Appunti per l’ora del cialtrone

La campagna referendaria è finita e stiamo entrando a grandi passi nell’ora del cialtrone. Dicesi ora del cialtrone quel tempo interminabile in cui la propaganda deve fermarsi, la gente sta votando, le voci impazzano e non c’è nessunissimo elemento serio sul quale fare un’analisi. Tuttavia le ore scorrono lentissime, i giornali escono, le dirette cominciano e qualcosa si deve pur dire. Quello è il momento in cui il cialtrone entra in campo: sondaggi riservati, compagni strafidati, soffiate altolocate, tutto fa brodo. Risposte risposte risposte, quando invece sarebbe il momento, ora che c’è un po’ di pace, di porsi finalmente qualche sana domanda che possa servire poi a capire i dati veri. Il presente post è dunque un’iniziativa di servizio per chi deve pur passare le prossime ore al riparo almeno dalle cialtronate più grosse, e mantenersi lucido per quando arriveranno i dati. Quindi eccovi le mie, di cialtronate.

  • L’affluenza. L’opinione diffusa è che se sarà bassa è più probabile che vinca il No, perché il No sarebbe più motivato e militante; se sarà alta, in linea con le politiche, Renzi si salva grazie alla maggioranza silenziosa: è stata questa la chiave prevalente alla vigilia. Tuttavia bisognerebbe chiedersi qual è la vera “maggioranza silenziosa” oggi in Italia: al netto di chi voterà Sì o No dopo aver approfondito e studiato il merito della riforma (comunque una minoranza), la maggioranza più probabile è quella degli spaventati che temono l’instabilità minacciata dal governo e dall’establishment italiano ed europeo, oppure quella degli arrabbiati, insoddisfatti, a disagio? Sarà più maggioranza quella dei turbocostituzionalisti che vogliono un parlamento più agile snello  veloce e risparmioso o quella degli spaventati alla rovescia che pensano meglio tenercela com’è la costituzione, che metti mai arriva un Trump anche qui almeno un pochino lo argina? Insomma, se ci sarà un’onda di partecipazione imprevista (imprevista rispetto agli ultimi non esaltantissimi dati), è più facile che sia per il Sì o per il No? La risposta, quantomeno, non mi pare scontata.
  • Todo cambia. Ne abbiamo già parlato, qui. E altri hanno aggiunto riflessioni stimolanti, come questa. Non avremo mai la controprova, ma almeno da lunedì potremo giudicare se il voto che avrà vinto – Sì o No – sarà stato davvero un voto di cambiamento. Probabilmente anche a risultato acquisito ognuno resterà dell’idea che si è fatto rispetto a cosa sarà o sarebbe stato il vero cambiamento. Sarà sempre troppo tardi per una riflessione che si chieda se cambiare strada sia davvero sempre positivo e soprattutto dove, cambiando strada, questo paese voglia andare. Proprio quello che è mancato al dibattito su un tema che pure lo avrebbe meritato, come la riforma della costituzione. In ogni caso sarà tardi per rimediare.
  • Le correzioni di Renzi. L’ho già detto, una campagna partita all’insegna del “se voti No non cambia nulla” è finita col messaggio “per carità vota sì che sennò cambia tutto, arriveranno le cavallette eccetera eccetera”. Una clamorosa inversione di rotta, una lampante contraddizione. Come quella di un premier impagnato a rilanciare il messaggio “ho sbagliato a personalizzare” occupando fisicamente tutti gli studi tv, in un perpetuo e costante “Matteorisponde”. Ma c’è di più: Renzi non avrebbe forse potuto risparmiarsi la criticabile sceneggiata della finta scheda per eleggere i senatori all’ultima settimana? Certo, bastava non rispondere con un’alzata di spalle a chi, per mesi, gli ha chiesto di essere più chiaro sul punto; e ancora prima, sarebbe bastata un po’ più di disponibilità nell’accogliere la richiesta di rendere elettivo il nuovo senato, invece di prendere per il collo la minoranza Pd con una formulazione stitica e ambigua. Risultato: all’elettività dei senatori non crede più nessuno, e proprio quando a Renzi servirebbe far credere che non è vero che non potremo più votare per il senato. Vale lo stesso per l’Italicum: se alla fine bisognava prendere l’impegno di cambiarlo, non valeva la pena fallo più credibilmente diversi mesi fa, e senza spaccare il Pd? Magari i risultati lunedì daranno ragione a Renzi. C’è però da chiedersi se tanta incertezza nella comunicazione non nasconda preoccupanti incertezze politiche, o cosa ancora più pericolosa una totale e quasi ostentata insincerità.
  • L’effetto Prodi. Mentre scrivo non posso sapere se l’endorsement del professore al Sì avrà più ricompattato sul No un po’ di mondo berlusconiano o più mobilitato sul Sì il vecchio elettorato ulivista. Probabilmente anzi non lo sapremo mai. Quello che sarà interessante sarà studiare le conseguenze della scelta del prof sul Pd e sull’Ulivo, o quello che ne rimane. Dio sa se il partito guidato dai rottamatori non avrebbe bisogno di padri (e madri) nobili, ma sembra destinato a non averne. C’è da temere che comunque vada la decisione di Prodi di rendere pubblico il suo Sì non aiuti, nel post voto, a ricostruire una comunità politica, quella del Pd, che dopo il trauma dei 101 sembra destinata a non trovare rimedio alle sue divisioni. E non c’è dubbio che proprio quella ferita, dall’endorsement di Prodi, sia stata paradossalmente, proprio da lui, riaperta. Qualcuno ha (laicamente) bestemmiato che “avevano ragione i 101”, qualcuno ha parlato di sindrome di Stoccolma; ma lo stesso professore ha accompagnato la sua dichiarazione di voto con riferimenti molto pesanti al ruolo di altri leader del passato e anche a come la vicenda referendaria è stata gestita dal leader attuale. Difficile, comunque finisca, che questa mossa collochi da domani Prodi nel ruolo di padre ricostruttore. Chissà se nel suo un po’ misterioso e improvviso scatto per il Sì, questo l’aveva valutato.

Avrei naturamente molte altre cose da dire, ma le dirò quando si saprà chi ha vinto. Mica ci ho scritto Joe Condor. (cit. di cit.)

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