Il nome della Festa, il lapsus di Matteo

Tanto per dire: ho scritto fiumi d’inchiostro sulla questione del nome delle feste del nostro partito, anche perché lavoravo in un giornale che sentiva molto il tema che non si chiamassero feste dell’Unità, dato che era il giornale della Margherita. Una volta anche Gianni Cuperlo scese a tenzone con me, replicando a un mio articolo: io giovane giornalista, lui sempre il solito signore: devo ritrovare traccia di quello scambio, perché vi giuro non ricordo né gli argomenti miei né i suoi, e la cosa mi fa sorridere di tenerezza a ripensarci proprio oggi. Nel tempo infatti ho relativizzato parecchio la questione. Sono stata a mio agio e mi sono sentita a casa mia in feste che si chiamavano “Democratiche”, “dell’Unità” o anche in altri modi. Ricordo quindi solo per inciso che quelli che in questi anni mi hanno invece continuato a controbattere che no, la questione era importante e che la “discontinuità” col passato andava assolutamente marcata, sono tutti, TUTTI, sostenitori di Renzi fin dalla prima ora. Sarei curiosa di chiedergli cosa pensano adesso, ma anche no (è già successo sul tema ben più importante dell’adesione al Pse che coloro che si sarebbero dati fuoco fino a due mesi prima abbiano approvato senza fiatare, figuriamoci su questo).

Però una cosa sola, rapida, poi ci torno. Dire “le nostre feste tornino a chiamarsi feste dell’Unità” è una vera mistificazione, una bugia e come tale una mancanza di rispetto. Quel “prima”, in cui le nostre feste si chiamavano dell’Unità, non esiste. Le feste del Pd si chiamavano Democratica, quella nazionale, e Democratiche in genere quelle locali con alcune eccezioni, illustre quella di Roma. Se poi parliamo delle feste a cui andavamo Matteo e io con i nostri babbi da bambini, quelle si chiamavano feste dell’Amicizia. Ne ricordo una nazionale a Viareggio, magari c’era anche Matteo piccolino. Comunque io sono cresciuta coi testaroli fatti a mano delle feste dell’Amicizia in Lunigiana, e coi tordelli della mitica festa dell’Amicizia di Bedizzano. Torniamo a chiamare le cose col loro nome, altro che “tornino a chiamarsi”.

Non mi preoccupa tanto che Matteo Renzi abbia dei lapsus o dica qualche bugia, figuriamoci. Mi preoccupa quello che il lapsus o la bugia rivelano: l’idea cioè di un Partito democratico dove la sinistra ha la delega alla paccottiglia politica e alla cura dei simboli, ed è pure contenta. Intanto che altri si occupano della linea politica, della gestione del potere, di prendere voti, di cambiare l’Italia. In quel tipo di sinistra del Pd, ve lo dico, io non mi riconosco, e nemmeno eventualmente in quel tipo di Pd. Nemmeno se mi regalano la maglietta di Togliatti. A proposito, complimenti e in bocca al lupo al mio amico Matteo (Orfini).

3 Responses to Il nome della Festa, il lapsus di Matteo

  1. Ermanno Tarozzi

    Anche Bologna rientra fra le illustre eccezioni cara Chiara. Si chiamo e si chiameranno feste de l’Unità

  2. Vincenzo De Girolamo

    Bambino, non mi recavo alle feste dell’Amicizia, perché nel mio paese, in Puglia al massimo c’erano le feste parrocchiali, del patrono e di altri santi. In casa, però, non mancava humus politico. Mio padre era il segretario amministrativo della sezione della DC locale (ah, tanto per marcare la distanza con tutti i ragionieri odierni. Ho trovato ricevute che attestano pagamenti con soldi propri, confermato da mia madre, per l’affitto
    del locale in cui risiedeva la sezione del partito di Faeto. Di quelle 500 mila lire anticipate non gli sono state mai restituite 500 o mille lire) mio zio acquisito, un maestrino si sinistra Psiup, Pci. In casa dal nonno, quando ci trovavamo attorno alla tavola, era un continuo parlare di politica ed io pur tifando per mio padre, non potevo far a meno di essere attratto dagli argomenti sull’uguaglianza e la fratellanza, lo sviluppo ed i diritti civili, che mio zio padroneggiava con fierezza, come Zorro, eroe che occupava i miei pomeriggi televisivi dell’infanzia. Ecco quando sento richiami al passato e guardo il presente, il contesto nel quale viene inserito, da chi e come, sarò cieco, ma non trovo nessun appiglio a quel “vecchio”. Non riesco ad immedesimarmi, insomma. Non trovo appigli ai quali aggrapparmi per vedere come sulla tradizione si innesti il futuro. Vedo in questi “nuovissimi” dei cavalieri dimezzati che in nome di quale progresso (a chi serve poi ) cancellano il passato, perché brutto cacca, a meno che non serva da macaco per le allodole.

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