Non ci canzonate: quattro cose su Verdini

Dopo la fantastica performance televisiva di Denis Verdini sento il bisogno di confutare, serenamente e pacatamente, alcune affermazioni che oggi vanno per la maggiore sui giornali, oltre che – naturalmente – nei peggiori bar di Caracas.

“Verdini canzona la minoranza Pd”. Avrà pure irriso Gotor e Migliavacca, l’amico Denis. Ma io se fossi Luca Lotti, e se Verdini mi cantasse al telefono “La maggioranza sai, è come il vento”, tanto sereno non starei. Maria Latella non aveva chiesto al suo ospite di cantare proprio questa canzone: la scelta, rapida e solo affettatamente riluttante, in un repertorio che immagino ampio, non può essere casuale. Comunque l’immagine di Luca e Denis che ridacchiano al telefono cantando canzoncine su Migliavacca è una fotografia perfetta del momento, grazie Verdini e grazie Latella per avergli chiesto di cantare. Fate girare. 

“Verdini era già in maggioranza quando governava Letta”. È un’obiezione da troll, un argomento di intollerabile rozzezza, ma insospettabilmente viene fatta propria anche da persone raziocinanti, analisti prestigiosi e dirigenti politici importanti. Allora chiariamo una volta per tutte: Enrico Letta fece un governo di larghe intese, alleandosi con la coalizione di centrodestra risultata sconfitta (dal centrosinistra) alle elezioni. Un governo di larghe intese, non un’operazione di trasformismo parlamentare. Un governo peraltro reso necessario dal fallimento del tentativo di Pierluigi Bersani di dar vita al cosiddetto “governo di cambiamento”; fallimento che ha molti padri, e non solo all’esterno del Pd. Per non fare lui quel governo di larghe intese ormai inevitabile ma da lui non condiviso, Bersani rinunciò a palazzo Chigi, che non è proprio come rinunciare a un dolcetto dopocena. Quanto a Letta, dopo pochi mesi era riuscito ad estromettere Berlusconi e Verdini dalla maggioranza di governo.

“Verdini e i suoi hanno già votato le riforme, sono solo coerenti”. Solo Amedeo Lamattina sulla Stampa ha riportato per intero la dichiarazione di Miguel Gotor di ieri, che non solo suggerisce ai cantanti Lotti e Verdini un’altra bella canzoncina, ma puntualizza che su dodici senatori verdinian-cosentiniani del gruppo Ala ben sette (cioè la maggioranza del gruppo) in prima lettura non aveva votato il ddl di riforma costituzionale ed è stata solo in seguito acquisita alla causa riformatrice, “immagino sulle note di Aggiungi un posto a tavola”. Insomma, non per essere pignoli ma all’esame di coerenza della maestra Boschi qualcuno dovrebbe essere bocciato.

“Verdini appoggiando le riforme aiuta l’Italia”. Naturalmente il presidente del consiglio è liberissimo di pensare questo, se è convinto che la sua riforma sia utile al paese. Quello che però il segretario del Pd non può non capire – e infatti credo che lo capisca – è l’insostenibilità del considerare intercambiabili i voti a sostegno delle sue riforme. Insomma, siccome le riforme sono giuste, chiunque le voti va bene. Questo atteggiamento non solo è totalmente avulso da una realtà in cui i verdinian cosentiniani (e Verdini stesso ieri in tv) continuano a elencare – senza che il Nazareno batta ciglio – le prossime riforme che avranno piacere di votare e ad additare un pezzo di Pd come avversario comune tra loro e Matteo Renzi. Ma è inaccettabile da parte del segretario di un partito, che rappresenta tutto il partito compresi coloro che non lo hanno votato. Questo, per inciso, non è mai successo quando il Pd faceva alleanze (con Di Pietro, con Mastella…) che qualcuno magari legittimamente (sebbene allora tacitamente) non gradiva: quelle erano alleanze del Pd, di tutto il Pd, non fatte contro un pezzo di Pd, e presentate al giudizio degli elettori, non inventate al senato. Tantomeno è successo quando tutto il Pd decise di fare il governo di larghe intese con Verdini in maggioranza: una decisione che non fu certo presa da Letta o da Bersani contro un pezzo del partito. Anzi. E mi fermo qui: anzi.

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