La sfida di Letta: un’altra narrazione

(questo post è stato scritto per Huffington post)

Non è detto che la vedremo mai combattere, perché in politica, come nella vita, è inutile pianificare, poi succede quello che deve succedere. Tuttavia, quella lanciata da Enrico Letta ieri sera in tv è una sfida. Una sfida al renzismo dominante, a “un conformismo che adesso va di moda”; e una sfida politica ma prima ancora culturale. Non è detto che funzioni, ma è un’ipotesi di superamento di una fase della sinistra italiana. Non è detto che si realizzi, ma è probabilmente la prima volta, dacché Matteo Renzi si è insediato prima al Nazareno e poi a palazzo Chigi, che qualcuno osa tentare. Merita quindi provare ad osservarla attentamente, questa possibile “narrazione alternativa”, ed esprimere qualche primo giudizio su come può funzionare. Cominciando da quella che sui giornali di oggi è “la notizia”, ma come vedremo non è la sola novità. Continua a leggere

Strategie social (per gente con dei princìpi)

Oggi tra i supporter renziani della nota “community”, dopo che Pierluigi Bersani aveva fatto queste dichiarazioni, è girata la dritta: “Urgente. Vittimismo. Accusare Bersani di avere offeso migliaia di giovani militanti del partito quando ha detto, parlando di Roberto Speranza, che nel Pd ci sono anche giovani che hanno dei princìpi”.

Per un po’ sono andati avanti: ah che frase infelice, ah non è da lui, ah che caduta di stile. Poi devono aver capito che offendersi a nome dei giovani senza princìpi non era una grandissima idea.

Né del resto lo è rosicare così evidentemente quando dicono (a un altro): sei coerente.

Solidarietà agli strateghi communytari, comunque. Può sempre capitare una giornataccia.

Ma la sinistra non è stata asfaltata

Sulla direzione Pd, oggi ho scritto questo per i giornali locali del gruppo l’Espresso

Matteo Renzi non ha ceduto di un millimetro sull’Italicum, la minoranza Pd però non è “asfaltata”. Se è vero, come hanno scritto i giornali, che il segretario puntava – con l’improvvisa convocazione della direzione del Pd – a fotografare la spaccatura nel fronte dei suoi oppositori, a isolare i “seniores” (Bersani, D’Alema, Bindi) e gli “irriducibili” (Fassina, Cuperlo) incorporando il grosso degli ultimi quarantenni che ancora non si erano renzizzati, la missione del segretario non è riuscita. La direzione ha approvato, coi numeri larghi che Renzi si è guadagnato alle primarie, la blindatura e l’accelerazione sulla riforma; ma la minoranza Pd, dopo giorni durissimi in cui il grosso degli osservatori le aveva già cantato il requiem, ha trovato per una volta la forza di non dividersi e di insistere sulle modifiche che il segretario nega. I prossimi venti giorni, quelli che mancano all’arrivo in aula dell’Italicum il 27 aprile, apriranno a questo punto, comunque vada, una fase nuova, al momento non facile da immaginare.  Continua a leggere

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Gli smemorati dell’Italicum 

A quelli che “ne abbiamo discusso tanto, abbiamo accolto tante proposte, ora basta, è ora di chiudere” ricordo che la legge elettorale è stata approvata prima alla camera con un pezzo di Pd contrario – contrarietà espressa esplicitamente nella dichiarazione di voto dal capogruppo, che aveva condizionato il voto favorevole all’approvazione di alcune modifiche al senato. 

Successivamente, al senato, la riforma è stata approvata con il voto determinante di un pezzo di Forza Italia (ricorderete il soccorso arrivato da Verdini alla vigilia del voto sul Quirinale) e la contrarietà dei senatori della minoranza Pd. 

Perché adesso alla camera, in assenza di modifiche, i deputati della minoranza Pd dovrebbero sconfessare in un colpo solo i colleghi senatori della stessa minoranza Pd e se stessi, rinnegando quanto detto in aula in occasione della prima lettura? 

Prima di improvvisare prediche, cerchiamo per cortesia di ricordarci i fatti. 

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Ma io non ci sto più, caro Fassina

L’intervista di Stefano Fassina a Repubblica mi addolora molto sul piano personale, ma il problema non è questo. Il problema è che è sbagliata, per due motivi. Politici.

1) Finché il nostro problema sono D’Alema e Bersani ha ragione Renzi. Punto. Questo è il suo terreno di gioco, questo è il suo “noi e loro”, non è il nostro. Quelle due pagine di Repubblica fanno impressione. Ci sono tre titoli, uno su Orfini, uno su Richetti e uno su Fassina: dicono tutti e tre la stessa cosa. Che D’Alema e Bersani sono un problema e devono fare un passo indietro (da che?). Nei partiti normali non è così, e nemmeno tra persone mature. Non è che quando arriva Gonzales a una riunione del Psoe la gente pensa “oddio vorrà mica parlare, e se poi va nei titoli?”. Nei partiti normali c’è rispetto per la propria storia, personale e collettiva, e per chi la rappresenta. Anche se ovviamente ci sono nuovi tempi, nuove scelte, nuovi protagonisti. Nei partiti normali “la nostra storia fa schifo e vi spieghiamo perché” non è considerato un messaggio vincente. Il resto è Italia, è rottamazione, è Renzi. È il suo storytelling, e noi lo aiutiamo a raccontarlo. Complimentoni.

2) Pure questa storia di “D’Alema e Bersani” è una bugia, subalterna e funzionale alla narrazione dei rottamatori. Non è che gli anni 90 sono finiti ieri. Non è che all’improvviso è arrivata una generazione nuova che ha capito che i vecchi sbagliavano. E i vecchi non hanno fatto tutti le stesse scelte. C’è chi ha avuto la fase liberista e chi no. C’è chi ha avuto la fase renzista e chi no. C’è chi ha avuto come consigliere economico Nicola Rossi e chi ha avuto come consigliere economico Stefano Fassina, per esempio. 

Infine, faccio una proposta: questa nuova classe dirigente faccia il favore, invece di chiedere passi indietro diriga (che mi pare sia precisamente quello che aveva detto D’Alema sabato peraltro). Perché finora non è che si veda proprio benissimo la loro strategia per superare Bersani e D’Alema, lo dice una che comprende tutta la difficoltà del compito e che fin qui ha sempre cercato di dare una mano. D’ora in avanti, non so. 

Se vi interessa, ne parliamo ancora stasera a Otto e mezzo su La7.

Torna il partito solido, ma decido tutto io

“L’offerta del premier alla minoranza Pd”, dice il titolo di Stefano Folli in prima pagina su Repubblica. Orsù, precipitiamoci a leggere. Scrive dunque Folli che siccome, è noto, il patto del Nazareno non c’è più, Renzi avrà pur bisogno di disinnescare qualche mina, per cui gli sarà indispensabile aprire alla minoranza del suo partito. È la tesi storica di Repubblica, sovente smentita dai fatti. Ma stavolta sarà diverso: Renzi, racconta Folli, ha spiegato all’Espresso cosa intende fare: se “da un lato annuncia l’intenzione di andare avanti senza tentennamenti, cioè senza concedere alcuna correzione sulla riforma elettorale, dall’altro apre a una diversa organizzazione del Pd”. Insomma, il Pd tornerà a essere, ammesso che lo sia mai stato, un partito solido (anche se – non si pensi – un partito solido non tradizionale) e non più, com’è diventato adesso, un comitato elettorale del leader. La ditta insomma sopravvive, annuncia lieta Repubblica agli oppositori di Renzi “che vogliono collaborare”. Insomma: Renzi decide tutto con Verdini e nessuno deve osare non essere d’accordo, tanto casomai lui si appella al popolo e chiede il plebiscito, però nel Pd “ci sarà spazio” per gli oppositori tesserati.

La domanda, come si dice, sorge spontanea: non sarà mica, per caso, che uno dei due, o Renzi o Folli, pensa che ccà qualcun è fess?

Un uomo che mangia il fuoco

Non vorrei che vi foste distratti, ma oggi è stata una giornata storica. Perché è successo, nientemeno, questo (se non leggete, cliccate sulla foto: si ingrandisce):

 

Ora, io non so se vi rendete conto della portata del fatto: che per esempio, dopo quarant’anni, ora sappiamo chi era l’uomo che cammina sui pezzi di vetro, per dire. Non so se è chiaro: stiamo parlando di uno che ha rovinato per davvero generazioni di donne, altro che il sottotitolo di questo blog.

Beh, non male: era all’altezza della sua fama il ragazzo, in fondo. E lei però, maestà, non ce la racconti. Altro che “un momento, una leggera toccatina di gelosia”. È rimasto nel cuore anche a lei, Principe, quell’uomo che camminava sui cocci, oppure il rosicamento di quella sera non l’ha più dimenticato. Tanto che molti anni dopo, nel 1987, nel descrivere a una donna quello che una donna desidera meglio di come avrebbe saputo fare una donna, senta come l’ha descritto quell’uomo che forse le augurava di incontrare, quell’uomo che forse avrebbe voluto essere lei. Proprio così: “un uomo che mangia il fuoco“.

Le primarie non cambiano verso

Oggi ho scritto questo per i giornali locali del gruppo l’Espresso.

Primarie Pd in Campania, troppi dubbi: servono vere regole

Vince De Luca per la corsa alla regione, ma resta aperta la questione della legge Severino

Ha vinto De Luca, viva De Luca. Anche se potrebbe non finire qui, la lunga partita per la ricerca di un candidato di centrosinistra in Campania. La questione dell’applicazione della legge Severino resta aperta. Ma fermare la macchina questa volta sembra davvero difficile. La vittoria di De Luca infatti è netta, la partecipazione alle primarie è stata più che buona, i casi acclarati di irregolarità si sono mantenuti a livelli fisiologici. Niente a che vedere con il precedente delle primarie napoletane annullate da Bersani nel 2011, per un risultato incerto che i due avversari di Cozzolino, battuti di pochissimo, non vollero riconoscere.

È sempre un po’ così con le primarie: se i risultati non sono inequivocabili difficilmente non ci sono conseguenze, e il motivo è che in genere alle primarie non c’è chiarezza su chi ha diritto di votare e chi no. Continua a leggere

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E all’improvviso, tutto si spiega. La “segreteria”

Leggere che secondo i titoli dei siti dei principali quotidiani Matteo Renzi oggi ha convocato “la segreteria”. Capire perché era complicato spiegare l’inopportunità della convocazione dei gruppi parlamentari da parte del segretario del partito. Non sapere se disperarsi più per la democrazia, o per il giornalismo.

 

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Ci sta la notte, crucca e filippina

Penso ma sì, un caffè. Entro nel bar. I camerieri sono euforici, si danno di gomito. “Ma che, non hai visto?”. “Ma che, non lo sai chi è?”. “Eccerto”. Faccio lo scontrino, continuano a farsi cenno: “Ma hai capito chi?”. Dico “caffè macchiato, grazie”. A un certo punto uno inizia a canticchiare: “Generale, dietro la collina”. E ride, ride. Un altro, col vassoio in mano: “Nino non aver paura di tirare un calcio di rigore”. Ridono tutti, eccitatissimi. “Là, là fuori”. “Ma che davero”. “Teggiuro”. Allora guardo: lui è proprio là, seduto a un tavolino, cappello, occhiali scuri, aspetta il suo caffè. Francesco De Gregori.
Io farfalle nello stomaco, sapete come quando alle medie. Ma soprattutto, guardo ancora i camerieri, più emozionati di me: sono tutti filippini.