La storia siamo noi, e lui lo sa

Europa mi ha chiesto un articolo sull’altra sera, quando si era sparsa la notizia che De Gregori avesse firmato il manifesto di Italia Futura

E il treno non l’ha preso, e ha fatto bene. Italo, s’intende. Lui, Francesco De Gregori. Dicono adesso da Italia Futura che ci sia stato un grosso equivoco: il manifesto gliel’avevano mandato, sì. E lui, il Principe, aveva concesso un cenno di riscontro, forse addirittura di apprezzamento. Vi pare poco. Mica è roba che capiti tutti i giorni, con lui. E però, vistosi tra i firmatari, Sua Degregorità deve aver alzato il principesco sopracciglio: perché nel giro di mezz’ora l’associazione italfuturista ha corretto il tiro: c’è stato un errore, ecco. 

Ah: ecco. Ve piacerebbe, si dice nelle strade di Roma. Ma che tre quarti d’ora sono stati, quei tre quarti d’ora. Cinquecento catenelle che si spezzano in un secondo, proprio. Scusa Francesco, come con Montezemolo? Va bene che il padrone non sembrava poi cattivo, ma perché? Impossibile, è un omonimo, comunque non può essere lui. È il suo ultimo prezioso tentativo di stupire, poi vedrai lo troveremo in fila alle primarie. De Gregori lo sa bene che la storia siamo noi, io figurati gliel’ho sentita cantare tante di quelle volte, ma mai è stato come quella volta in piazza San Giovanni dopo che aveva parlato Nanni Moretti, lui mano nella mano con Fiorella Mannoia. Cantava con una forza e una tenerezza infinita, cantava per noi, girotondini e no, noi che eravamo in quella piazza perché nel tempo del berlusconismo trionfante non volevamo “perderci di vista”. Io me lo ricordo. E poi come l’aveva cantata a Pesaro, molti anni dopo, nella piazza della Festa democratica. E noi già allora, un anno fa, lo sentivamo che ci avrebbero detto tutti sono uguali, tutti rubano alla stessa maniera. Che sarebbe stato questo il nemico da combattere nella prossima campagna elettorale, ma anche che era solo un modo per convincerci, perché invece la gente lo sa benissimo, quando si tratta di scegliere e di andare.
Salendo sul palco lui aveva detto, come tra sé: via, speriamo di suonare bene, che questa gente se lo merita. E quando era partito l’applauso aveva salutato la piazza: «Ma che belli che siete, quanto siete belli». Noi che lo frequentiamo da decenni sappiamo che mica è sempre così, ai concerti del Principe. Lui graffia, si nasconde, te la cambia per non fartela cantare. Lui non ti fa le coccole, al concerto. Però è un uomo con le spalle larghe, e quando vuole lo capisce. Se lo capisci tu, chiaro: che certe cose mica serve dirsele troppo esplicite. Anzi.
Che poi Francesco De Gregori, con rispetto parlando, ha il diritto di firmare tutti i manifesti che vuole, ci mancherebbe. Lui non è le sue canzoni, lui mica è davvero quello che macina i cuori, che calcola i cani, che dà la buonanotte ai fiori. Almeno credo. Mi pare di vederlo scocciarsi per tutto sto casino di commenti e di tweet, lui che non ha mai voluto essere una bandiera, anche se politica l’ha fatta sempre, nel suo modo popolare e aristocratico di rapportarsi alla vita. E mica è colpa sua se ci sono ragazze cattoliche che hanno voluto con tutte le forze che il Pd nascesse per stare finalmente nello stesso partito col Principe. E però non ci può fare niente, perché noi abbiamo imparato, da lui, che due buoni compagni di viaggio non dovrebbero lasciarsi mai. Sempre e per sempre, dalla stessa parte.

 

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