C’è qualcosa che non mi torna in tutti questi articoli sulla svolta garantista del Pd. Ci ho rimuginato un bel po’ sopra e penso fondamentalmente sia questa: con il caso Errani il garantismo non c’entra niente, almeno per quanto mi riguarda. E credo non c’entri niente, il garantismo, neanche con quello che succede in queste ore nel Pd. So che questa è la parola che ha usato il presidente del consiglio nei suoi tweet, “questo si chiama garantismo” ha detto, e mi dispiace non essere mai d’accordo con lui, ma non sono d’accordo neanche stavolta. Il garantismo è un principio generale, e per me sacrosanto. Deve valere per tutti, colpevoli o innocenti, simpatici o antipatici, onesti o disonesti. Tutti devono potersi difendere e hanno diritto a un trattamento equo e umano, a non essere processati in piazza e a essere ritenuti e trattati da innocenti fino al giudizio definitivo.
Mi pare però che si confonda il rispetto della magistratura e delle sentenze da un lato, e il garantismo dall’altro, con qualcosa che non c’entra. Provo a spiegarla così: io resterò convinta che Vasco Errani sia un uomo onesto anche se venisse condannato in via definitiva (cosa che sono certa non avverrà). Questo non è garantismo e non è neanche contestare la magistratura o accusarla di complotti: è un giudizio obiettivo sul reato che viene contestato a Vasco Errani ed è inoltre il mio giudizio personale sulla persona di Vasco Errani, di cui mi assumo tutta la responsabilità e che non è sottoposto a un giudice, a nessun giudice.
Come diceva oggi un mio amico, per me valgono le lezioni di Socrate e di Gesù Cristo e quindi rivendico il diritto di credere all’innocenza anche di chi è giudicato colpevole. Anche dopo tre gradi di giudizio. Figuriamoci dopo un 1 a 1. E ho la sensazione di non essere la sola.
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