Telegraficamente, sul referendum. Non ho ancora approfondito bene l’argomento trivelle, colpa mia. Vedo persone stimabili schierarsi dall’una e dall’altra parte, quindi sospendo il giudizio in attesa di fare i compiti ok? E però non mi pare che il punto sia questo, lo dico anche in relazione a cose che ho letto in rete, dove qualcuno ha creduto di zittire chi protestava per la decisione del Pd (dei vicesegretari del Pd) di schierare il partito per l’astensione tirando fuori un vecchio manifesto dei Ds che nel 2003 invitava a non partecipare al referendum sull’articolo 18.
Io, che per inciso non sono mai stata nei Ds, mi sono astenuta diverse volte nei referendum per scelta politica e non per distrazione. Credo anch’io che l’astensione possa essere un’opzione legittima nel referendum abrogativo che prevede, per essere valido, la condizione di raggiungere il quorum della metà dei votanti. Capisco le ragioni ben illustrate da Enzo Lattuca per opporsi alla propaganda astensionista, soprattutto nel contesto attuale di disaffezione crescente al voto e alla partecipazione; tuttavia non sento per questo di essermi comportata come una truffatrice quando ho scelto di non partecipare a quesiti che volevo far fallire, e non accuso il Pd per aver preso la decisione dell’astensione per principio.
Io contesto invece quella decisione sul piano concreto.
– perché è stata presa dal Pd senza alcun dibattito né discussione;
– perché si è scelto di non discuterne nonostante i promotori del referendum siano quasi tutti amministratori e presidenti di regione del Pd;
– per la mancata convocazione in materia di qualsiasi organismo decisionale del Pd;
– per la pretesa di guidare un partito comandandolo da Roma;
– per l’incomprensione totale del fatto che questa vicenda rivela l’esistenza di una questione che riguarda il Pd nel suo rapporto col territorio e in particolare il Pd nel Mezzogiorno (ricordate quando Renzi, a fronte del non brillante risultato delle ultime regionali, si vantava – come al solito prendendosi anche i meriti degli altri – perché “governiamo in tutte le regioni del sud”?);
– per la disinvolta incoerenza con altre posizioni assunte in passato dal Pd e da diversi suoi esponenti e dirigenti (sì, senza che state a cliccare nel link qua sopra c’è il post-cult della Serracchiani nel 2012 a Monopoli contro le trivelle);
– perché se un partito è diviso su un tema la soluzione rispettosa di tutti non è l’astensione ma semmai la libertà di coscienza;
– per il tono assurdamente minaccioso del comunicato dei vicesegretari in risposta alla richiesta di chiarimento della minoranza Pd dopo la “scoperta” della linea del partito pubblicata sul sito del’Agcom.
Mi pare dunque che il precedente diessino c’entri molto poco: quella era una decisione politica assunta con il voto di un organismo dirigente da un partito che aveva concordato sull’obiettivo di far fallire il referendum sull’articolo 18. Per questo, in assenza di novità e come gesto di libertà, pur non avendo ancora deciso come votare credo che andrò a votare.
Post scriptum. Non ho il sospetto, bensì l’assoluta certezza che, in condizioni di maggioranza/minoranza diverse all’interno del Pd, Renzi e la Serracchiani di fronte a questa decisione del partito, e a una decisione presa in questo modo, starebbero gridando allo scandalo in nome del dovere di partecipare e far esprimere i cittadini contro la protervia dell'”apparato”. Il che, questa certezza dico, dipende naturalmente solo dalla mia nota malevolenza, gufaggine e rosiconaggine. Tuttavia, un pochino di onestà intellettuale e di senso del limite e della decenza sarebbe prezioso coltivarlo, o almeno pretenderlo.
Le modalità con le quali nel PD si è arrivati a quella posizione sono un problema per chi milita nel PD. Anzi, “dovrebbero essere” un problema: non mi pare che, a parte la minoranza gufa e rosicona, per molti nella maggioranza questo modo di fare sia un problema. Sul piano concreto questa è la riflessione che chi milita ancora nel PD con l’idea dell’art. 49 Costituzione dovrebbe fare.
Quanto al manifesto dei DS del 2003, forse è bene fare un paio di precisazioni.
La prima è che nel 2003 ci fu questo referendum, ma un referendum analogo c’era stato appena tre anni prima e non raggiunse il quorum e quelli che votarono si espressero a maggioranza contro l’abolizione dell’art. 18. Quindi, forse, all’epoca parlare di inutilità poteva anche avere un mezzo senso.
La seconda precisazione è che il referendum abrogativo è, per natura, strumento per chi è minoranza. Quindi, un conto è una minoranza (nel 2003 i DS erano minoranza, non maggioranza!) che dice “asteniamoci” e un conto è un partito di maggioranza che invita ad astenersi.