La pandemia siamo noi. Il racconto che non c’era, in attesa del sequel

Pubblicato su articolo1mdp.it

Una cronologia del lockdown, sembra incredibile, non c’era. Un racconto orizzontale di quelle giornate e di quelle settimane della scorsa primavera, in cui le nostre vite, e contemporaneamente il mondo, sono stati investiti da qualcosa di gigantesco e inedito come una pandemia nell’era globale, e un po’ si sono fermate, un po’ sono andate avanti, mentre tutti eravamo soli ma intanto vivevamo la stessa cosa tutti insieme.

Una cronologia che mettesse insieme e in ordine tutto quello che è avvenuto tra dicembre e luglio, i giorni angosciosi di Milano-che-si-ferma e intanto partono le primarie americane, il 25 aprile e papa Francesco, i discorsi dei primi ministri, le prime pagine dei giornali, la comunicazione pubblica e la pubblicità: non c’era e l’hanno scritta Giuseppe Mazza, insegnante di pubblicità e comunicazione, direttore creativo e fondatore dell’agenzia Tita, e Claudio Jampaglia, giornalista di Radio popolare. L’hanno scritta mettendo in un libro – La pandemia siamo noi, Persone, idee e merci ai tempi del virus, Ponte alle grazie – le loro chiacchierate durante trasmissione settimanale Di Lunedì in onda ogni lunedì mattina alle 8.00 su Radio Popolare (e disponibile su podcast per i non milanesi).

Un libro, e non poteva essere diverso, pieno di immagini e, perché è un eBook, anche di link, perché “la pandemia è il nostro mondo in forma estrema”, e la “storia globale” che ha aperto non bastano le parole a raccontarla. Il virus, con la potenza dei grandi fatti della storia, si è fatto in pochi giorni cultura, discorso pubblico. Ha coinvolto i grandi leader mondiali e i fatti della politica, ha fatto rinviare le Olimpiadi, ha monopolizzato completamente la comunicazione in tutte le sue forme, dai giornali ai social alla pubblicità. Ha costretto tutti gli attori pubblici (e privati) a cercare un altro tono di voce; e ha messo impietosamente a nudo il fatto che qualcuno ne è stato capace, e qualcuno no.

Da dicembre a luglio, dalla Cina alle spiagge. E servirà un sequel, probabilmente, di questo racconto che non era finito, di questa condizione estrema che è diventata la nostra normalità. E ci ha rivelato, soprattutto a ripercorrerla, molte cose che già adesso è utile ricordare. Adesso che siamo ancora qui, ma tutti ci sentiamo più stanchi, più incattiviti, più impazienti, e non riusciamo a ricordarci di essere più forti, più preparati, più – purtroppo anche tragicamente – esperti.

Perché adesso è facile dire eh, durante il lockdown le cose sono state gestite meglio, il governo era più lucido, la gente era migliore: si stava sempre meglio prima, no? E ovviamente questo serve a dire che invece adesso va tutto male, “abbiamo perso tempo”, “siamo stati incoscienti”, “vuoi mettere gli altri”. E invece i fatti rimessi in fila dicono che non è così. Durante il lockdown è stata dura, ed è dura adesso, ma la realtà parla chiaro: gli italiani sono stati capaci di responsabilità, di sacrificio, di forza d’animo. Ce l’hanno fatta, e ce la faranno. È il messaggio dei Cavalieri di Mattarella, i cinquantasette “eroi del Covid” premiati per essersi distinti durante l’emergenza: persone comuni, una cassiera, un farmacista, un ricercatore, un’infermiera, capaci di restare al loro posto e fare il loro dovere.

Come tutte le situazioni estreme, la pandemia rivela. Punisce i messaggi fasulli alla “Milano non si ferma”, figli di un’idea manipolatoria e paternalistica della comunicazione. Premia la capacità di attraversare il momento con gesti rivelatori di verità, di entrare nella storia, come papa Francesco in via del Corso e poi in piazza san Pietro e Mattarella all’altare della Patria: sono qui, io ci sono, siamo tutti qui sulla stessa barca: potremmo chiamarla adeguatezza. Punisce il cinismo insopportabile delle pubblicità buoniste, i “ripartiamo” ma intanto comprati questo. Premia i messaggi di valore pubblico, l’assunzione di responsabilità: i Fauci, e probabilmente anche i Biden, partito nel gennaio scorso con uno slogan, alle primarie, che a rileggerlo diceva tutto: America is an idea.

Questo libro serve, perché aiuta a vederci dentro una storia globale, a liberarci da un punto di vista sbagliato su noi stessi tipico del racconto pubblico prevalente nei media. Un’idea “denigratoria perché elitaria, che recepisce il giudizio storico della classe dirigente sugli italiani, che è largamente superato dai fatti e si può sostituire con la realtà di una cittadinanza diversa” (cito), “tesa a dimostrare come si tratti di un popolo instabile, volgare, democraticamente inaffidabile. E invece stavolta, messi alla prova, gli italiani hanno dimostrato il contrario”. I media, e io aggiungo, la politica, possono anche non farlo, concludono Jampaglia e Mazza; ma non si accorgono di perdere sempre più contatto con il loro pubblico (e gli elettori?). Pensiamo alla risposta (ancora) di Mattarella a Boris Johnson, episodio dello scorso settembre che nel libro non ha fatto in tempo a esserci: “Noi italiani amiamo la libertà, ma abbiamo anche a cuore la serietà”. Ecco perché serve un sequel. Che ci aiuti a ritrovare il filo di questi giorni, che non è quello che ci raccontano e ci raccontiamo. Intanto c’è un libro da leggere. Per tutto il resto, a lunedì.

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