Sarà interessante vedere quanti voti sposta il lanciafiamme. A giudicare dagli amati social network, la sortita televisiva di Matteo Renzi su cosa aspetta il Pd dopo il voto non pare sia stata apprezzatissima né dalla base né dagli osservatori. Difficile aspettarsi altro, dal momento che chi parla fa il segretario da quasi tre anni, circondato da una maggioranza bulgara (uscita dalle primarie e arricchita da successive conversioni), un potere assoluto (quando stai a palazzo Chigi hai indubbiamente più argomenti dei segretari che si barcamenano all’opposizione) e un conformismo senza precedenti nella storia del centrosinistra (perfino i tweet dei parlamentari, a leggerli, sono tutti uguali). Sarà interessante altresì vedere chi dovrà mettersi la tuta ignifuga, dato che nel Pd – con o senza lanciafiamme – avversari di Renzi se ne trovano con una certa difficoltà, e di sicuro non nel gruppo dirigente: le lingue di fuoco arriveranno forse su Matteo Orfini, commissario di Roma e artefice della candidatura Valente a Napoli? O su Maurizio Martina, regista delle primarie che hanno incoronato Beppe Sala? O su Luca Lotti, l’uomo dell’alleanza con Verdini? Difficile in ogni caso che la potenza di fuoco giunga fino in Siberia, dove languono – peraltro al fresco – i rottamati. Sarà interessante comunque vedere l’effetto che fa, il lanciafiamme, in un partito che perde consensi e identità e avrebbe bisogno, più che altro, di un saldatore.
La verità è che il Renzi visto in tv dopo le elezioni non sembra avere una strategia lucida. Abituato a uno storytelling da marcia trionfale, viziato da una concentrazione di potere assoluto nel Palazzo, il leader del Pd appare impreparato di fronte a una batosta elettorale che improvvisamente rende inadeguati i suoi toni da padrone. Da un lato Renzi è davvero convinto di non averle perse, le elezioni: lunedì è arrivato a dire che il Pd “sfiora il 40 per cento quasi ovunque”, mescolando liste civiche, coalizioni e una buona dose di fantasia. Dall’altro, non mostra di avere idea di dove vuol cercare i voti che mancano, e che servirebbero per giocarsela tra due domeniche.
Esemplare la prestazione televisiva di ieri, dove il premier ha irriso la sinistra per i suoi risultati effettivamente deludenti – ma quei voti, per quanto pochi, oggi sono oro agli occhi dei candidati sindaco al ballottaggio; ha attaccato Bersani e la minoranza Pd – che si morde la lingua e continua la campagna elettorale per non danneggiare la Ditta prima del secondo turno (chissà il Renzi leader della minoranza qualche anno fa quanto avrebbe aspettato prima di sparare sul quartier generale); ha ancora una volta presentato se stesso come “il nuovo” e la soluzione – il lanciafiamme, appunto – senza cogliere che sui territori c’è chi comincia a considerare l’ingombrante personalità del leader un problema (e a desiderare che non si faccia troppo vedere nei prossimi dieci giorni).
E il bello è che mentre continua a parlare col tono di chi ha stravinto, Renzi fa indietro tutta come chi ha straperso: il referendum è “congelato” – insomma non era il caso di farne l’oggetto principale della campagna elettorale; “se perdo non mi dimetto” – insomma certe minacce non è detto che funzionino come si spera; campagna per i ballottaggi “non credo di farne”, e l’alleanza con Verdini, naturalmente, “non esiste”.
Ammissioni implicite che – perfino a prescindere da qualche 51 a 49 che potrà decidere in un senso o nell’altro i ballottaggi nelle città – già il primo turno delle amministrative è stato una clamorosa smentita della linea renziana. I consigli dei “gufi” della minoranza forse andavano ascoltati, altro che lanciafiamme, dato che erano proprio quelli: non puntare sul referendum a scapito del governo dei territori, non personalizzare troppo, non esibire certi imbarazzanti alleati. Ma qui anche per la minoranza c’è un bel paradosso: perché avere ragione significa vedersi ridurre ogni giorno di più lo spazio di manovra. Perché mentre la sinistra del Pd avverte “perdiamo voti”, ed è vero, quella che perde voti, nello specifico, è soprattutto la sinistra del Pd. Alla quale non resta molto tempo.