio quel meccanismo che a suo tempo venne battezzato con un termine che dev’esserti molto piaciuto, rottamazione. Preferirei che tu la pensassi diversamente, perché questa crisi coinvolge me e tanti colleghi e amici, e anche perché per me se chiude un giornale, di partito o di opinione in questo caso non fa differenza, è grave, e non si può trattare la libertà di stampa come un settore economico come gli altri, dove o reggi alle regole del mercato o chiudi e amen, ma non ha importanza. So che la maggioranza degli italiani non la pensa come me, e un governo deve pensare all’interesse generale, mica posso pretendere che pensi a me, e ovviamente ha le sue priorità e le comunica ai cittadini come crede.

Io però vorrei capire una cosa.

Continua a leggere

1

Twitter e la giornalista

Riepilogando:

Se lavori per il pubblico, sei una parassita.
Se lavori per il privato, sei venduta a un padrone.
Se lavori per una grande testata, sei venduta a un padrone.
Se lavori per una piccola testata, sei una poveraccia che nessuno legge.
Se guadagni tanto, sei una ladra.
Se guadagni poco, non vali niente.
Se sei disoccupata, non vali niente (a differenza di loro, che sanno cos’è davvero la disoccupazione e sono tutti disoccupati a causa delle avversità della vita e delle ingiustizie del mondo).
Se “sei una che parla degli affari suoi su twitter” (cioè pubblichi le cose che scrivi e avverti quando ti capita di andare in tv), allora chiunque con la foto profilo di un supereroe giapponese e il nome fatto di tre numeri e quattro consonanti ha diritto di pretendere di sapere se ti hanno pagato, e quanto, e di insultarti se non metti immediatamente il link dell’estratto conto.
Se t’incazzi e rispondi, sei maleducata.
Se t’incazzi e non rispondi, sei arrogante.
Se una volta o due al mese ti pagano un pezzo, non sei disoccupata.
Se lavori, anche occasionalmente, per un editore diverso da prima continuando a scrivere e a pensare le stesse cose che pensavi e scrivevi prima, sei incoerente.
Se uno che ti ha invitato in tv interviene per dire che lui invita in tv chi vuole e ha invitato te perché gli piace come lavori, sei la pupilla di un nuovo capo.
Se passano tutto il giorno a parlare di te su twitter ogni volta che appari in tv o scrivi un pezzo, è la prova che non sai fare comunicazione.

Se rinasco, mamma: cantante di night.

Riformare la costituzione secondo la costituzione

Ieri avevo scritto questo, oggi qualcuno dice che plebiscito è una parola troppo grossa. Allora segnalo due interviste: Giovanni Maria Flick sull’Unità e Piero Alberto Capotosti su Avvenire.

Due costituzionalisti, di cultura e formazione diverse, che dicono la stessa cosa: per riformare la costituzione serve uno spirito costituente, bisogna abbandonare sia la strada dell’ostruzionismo che quella delle prove di forza e delle tagliole. Questo è il senso dell’articolo 138, che chiede di cercare in parlamento le intese più larghe possibili e non intende il referendum come la concessione di un governo o di una maggioranza o la materia di uno scambio tra partecipazione e velocità.

Sarebbe bello se ci fosse ancora tempo per riformare la costituzione con il metodo previsto dalla costituzione. E con la politica, magari.

Pd, abbiamo un problema: il governo vuole il plebiscito

(questo post è uscito anche su Huffington post Italia)

Mi chiedevo stamattina, e i giornali non mi avevano aiutato a capire, come avrebbe fatto il governo a dar seguito al tweet del ministro Boschi, cioè ad assicurare che il referendum confermativo sul nuovo senato si svolgerà “comunque”, anche se la modifica costituzionale sarà approvata con la maggioranza dei due terzi. L’articolo 138 della costituzione infatti è molto esplicito: “Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti”.
Un amico senatore, Salvatore Margiotta, mi aveva raccontato su twitter che anche Roberto Calderoli ieri ha posto il problema in Aula, immaginando una modifica al 138 da approvare prima del nuovo senato; una via un tantino macchinosa, e infatti avevamo sghignazzato sull’eventualità di otto votazioni (due doppie letture) e poi un referendum sul referendum, nel caso la modifica al 138 non avesse raggiunto il quorum necessario.
Adesso, sull’Huffington post, il senatore Andrea Marcucci svela invece qual è il vero piano del governo. “Un accordo politico che ci impegni a non raggiungere i due terzi nelle letture determinanti”. La soglia prevista dal 138, infatti, è per Marcucci “un obiettivo possibile in seconda lettura. Perciò impegniamoci per non raggiungerlo”. È un piano la cui genialità non può essere sottaciuta: basta con le riforme condivise e la ricerca di accordi, questa è roba da vecchio Pd. La nuova politica è un’altra cosa, e peccato per chi non la capisce: cercare di non avere la maggioranza dei due terzi anche se sarebbe possibile, questa è la nuova politica. Continua a leggere

Signora libertà, signorina fantasia

Lasciamo perdere Fanfani, che io vorrei essere abbastanza brava da scrivere un pezzo che gli renda giustizia e spieghi come Amintore Fanfani sarebbe esattamente il presidente del consiglio e il leader politico che servirebbe adesso all’Italia: riforme vere, no chiacchiere, roba di sinistra come nazionalizzazioni e piano casa, che se le facesse qualcuno oggi farebbe impallidire Chavez; ricostruzione dell’economia di un paese e delle sue istituzioni democratiche, organizzazione di un vero e moderno partito popolare di massa, l’unico momento, forse, della storia d’Italia in cui la politica è davvero stata più forte dell’antipolitica. Altro che Rieccolo, altro che vostra moglie scapperà con la cameriera. Non ci si può mica fermare sempre alla prima riga della pagina di Wikipedia, Gesù.
Lasciamo perdere Fanfani, dicevo: ma almeno De André. Fiumi d’inchiostro e nessuno che noti e faccia rispettosamente notare al ministro Boschi che cos’è quella canzone: una lettera aperta a un grande amore che forse muore e però non morirà mai e sempre torna a esistere come un miracolo, ma un amore che non è una donna: è l’anarchia.
Ascoltatelo un po’ De André, benedette ragazze, se proprio volete citarlo. Perché è un po’ difficile motivare un richiamo all’ordine e alla disciplina citando una frase di De André, e tuttavia passi, che tanto qua vi fanno passare tutto. Ma se proprio dovete citarla, almeno evitate di citare “Se ti tagliassero a pezzetti” proprio il giorno che avete deciso di mettervi un tailleur grigio fumo.