Ballottaggi, per il Pd rischio “biscotto”

Ho scritto questo per i giornali locali del gruppo l’Espresso (Il Tirreno, La Gazzetta di Mantova, Il Mattino di Padova, Il Piccolo, Il Centro, La Gazzetta di Reggio, La Gazzetta di Modena, Alto Adige, Il Trentino, Il Messaggero Veneto, La Nuova Sardegna, La Nuova Venezia, La Città di Salerno e altri).

E adesso si balla. Per capire che per il Pd i ballottaggi non saranno una passeggiata basta il riassunto delle puntate precedenti: nelle comunali dell’anno scorso, il Partito democratico i ballottaggi li ha persi praticamente tutti. Venezia, Arezzo, Rovigo, Fermo, Chieti, Matera, Nuoro, Enna, Gela: con le sole eccezioni di Lecco, Macerata e Mantova i candidati di centrosinistra furono battuti anche nelle roccaforti storiche, anche dove erano uscenti e con un bilancio positivo (per tutti Salvatore Adduce, appena uscito vincitore dalla battaglia per Matera capitale della cultura), anche dove partivano in vantaggio. L’allarme era già suonato l’anno prima, il trionfale 2014, con le sconfitte nelle tre piazze imperdibili di Livorno, Perugia e Potenza. Ognuna di queste battaglie locali fa storia a sé, e così faranno quelle che si svolgeranno tra due domeniche; tuttavia la difficoltà del Pd a competere nelle sfide dirette ha ragioni politiche generali (e per questo, tra l’altro, sarà inevitabilmente analizzata anche in chiave Italicum). Il rischio principale, non l’unico, per il Pd, ha un nome dolce come il ricordo della nonna: biscotto.

Non è tanto l’ipotesi che gli avversari si mettano d’accordo: troppo distanti la destra e i grillini (ai quali peraltro gli apparentamenti sono vietati dallo statuto), e anche troppo privi entrambi di una leadership forte per osare tanto. Inoltre, se c’è una cosa che questa tornata ha dimostrato è che il voto è mobile qual piuma al vento: si veda la sorte del povero Alfio Marchini, al quale Berlusconi pare non aver portato un voto in più di quelli che prendeva da solo. No, il “biscotto” non sono gli apparentamenti – che non ci saranno – tra avversari del Pd. Ma il minor tasso di ostilità che gli avversari del Pd riscuotono rispetto al Pd, ormai, a dispetto delle ambizioni rottamatorie del suo leader, percepito come il partito dell’establishment – lo dimostra il voto nei municipi di Roma e Milano, dove il Pd straperde nelle periferie, anche quelle storicamente “rosse”. Ostilità che potrebbe spingere gli elettori esclusi dal ballottaggio ad un voto “a dispetto”, per ragioni più probabilmente nazionali che locali. Per questo c’è da aspettarsi quindici giorni di campagna molto “civica” da parte dei candidati sindaci Pd ancora in ballo. Non a caso lunedì Beppe Sala in conferenza stampa ha rifiutato la definizione di “candidato renziano”.

C’è un altro possibile “biscotto”, del quale il partito di Renzi dovrebbe temere le insidie. È la direzione nella quale lo spingono i “Nazareni” del Foglio e gli ammiccamenti di Marchini, il timore espresso recentemente anche da Roberto Saviano che legge nella liquidazione del gruppo dirigente napoletano – di cui è stato annunciato il commissariamento – un implicito via libera di Renzi a sostenere Lettieri contro De Magistris. Interpretazione maliziosa, ma indubbiamente nell’inner circle renziano la suggestione di un “patto della Nazione” contro populisti e grillini ci potrebbe stare. Solo che appunto sarebbe una strada rischiosissima: perché è proprio lo “schema Nazareno” a regalare praterie di argomenti ai populismi di ogni tipo. E come dimostrano i risultati di Napoli e Cosenza – dove il Pd era apertamente alleato con i verdiniani di Ala – alla fine il saldo di certe operazioni può anche essere negativo. Né sembrano esserci le condizioni per un appello al voto democratico di tipo “austriaco”: le giovani candidate grilline a Roma e Torino, ma anche la sorridente leghista Lucia Borgonzoni a Bologna, difficilmente possono essere dipinte agli occhi dell’elettorato come il fascismo alle porte.

Infine ci sarebbe la strada più “classica” per un partito ancora sulla carta di centrosinistra: quella di guardare a sinistra. Ma anche qui per il Pd le notizie non sono buone: da quella parte intanto, come ha detto lo stesso Renzi compiacendosene, i voti sono pochi. Può essere anche vista come una buona notizia, ma lascia il Pd da solo nei momenti in cui l’autosufficienza diventa più rischiosa. Inoltre certe fratture tra simili, o ex simili, sono paradossalmente più difficili da ricomporre di quelle tra diversi. E nell’elettorato più di sinistra – o ex Pd – il tasso di ostilità al Pd potrebbe essere addirittura più alto che tra i grillini o nel centrodestra.

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