È un po’ difficile non commentare, per il rispetto dovuto a una persona con un problema di salute, la nemesi di Briatore, ricoverato (forse) per Covid e con la responsabilità per decine di dipendenti del Billionaire positivi al tampone dopo un’estate passata – oltre che a divertirsi in discoteca e sui campi di calcetto, rigorosamente senza mascherina – a inveire contro politici e virologi che avrebbero “terrorizzato il paese” imponendo regole contro il contagio e limiti alla movida che comunque, da lui, non venivano rispettati. È un po’ difficile non parlarne dicevo, ma proviamo almeno a farlo seriamente e non a colpi di battute e tweet.
Da un tweet però volevo partire, anzi da una domanda intelligente di Antonio Polito – “Ma quando è successo che è diventato di destra negare il Covid e di sinistra credere nel Covid?” – e da una risposta assai condivisibile di Tommaso Labate – “Praticamente da subito, da quando si è capito che col Covid diritto alla salute e libertà d’impresa stavano per entrare in conflitto, senza mezzi termini. È la prima volta dalla caduta del Muro che la spaccatura destra/sinistra è così nitida ovunque”.
La risposta di Tommaso è lucida e va dritta al punto, e per come è formulata meriterebbe già così una bella riflessione sui nuovi doveri e i nuovi spazi che si aprono a sinistra nel mondo post pandemia, dove tutti gli schemi già scricchiolanti degli ultimi decenni, a partire dalla stessa definizione di “nuovo” e di “vecchio”, dall’idea di Stato diventata quasi ostaggio dei sovranisti, all’appropriazione della parola “libertà” da parte delle destre liberiste, appaiono ormai roba da buttare a tutti tranne che a qualche tifoso nostalgico di stagioni finite.
Tuttavia non so se questa labatesca osservazione così limpidamente “marxiana“, che individua nel conflitto tra diritto alla salute e libertà di impresa il discrimine del negazionismo, basti a spiegare una questione che ha anche aspetti culturali e alla fine mi pare perfino ideologici.
All’origine dell’atteggiamento di chi parte rifiutando la mascherina e arriva nei casi più estremi a negare, con diverse sfumature di grottesco, l’esistenza del virus a me pare ci sia innanzitutto una gigantesca questione di individualismo. Una difficoltà prepolitica, psicologica, perfino antropologica di introiettare l’idea che si può, e in questo momento addirittura si deve, cioè è proprio necessario, vivere prendendosi cura dell’altro, quello a noi vicino e quello che incontriamo per caso, esattamente allo stesso modo e per lo stesso motivo. Non è, questo, un giudizio morale. Non sto dicendo che chi è di destra sia più “cattivo” o chi è di sinistra sia più “buono”. Dico che c’è una capacità di sentirsi parte di una collettività, di una comunità, una capacità di “farsi prossimo” a sinistra che oggi serve molto, e che a destra non c’è. Non è un caso che tutte le destre del mondo – da Johnson a Trump, da Bolsonaro a Salvini – abbiano clamorosamente toppato l’approccio al problema, e non siano stati, non siano a tutt’oggi, in grado di lanciare il messaggio necessario: proteggetevi, proteggiamoci. Non potevano. Alla lunga questo diventa un altro bel discrimine, nuovo, per orientarsi e capire cosa è di destra e cosa è di sinistra: sarà prezioso.
E però, ultimo punto, in Italia a questo atteggiamento individualista che ha accomunato tutte le destre del mondo se n’è aggiunto un altro che definirei, a rischio di offendere qualcuno, razzismo culturale. Ed è qui che arrivo al Billionaire, e ai tanti casi che per carità di patria non nomino di irresponsabilità trasmessa dalla classe dirigente e dalle elite economiche con messaggi – dalla fuga dal resort della quarantena al rientro con l’aereo privato di papà per evitare il tampone – che alla fine hanno come sottinteso questo: ma secondo voi uno come me può farsi dire come vivere da un ragazzo di sinistra e da un avvocato di Foggia? Il non appartenere a nessuno dei “giri” giusti è un peccato d’origine che in tanti non perdonano a questo governo, e che spiega tanto di quello che ci succede di leggere ogni giorno. Forse, al di là dei limiti delle persone e delle formule, che ci sono sempre, è un vero problema democratico. Ma dovevo scriverlo, mannaggia, con più diplomazia.