“Si parte dal Pd”, scandisce perentorio il vicesegretario Lorenzo Guerini davanti alla solita selva di microfoni al termine della riunione della segreteria, annunciando un’assemblea di parlamentari per lunedì mattina. Dunque, abbiamo un metodo. Differente dall’ultima volta, quando il Pd all’unanimità (prima in direzione e poi nei gruppi parlamentari) aveva dato a Pierluigi Bersani il mandato di raggiungere un accordo con Silvio Berlusconi su un nome purché dell’area di centrosinistra. L’unità del Pd su quel nome, in partenza, i gruppi dirigenti la diedero per scontata. “Avete capito cosa significa dire che non ce lo eleggiamo da soli, sì?”, aveva avvertito il segretario al termine della riunione plenaria dei grandi elettori. Significava “avete capito che non potrà essere il nostro preferito in assoluto, che dovremo fare un compromesso?”. Il gruppo aveva risposto positivamente, e Bersani, senza presentare rose (mi sono rassegnata a leggere questa storia della “rosa”, ma non è vera), ottenne da Berlusconi – che era partito rivendicando il Quirinale addirittura per Gianni Letta – il sì a un fondatore del Pd, Franco Marini. Sappiamo quello che successe dopo. Continua a leggere
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