Il titolo di fine d’anno, per Matteo Renzi, è “vinco il referendum o me ne vado”. Chi legge questo blog, modestamente, non ha dovuto aspettare i pensosi editoriali odierni sui rischi del plebiscito o le illuminanti riflessioni sull’astuzia di un politico che punta tutto sulle riforme per schivare le insidie di un voto amministrativo pieno di pericoli. Che Renzi volesse il plebiscito, noi, lo sapevamo già. E pure da un po’. E avevamo anche detto perché la cosa non ci convinceva.
Quello che colpisce, però, è che si trascuri una piccola considerazione: in questo modo, d’ora in poi, anche la Costituzione sarà per gli italiani una questione di “Renzi sì o Renzi no”. Non sarà un referendum sulla Carta che sta a fondamento di tutte le leggi e del funzionamento delle nostre istituzioni, ma sul presidente del consiglio pro tempore. Per questo Matteo Renzi e coloro che con lui hanno voluto questa riforma, anche nel caso probabile che vincano il referendum (e a prescindere da valutazioni che andranno fatte sull’effettiva partecipazione al voto e sul coinvolgimento degli italiani negli argomenti della campagna referendaria), alla fine avranno perso comunque. Avranno fatto approvare una riforma di piccolo cabotaggio, di corta prospettiva, di meschina motivazione. Avranno dato all’Italia “la Costituzione di Renzi”, che dividerà gli italiani anziché unirli e dare loro qualcosa in cui riconoscersi, come una Costituzione dovrebbe fare. E, la cosa peggiore, saranno stati loro a volerlo. Per spianare i gufi, pensa un po’.