In questi giorni capita che mi chiami qualche collega perché si riparla dei 101, e mio malgrado anch’io sono diventata un po’ un’autorità in materia, grazie a Giorni bugiardi, il libro che ho scritto con Stefano Di Traglia.
L’enormità e l’inopportunità del paragone, sconfessato del resto dallo stesso Matteo Renzi, sono state già sviscerate, e comunque poco importa tornarci sopra qui, quello che ne penso lo sapete. Invece vorrei dire che in particolare mi ha colpito una cosa, della vicenda di ieri, ed è l’istinto.
Tutti quelli che fanno il difficilissimo mestiere della comunicazione in politica (parlo di politici e di professionisti) sanno che a volte non c’è tempo di ragionare. C’è da controbattere, c’è da twittare, c’è da riempire gli spazi, ci sono i tg da fare. Per questo spesso capita di reagire d’istinto, ed è questo che ieri dopo che è stato approvato l’emendamento Candiani hanno fatto i responsabili della comunicazione del Pd.
E il loro istinto gli ha detto: “Centouno”. Cioè: la “linea” del Pd per un po’ è stata quella, rievocando il momento probabilmente più nero della vita del partito, di dare la colpa al Pd. Non era assolutamente accertato ieri mattina, e non lo è a tutt’oggi, che i franchi tiratori fossero senatori democratici, anzi è ritenuto probabilissimo che in buon numero fossero senatori di Forza Italia. Ma l’istinto del Pd, appunto, è stato questo: difendere Matteo Renzi accusando il Pd. Accusare il Pd per difendere Matteo Renzi. Parlo della comunicazione del Pd eh, non di quella di palazzo Chigi. E a tutti, per un po’, è sembrato normale.
Il che mi pare un fantastico fermo immagine sulla situazione attuale. Del Pd, e non solo.
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io è da un po’ che lo dico e mi spiace ripetermi: il PD ha perso quel senso di comunità, “partito luogo di confronto”, che poi dovrebbe essere la linea che distingue un partito da un comitato elettorale.
fino a due o tre anni fa se un deputato o un dirigente PD usciva dal partito, ci si chiedeva perché, la reazione istintiva era “è comunque un contributo, una voce diversa che se ne va”; anche quando c’era la binetti che tutti speravamo andasse via, ma poi, in fondo in fondo, temevamo lo facesse per davvero – forse era sbagliato come atteggiamento pure quello, ma oggi si ha la sensazione che invece il PD si auguri che civati e mineo e casson e chissà quanti altri si tolgano dai coglioni.
io rimpiango le guerre tra d’alema e veltroni. mi davano fastidio, all’epoca, ma vedendo il desolante spettacolo che dirigenti e militanti piddini di correnti avverse offrono quotidianamente, anche quelle guerre mi paiono pacate e costruttive discussioni accademiche in una sala da té di un riservatissimo club londinese.
a me non davano fastidio d’alema e veltroni, e le loro non erano guerre se non nelle banalizzazioni dei giornali. il loro era un rapporto complesso e affascinante, divergenze politiche, stima reciproca, colpi non risparmiati ma anche capacità di gesti generosi e comunque nell’interesse collettivo. avercene